E’ con un tantinello di immodestia che inauguro una nuova rubrìca, che apparirà spero frequentemente su queste pagine. MAI DIRE SET-UP, al di là del titolo scontassimo, vuole essere una risposta al grido di dolore che da tante parti d’Italia (sic) si leva in direzione delle mie orecchie, solitamente alquanto recettive al suono dei dollari (come sapete), ma in questo caso disinteressate e unite ad una mente ben disposta all’insegnamento.
Cosa voglio dire con questo blaterare? Voglio dire che mi sono accorto, molto immodestamente, di avere imparato qualcosa di buono sul set-up (italiano: messa a punto) di diversi strumenti, nel corso di quasi 20 anni di musica acustica, e grazie all’impagabile lunga amicizia di ‘set-up men’ come Tom McKinney, Snuffy Smith, Curtis McPeake e Richard Keldsen.
Non solo, ma mi sono anche accorto, e qui sta l’incredibile, di essere disposto ad insegnare a chi invece non è esperto di set-up, e (sempre più incredibile!) di volerlo fare gratis! Prima di ripensarci vado a cominciare.
Come penso saprete è il banjo lo strumento del mio cuore, ma ho notato che i principi alla base di un buon set-up sono più o meno gli stessi per diversi strumenti, variando solo le caratteristiche tecniche su cui si va ad agire nei diversi casi. Perché di base ottenere un buon set-up significa solo tirare fuori il meglio di uno strumento, quello che alcuni definiscono ‘peak sound’, cioè il suono ottimale per le caratteristiche costruttive di un determinato strumento. Occorre ricordarsi che da una 500 non tirerete mai fuori un Testarossa, e nello stesso modo da un banjo Emperador non avrete mai il suono del Granada di Sonny, o da un mandolino Ibanez il chop dell’ F-5 di Papá. Ma in qualsiasi strumento, con un buon set-up, è sempre possibile individuare il miglior suono ottenibile con la ‘materia prima’ a vostra disposizione: se questo suono vi piacerà, tanto meglio, altrimenti vi dovrete procurare un salvadanaio, molta pazienza, e l’indirizzo di Earl, Bill o Flux…
Soprattutto tentate di avere le idee chiare ai momento dell’acquisto: non comprate un banjo arch-top, ad esempio, se volete il tipico suono da flat-head, non fatevi tentare da una piccola chitarra Daion (tanto per fare un esempio) modello -00 se il vostro suono ideale ha la potenza e la pienezza di una grossa dreadnaught, e lasciate perdere un mandolino irlandese a pera e con buca ovale se volete avere il suono di Sam Bushi, indipendentemente dagli sconti offerti o dal vostro conto in banca.
In ogni caso, per la vostra pace d’animo, ricordate che MAI potrete avere il suono di Doyle, Ralph, Tater, Craig, Roy Jr, e compagnia cantante e suonante.
E vediamo così, nella nostra ricerca del suono che ci soddisfa, le ‘linee guida’ da seguire in tutti gli strumenti a corda (in ordine sparso).
1) EVITARE PUNTI DI PERDITA DI CONTATTO: ogni giunzione imperfetta fra parti di uno strumento si traduce in perdita di suono. Controllate in particolare la giunzione manico-cassa (cosa di competenza di un liutaio nel caso di chitarre, mandolini o archi in generale), e fate il possibile per ottenere un contatto completo. Lo stesso in tutti gli altri punti dove potrebbe ‘disperdersi’ la vibrazione delle corde: ponticello, capotasto, meccaniche, cordiera etc. Verificate anche che i solchi sul capotasto e sul ponte (salvo che nelle chitarre) siano stati fatti in maniera corretta (ma ne riparleremo)
2) EVITATE I MATERIALI DI QUALITÀ’ INFERIORE: celluloide, plastica o cartone non sono mai stati i materiali di scelta in liuteria, se non per parti che nulla hanno a che fare col suono. La scelta è pressoché obbligata per alcune parti (ad esempio acero ed ebano nel caso dei ponti per banjo, con poche varianti, sicuramente osso o avorio o madreperla per i capotasti, a seconda del timbro che vogliamo ottenere, e così via), ma sicuramente non sapremo mai come il nostro strumento può suonare al meglio se gli lasciamo sopra un capotasto di plasticone, o alziamo un osso del ponte (chitarra) con cartoncino Bristol: niente compromessi.
3) EVITARE GLI ‘ESTREMI’ NELLA TENSIONE DELLE VARIE PARTI: e qui già siamo più sul difficile, vero? Al di là delle preferenze timbriche o di ‘durezza’ delle corde, esiste un range abbastanza ristretto, a mio parere, nelle tensioni ottimali delle varie parti. Così una pelle di banjo non dovrà essere né troppo tesa né troppo molle, sia che ci piaccia il suono di J.D.Crowe o quello di Larry McNeely, e l’action (grossomodo: altezza delle corde) in qualsiasi strumento non dovrà essere tale da imprimere troppa tensione, o troppo poca, alla tavola armonica.
Lo stesso vale, a mio parere, per il modo in cui si uniscono le varie parti: troppa compressione alla giunzione manico-cassa è spesso tanto negativa quanto la presenza di un pó di ‘lasco’, se non a volte peggiore (ho provato un Granada flathead originale del ’34 o giù di lì, con suono incredibile nonostante un manico quasi staccato dalla cassa, mentre all’opposto so che il mio ben più modesto RB-3 ha un suono sottilino se stringo troppo il manico).
4) RICORDATE CHE SUONO E FACILITA’ DI SUONO VIAGGIANO SPESSO DI PARI PASSO: questo non vale forse in assoluto (l’action ideale per me può essere impraticabile per Carlo, o troppo bassa per Michele), ma occorre tenere presente che uno strumento deve mettere le nostre mani nelle condizioni di massimo agio, perché noi possiamo tirarne fuori il suono migliore. Così succede che il Granada di Sonny Osborne non fosse il massimo della vita per Tom McKinney, che lo possedeva prima di Sonny, per vistose differenze di tocco fra i due musicisti, e per un’idea diversa su come sfruttare la timbrica e la risposta dello strumento in risposta a ‘durezza’ di tocco. Ne riparleremo, non temete.
5) IL SET-UP ‘GIUSTO’ PER LO STRUMENTO DEL VOSTRO IDOLO NON SARA’ NECESSARIAMENTE IL SET-UP QUELLO GIUSTO PER IL VOSTRO STRUMENTO: non fatevi influenzare dai consigli del vostro mito di turno se vedete che il vostro strumento non dimostra di accettarli; un capotasto di madreperla potrà essere l’ideale per Sonny, magari, ma sul mio banjo produce un suono freddo, e le corde Vinci saranno perfette per Tony, ma possono essere troppo ‘molli’ per Carmine. Soprattutto non abbiate timore di sperimentare, prima di fissarvi su qualcosa che può non funzionare sul vostro strumento.
Credo che come linee guida generiche possa bastare. Vediamo di passare al pratico, iniziando con regole valide per set-up diversi strumenti. Dal prossimo numero parleremo un pó meglio di tutto.
PUNTI DI CONTATTO
II criterio di base è: ogni spazio non occupato da materiale ‘nobile’ (legno, metallo) è perso ai fini della trasmissione delle vibrazioni di uno strumento, e va eliminato. Non dimenticate che anche strati ‘inutili’ di materiale pur ‘nobile’ costituiscono solo un’aggiunta di spazi morti, e sono quindi da evitare (ad esempio spessori fra manico e cassa, così come compensato al posto di legno massiccio, ovviamente).
Controllate in particolare questi punti di contatto:
1) manico con cassa: spesso il suono ‘moscio’ di una chitarra o di un mandolino è dovuto ad un incastro a coda di rondine mal fatto, e in questi casi solo un liutaio (palluto) può giudicare se valga o meno la pena di smontare lo strumento per correggere la situazione (che non è fra le più facili da diagnosticare). Decisamente favoriti, in questo, i banjoisti, che possono facilmente verificare l’esistenza o meno di uno spazio fra manico e rim, e nel caso avvitare più strettamente le due aste, o coordinator rods che dir si voglia, che trovate internamente a qualsiasi banjo costruito sul modello Mastertone. In questo caso occhio a non tirare troppo, sia per non ‘spannare’ la filettatura o il legno stesso del manico, sia per non ‘soffocare’ il suono con una giunzione tanto rigida da non consentire che le vibrazioni viaggino tra cassa e manico. La verifica degli eventuali spazi morti è di solito abbastanza semplice da fare: un foglio di carta inserito fra le due superfici, opportunamente separate e rimesse a contatto, potrà essere sfilato facilmente in presenza di spazio morto, sarà invece trattenuto fermo se il contatto fra le due superfici è buono.
2) capotasto: verificate se è solidamente appoggiato sul fondo del suo solco, in cima al manico, e se vedete della luce (osservando il solco di profilo) rimuovete il capotasto, seguendo le solite procedure che trovate in tutti i manualetti di manutenzione degli strumenti (okay, ne parlerò in futuro!) e squadrate il fondo del solco con una lima a sezione quadrata, in modo che il capotasto appoggi uniformemente. Occhio a non togliere troppo legno dal fondo, per non abbassare l’altezza complessiva delle corde, e a non ‘mangiarvi’ della tastiera
3) ponticello, o osso del ponte nel solco del ponticello (nel caso della chitarra): agevole la verifica del contatto ponte-pelle nel banjo, dove peraltro avete il vantaggio di sapere che i ‘piedi’ di ogni ponticello nuovo sono (o dovrebbero essere) perfettamente piani, quindi dotati di buon contatto con la pelle.
Il ponte dei mandolini, per non parlare di quello di violini o contrabbassi, richiede invece di essere adattato individualmente alla tavola armonica, e ciò non è così facile per tutti. Fondamentalmente, se col solito sistema di controllo vista/carta/luce avete notato discrepanza fra le due superfici, quello che vi toccherà fare sarà di togliere le corde, e adattare con infinita pazienza i piedi del ponte carteggiandoli su un foglio di carta-vetro fine appoggiato direttamente sulla tavola: attenzione a carteggiare piano, e senza far ruotare il ponte, bensì mantenendo il movimento assolutamente lineare, lungo l’asse principale della tavola: ogni movimento di oscillazione o rotazione risulterà in superfici convesse alla base dei piedini, quindi sicuramente inadatte al contatto con la superficie convessa della tavola.
Nel dubbio di fare un pasticcio, sarà meglio che utilizziate i servigi, a pagamento, di un liutaio di fiducia; potrebbe costarvi meno di un nuovo ponticello o di un nuovo strumento.
Chitarra: solitamente il fondo del solco per l’osso del ponte è piano (si spera), quindi dovrete solo verìficare che lo sia anche la base dell’osso. Verificate anche che l’osso sia solidamente incastrato, cioè adeguato come spessore, fra i fianchi del solco, e non più sottile: qualsiasi movimento laterale o longitudinale significa suono perso. E occhio ad evitare che l’osso sia troppo spesso, quindi forzato nel solco.
4) solchi delle corde: valido per tutti gli strumenti al capotasto e per molti anche al ponte, è il criterio di un contatto solido e non dispersivo delle corde sul fondo dei solchi di appoggio. Trascurando il capotasto degli strumenti ad arco (e date un pó di lavoro ai liutai, su!), molto possiamo fare su chitarre, mandolini, banjo, bassi elettrici o acustici curando la correttezza di questo contatto. Se siete degli dei potete scavare (o correggere) i solchi al capotasto con lime del giusto spessore per ogni corda, ottenendo così solchi a sezione rotonda del giusto diametro. Facile da dire, ma se decidete ad esempio di usare corde più sottili? Avrete oscillazioni più o meno significative della corda nel solco, con perdita di trasferimento di vibrazione. Per molti il solco ideale è sempre a sezione triangolare, l’unico che garantisca appoggio, o permeglio dire incastro perfetto della corda indipendentemente dal diametro di solco e corda.
Personalmente preferisco al capotasto solchi rotondi, ottenuti con lime molto sottili usate all’insegna del solco stretto: eventualmente la sommità del solco potrà essere aperta con pochi tocchi di una lima triangolare, per ‘liberare’ la corda (che non dovrà comunque affondare nel solco per più di 1/2 o 2/3 del suo diametro). La va a gusti…
Nel caso del ponte, al contrario, pur avendo usato solchi a sezione rotonda per secoli mi sono convinto che i solchi triangolari sono meglio, purché siano superficiali e inclinati. La corda deve ‘salire’ dalla cordiera (tailpiece) lungo un solco scavato a rampa con sommità verso il manico, in modo che la corda sia trattenuta nel solco verso la cordiera, e come appoggiata sulla sommità del ponte ai limite anteriore (verso il manico). Pochi tocchi di una lima triangolare fine (magari anche carteggiata per togliere un pó di morso) bastano anche per le corde spesse del mandolino o del dobro o di una chitarra archtop, se tenete l’inclinazione corretta.
5) meccaniche e cordiera: in questo caso non è tanto il trasferimento diretto del suono a soffrire se i contatti non sono solidi, quanto piuttosto la solidità complessiva dello strumento, dato che una parte delle vibrazioni verrà dispersa nei minimi ma inutili movimenti delle meccaniche all’interno della paletta, o della cordiera (lateralmente) sulla cassa.
Poco, ma importante.
Per questo numero mi fermo qui con il set-up, nel prossimo numero parleremo di materiali e tensioni, come minimo. Buon lavoro.
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 23, 1994