Marc Benno

Lo show-business americano predilige sempre più la forma che il contenuto o, alla meglio, è portato a darvi un’importanza eccessiva. Preferisce inventare o costruire dal nulla personaggi senza storia e cultura musicale piuttosto che approfittare del patrimonio storico che gli appartiene. Tutto questo con alterne fortune. Il vuoto ben confezionato, l’appetibile e di facile consumo, l’inseguire stereotipi di successso, l’anteporre il ‘personaggio’ alle doti musicali non sempre ripaga.

Tutta una serie di musicisti dall’incredibile valore artistico e dall’invidiabile patrimonio cultural-musicale, costruito con anni di lavoro e sacrifici e, spesso, sostenuti da passione autentica, che garantirebbero forse migliori risultati sia in termini commerciali che artistici viene ingiustamente ignorata o emarginata.
Queste sono le cause per cui ci battiamo e grazie a queste contraddizioni prosperano labels come l’olandese Provogue che, dopo Omar Dykes e prima di Mason Ruffner e Lee Clayton, è in grado di rispolverare un personaggio come Marc Benno, altro eroe non cantato della musica che più amiamo.

Cerchiamo di condensare più di venticinque anni di storia di un musicista come Marc Benno in poche righe, l’uscita di un capolavoro come Snake Charmer ce lo impone.
Una lunga carriera cominciata nel natio Texas alla fine degli anni Sessanta con il gruppo degli Outcats, il trasferimento a Los Angeles su invito di Leon Russell che aveva prodotto i primi singoli della sua band.

Dopo mesi di lavoro in studio registra il primo dei due albums degli Asylum Choir, progetto rock-psichedelico del vulcanico Russell. All’inizio degli anni Settanta firma un contratto con la A&M grazie al produttore David Anderle ed in rapida successione escono l’album d’esordio solista, in compagnia di Ry Cooder, Booker T., Jesse Ed Davis, Rita Coolidge, Minnows, secondo disco che gli varrà l’invito di Bruce Botnick a suonare nel celebre L.A.: Woman dei Doors, Asylum Choir ll sempre con Leon Russell per la sua neonata label Shelter.

I primi anni Settanta sono i più ricchi di soddisfazioni per questo talentoso cantante-chitarrista, continuano infatti con un tour europeo come bandleader del gruppo di Rita Coolidge, i Dixie Flyers, che comprende i migliori session-men di Memphis, in compagnia dei Byrds.
L’uscita del suo terzo album dal titolo Ambush, ancora una volta gratificato dalla presenza di molti illustri ospiti dei precedenti dischi, riaccende nuove speranze anche per la sua carriera solista che non riesce a decollare come ci si attende. Partecipa inoltre alla registrazione del celebre Memphis Menue di José Feliciano, prodotto da Steve Cropper.
Improvvisamente il bel mondo del rock sembra dimenticarsi di lui e Marc Benno si rifugia nel suo primo amore, il blues.

Dal 1974 al 1980 non si sposta quasi più dal Texas dove svolge un’intensa attività concertistica in compagnia di blues-men di colore come Mance Lipscomb prima e di Sam ‘Lightnin’ Hopkins poi. Di quest’ultimo, considerato da Benno uno dei più grandi di questa musica e sicuramente il più autentico tra i blues-men texani, guiderà il gruppo per più di un anno.
Dopo un lungo periodo di silenzio la sua grande occasione, registra a Londra il suo quarto disco solista dal titolo Lost In Austin. Prodotto da Glyn Johns ed in compagnia di Albert Lee, Carl Radle, Jim Keltner, Dicky Sims ed Eric Clapton. Marc aveva conosciuto Eric ai tempi di Delaney & Bonnie, dal quale Clapton trarrà il nucleo dei futuri Derek & the Dominoes.

Nonostante l’album sia ancora una volta bene accolto dalla critica, questo buon rocker texano sigla l’ennesimo insuccesso di vendite che lo allontana dalle majors. Marc scompare per tutti gli anni Ottanta dedicandosi all’attività di autore.
Il suo maggior successo gli viene proprio da  Rock & Roll Me Again. Originariamente scritta per il film Streets Of Fire e poi rifiutata, questa canzone viene registrata da Stevie Nicks e Joan Jett prima che la MCA decida di utilizzarla per il film Beverly Hill Cop. grazie al quale Marc ottiene un Grammy per la colonna sonora.

Passano altri anni di silenzio prima dell’uscita di Take It Back To Texas, compact autoprodotto e pubblicato in Francia e Giappone agli inizi degli anni Novanta. Lo accompagnano vecchie conoscenze del blues texano, Denny Freeman, piano e chitarra, Jim Milam, basso dei Juke Jumpers, Big Doyle Bramhall, batterista con i Vaughan Bros, ed una giovanissima chitarra texana, Little Doyle Bramhall, da poco entrato nei Fabulous Thunderbirds.

Marc Benno produce, canta e suona un album di blues, canonico nella struttura, senza concessioni commerciali, in uno stile semplice, quasi arcaico, ma incisivo e di grande presa. L’album prende il nome da una delle più belle composizioni del disco, lo slide-guitar blues Take It Back To Texas, emblematico dello spirito che anima Marc Benno, ottimo autore di tutti i brani, e della sua blues-band.
Benno sembra aver accantonato qualunque ambizione rock, vi è una sola splendida love-ballads dal titolo My Greatest Find, per dedicarsi al blues con ottimi risultati.
Quando sembra si siano perse ancora una volta le sue tracce troviamo un suo pezzo scritto con i due Bramhall, Shape I’m In, come brano principale del CD d’esordio del supergruppo degli Arc Angels.

Non tarda ad arrivare anche il suo nuovo album dal titolo  Snake Charmer che apre proprio con questa stupenda e solida rock & roll ballad. Registrato a Nashville con l’accompagnamento dell’ex-band di Joe El Sonnier, dove ritroviamo Buddy Flett, non dimenticato leader e chitarrista degli A-Train. Questo disco ci ripropone un Marc Benno tornato ormai ai vertici delle sue possibilità di autore ed interprete in chiave decisamente più rock con accenti southern, blues e roots.

Benno torna ad esprimersi anche in veste di chitarra solista, ruolo che nel precedente lavoro aveva lasciato a Freeman, firmando un lavoro ricco di brani molto belli ed interpretati con grande feeling. Un lavoro di una caratura rock decisamente superiore alla media degno delle migliori produzioni di Clapton o di J.J. Cale. Una piccola formazione ben diretta basta a far brillare il suo rock che ha accenti southern, texani, ed anche Bandiani, per la maestosità di certe ballads, oppure New Orleans come in Fishin’, divertente brano di chiusura.
Snake Charmer, poi, è un brano veramente ipnotico nelle sue cadenze, ritmato ed affascinante, potrebbe essere uscito dalla penna del miglior John Fogerty.

Per quanto presente in dosi minori rispetto al precedente compact, non bisogna dimenticare di segnalare la qualità della blues-side di Marc Benno. Come amano sottolineare alcuni veterani del blues texano, pochi cantautori hanno il senso del ritmo e della melodia così radicato nel blues del natio Texas come lui, e la sua musica e le sue parole, dopo tanti anni, non hanno bisogno di commenti.

Forse solo in questo modo si spiegano songs notevoli e di toccante intensità come Jimmy Reed’s Mama, con uno strepitoso Buddy Flett alla chitarra solista, Sugar Blues e Barbecutie, in grado di soddisfare anche le esigenze del blues-man più esigente.
Difficilmente Marc Benno avrebbe potuto onorare in modo migliore venticinque anni di carriera. Sono personaggi come questi che dobbiamo avere cari.

Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 4, 1994

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