“E’ un un po’ strano, c’è del blues, ma c’è anche tanto d’altro” sono le parole che mi ha sussurrato mentre mi dava il disco, che sommate all’espressione del suo viso e al tono della voce, mi hanno trasmesso un particolare stato d’animo che m’ha spinto a lasciare il disco lì sul mobile vicino al lettore a guardarmi per diversi giorni. Arrivato il momento giusto per ascoltarlo, ho scoperto un’opera delicata, molto personale, intima, semplice in maniera disarmante, essenziale, assolutamente priva di gratuiti orpelli. Come m’aveva detto, c’è anche tanto d’altro. Vero, ci sono atmosfere tex-mex, c’è l’adorabile suono twangy di Duane Eddy, c’è l’atmosfera innocente delle canzoni di Buddy Holly, la bellezza del country. La somma di tutto questo può ricondurre a certe cose che Ry Cooder ha amato realizzare in diversi momenti della sua carriera. E poi c’è il blues, un po’ ovunque, a volte sottoforma di retrogusto, altre con fraseggi inequivocabili.
La chitarra di Marco è fluida, parla, canta, balla, accarezza. Ruben Minuto al basso e Gio Rossi alla batteria sono perfetti, una cosa sola con la chitarra.
Da consumare preferibilmente al tramonto, sorseggiando un liquore dolce, non troppo forte.
Autoprodotto (Blues, Roots Rock, Blues Rock, 2015)
Maurizio Faulisi, fonte Chop & Roll n. 24, 2016
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