Mark O'Connor

Sono ormai trascorsi più di vent’anni da quando un fiddler bimbo-prodigio dallo stato di Washington salì sul palco di un fiddle contest, e da allora il mondo del fiddle non è più stato lo stesso. Da giovane teenager Mark O’Connor divenne il più famoso ‘contest fiddler’ di tutti i tempi, cambiando per sempre gli standard con cui i fiddler vengono giudicati. Il suo modo di suonare ebbe uno strepitoso impatto, con un’eco che vive a tutt’oggi in ogni giovane fiddler che suoni in Texas-style, in ogni competizione, ovunque negli Stati Uniti. Il partecipare ai concorsi negli ultimi anni settanta e nei primi ottanta era un semplice trampolino di lancio per questo giovane fiddler. Grazie alla sua padronanza tecnica ed alla prodigiosa abilità nell’improvvisare, le incursioni di Mark nel bluegrass, nel western swing, nel jazz e nella new acoustic music lasciavano ovunque gli osservatori a scrollare la testa increduli.

A venti anni di età egli era già generalmente considerato il più grande dei fiddler, ovunque e da sempre. Dopo brevi lavori nei primi anni ’80 con il David Grisman Quintet (specialmente come chitarrista), e con il gruppo di rock-fusion Dregs, Mark si trasferì a Nashville e ben presto divenne il più importante fiddler nelle sale di incisione, ricevendo numerosi premi come miglior strumentista dell’anno dalla Country Music Association. Diventò anche il direttore musicale della trasmissione settimanale American Music Shop, in onda sulla TNN (Tennesse Network News, N.d.T.), registrò diversi album come solista per la Warner Brothers e, con tutto ciò, riuscì a trovare il tempo per suonare in giro per il mondo.

Sono trascorsi diversi anni da quando Mark ha deciso di troncare il suo lavoro in sala di incisione per avere più tempo per le tournee e promuovere la sua carriera come solista. Ora, all’età di trentacinque anni è senza dubbio il fiddler più autorevole dei nostri giorni. Solo il mondo del violino classico ha visto il livello di virtuosismo tecnico mostrato oggi da Mark O’Connor, ma ciò non è probabilmente mai stato unito ad una tale stupefacente abilità nell’improvvisare.

L’intervista che segue è stata rilasciata allo Strawberry Music Festival, vicinissimo a Yosemite, California, nel settembre 1995

JT – Perché non iniziare con quello che stai facendo ultimamente – sei in equilibrio tra registrazioni, esibizioni come solista, e anche qualche concerto classico.

MO – Io penso che questo sia stato l’anno più piacevole nella mia carriera musicale, per la grande varietà di opportunità che mi si sono presentate fino a questo punto. Ho iniziato la mia carriera seguendo una varietà di gusti musicali… Effettivamente, ho costruito una carriera di successo non seguendo alcuna particolare direzione. Ciò è davvero soddisfacente. Dovrebbe essere evidente alla maggior parte della gente che mi ha seguito che ho sempre mescolato di tutto, e ho sempre seguito il mio cuore ovunque mi abbia portato musicalmente, senza mai forzare nulla perché fosse differente, ma semplicemente essendo diverso in modo naturale. Sento che, adesso, avrei proprio bisogno di fare un album blues. Vorrei provare a mettermi in condizione di cavarne qualcosa. Penso di avere sotto mano una casa discografica – la Warner Brothers – che mi ha seguito nel corso di questi miei cambiamenti, e nell’ultimo naturalmente, il Fiddle Concerto, un contesto classico creato da violino e orchestra con il mio quartetto d’archi di violino, viola, violoncello e contrabbasso.

JT – E stai suonando con orchestre sinfoniche? So che hai eseguito la San Francisco Symphony il 4 di luglio …

MO – Si. In quel particolare evento del 4 luglio io ero uno dei numerosi ospiti, per cui non ho avuto il tempo per eseguire Fiddle Concerto, ma mi hanno chiesto di tornare per una mia serata. Però questa estate ho eseguito il Fiddle Concerto con l’Orchestra Sinfonica dello Utah, con la Eugene Simphony, con l’Orchestra del Minnesota, nel Connecticut, a Fort Worth, a Lubbock, ed a Jacksonville, Florida. Sono previste esecuzioni per questo autunno – con l’Orchestra Sinfonica di Des Moines, con quella di Kansas City, a San Antonio. Per cui al momento sto lavorando con queste orchestre interessate in questa nuova musica che ho preparato, componendo, almeno quanto con il mio spettacolo da solista.

JT – Per quanti giorni all’anno sei in tournee?

MO – Boh, ho un po’ ridotto ora, sotto un centinaio di giorni, e questo è il livello che voglio mantenere, se posso, perché voglio avere il tempo per comporre. Ora sto ricevendo richieste dopo il primo Fiddle Concerto. Ho avuto una richiesta dal Meet the Composer, che ha valutato la partitura che ho preparato, e mi hanno commissionato un secondo concerto per violino, il quale sarà il mio secondo Fiddle Concerto. Siamo molto emozionati per questo. Ci sarà un consorzio di tre orchestre a presiedere. Si terrà al Lincoln Center – ho suonato anche il Fiddle Concerto al Lincoln Center questa estate -. Sarà ancora al Lincoln Center, a Nashville, dove vivo, e con l’orchestra Sinfonica del New Mexico, quello stato ha significato davvero molto per me e la mia musica in questi ultimi dieci anni, per aver ospitato il primo Fiddle Concerto ed il mio string quartet al Santa Fé Chamber Music Festival. Ho davvero avuto dei grandi spettacoli là, e sono felice di fare anche questa cosa ancora con loro. Ho avuto una commessa anche da Sharon Isbin, la virtuosa della chitarra classica, uno dei più famosi musicisti classici dello strumento dei nostri giorni. Lei mi ha commissionato alcuni duetti, e farò anche quello, non appena avrò finito questo secondo Fiddle Concerto, che ho completato per circa tre quarti. Ci ho lavorato un po’ anche stamattina. Mi sta prendendo tutto il tempo, sarà un concerto lungo – circa cinquanta minuti.

JT – Per le tue esibizioni attuali, provi con le orchestre?

MO – Sicuro, ogni volta che un’orchestra sinfonica ci prenota ci sono almeno due prove prima del concerto. Di solito arrivo un giorno o due prima, e normalmente suoniamo almeno due serate. A Ft. Worth abbiamo suonato tre serate, ed abbiamo battuto il record di presenza di pubblico dell’anno, il che è molto gratificante, per le tre esecuzioni. E vediamo che questo succede molto spesso. Abbiamo un record di presenze anche ad Eugene. Io non so se ho un nome di così grande richiamo o che altro, o forse è grande la curiosità nel sentire di un concerto per fiddle eseguito insieme ad un’orchestra sinfonica.

JT – Ora ti trovi a frequentare molti musicisti classici nel fare tutte queste cose. Che tipo di reazioni ricevi dai musicisti classici, che probabilmente non hanno molta familiarità con il fiddle?

MO – Ogni volta che vado alle prove per la prima volta, trattengo il respiro nel rendermi conto che ci sono circa cinquanta musicisti di archi che verificano quello che faccio, e devo mantenere una certa compostezza per fare una buona prima impressione. In un certo senso, è come un’audizione, ma io so che avrò comunque la data! Voglio meritare di essere lì.

Non c’è alcuno spazio già creato per un fiddle in questo contesto. Per cui in un certo senso è una vera novità per molti di loro. Ma più faccio questo, più vado alle prove per la prima volta con una nuova orchestra e trovo sempre più e più gente con il mio album ora, o gente che mi ha sentito nominare. E’ una specie di passa parola. Oggi alcuni dei violinisti classici e di altri musicisti ad arco veramente grandi sono più informati di quello che sto facendo con il fiddle. E questo ha creato una nuova opportunità per me di suonare e comporre in un gruppo professionale di musica da camera, cosa che abbiamo iniziato a fare con un trio con Yo Yo Ma al violoncello ed Edgar Meyer al contrabbasso. Registreremo per la Sony.

JT – Parliamo di come hai raggiunto il tuo livello di abilità tecnica, e un po’ del modo in cui hai fatto pratica, e cosa ti ha portato a questo livello. Perché nessun altro fiddler ha mai raggiunto il tuo livello tecnico, e mi chiedo se tu ne sia cosciente. Possiamo vedere storicamente come hai fatto pratica, da quando eri un ragazzo in avanti…

MO – Beh, sai, per essere franco e onesto, io non faccio pratica. E non ho mai fatto pratica a lungo fin da quando avevo tredici anni.

JT – Hai iniziato a circa undici anni…

MO – Ho effettivamente iniziato a suonare la chitarra quando avevo cinque o sei anni, ed ho iniziato con il fiddle a undici anni. E ho fatto pratica ed esercizi e suonato come un matto per due anni. Penso di avere imparato un duecento fiddle tunes.

JT – Stai dicendo che ci dedicavi quattro o cinque ore al giorno?

MO – Di più. E lo facevo perché mi andava di farlo, ma qualche volta facevo pratica per tutto il giorno, forse sette o otto ore, imparando queste fiddle tunes. Ed ho imparato duecento fiddle tunes in due anni. Ho imparato la maggior parte di questi da Benny Thomasson.

JT – Per cui erano per lo più in Texas style.

MO – Sicuro. E quando avevo, mi pare, quattordici anni, mi dissi “Ne ho abbastanza di questo. Ormai ne conosco abbastanza di fiddle tunes”. Volevo provare altre cose. E mi sono trovato a un punto morto, perché il mio insegnante, Benny Thomasson, se ne andò, e non riuscivo a trovare qualcuno che mi fosse di ispirazione nel Nord Ovest in quel periodo. Questo quando avevo quattordici anni. E andò tutto a rotoli, l’energia nel suonare, la pratica…

JT – Però partecipavi regolarmente ai contests..

MO – D’estate. Ogni tanto d’inverno. Ma non avevo nemmeno voglia di prepararmi ai contest di fiddle. Non ripassavo neanche, non provavo nemmeno di sfuggita nessun pezzo fino a che non arrivavo. E lo stesso per Weiser. Per qualche motivo, era un insieme di cose per avere perso il mio maestro, penso che fosse una depressione adolescenziale, mi sembrava di avere più talento che possibilità di sfogarlo, e che fossi incompreso, e che la gente non sapesse che farsene di me… Io non capivo tutto questo allora… In realtà, la Rounder Records – per la quale avevo inciso due album quando avevo dodici e tredici anni – mi cercò all’età di quattordici, mi cercò a quindici… Per tutto questo tempo mi telefonavano, dicendo “Vorremmo un altro disco da Mark”, e io dicevo “No, non ne ho voglia”. Quando avevo sedici anni, continuavano a chiamarmi ogni due mesi, e mia mamma diceva, “Beh, dice che non ne ha voglia”. Mi guardo indietro e mi dico “una casa discografica che implora un musicista di registrare un album” – non è che implorassero, ma chiedevano molte e molte volte. Non ci posso credere.

JT – Non avevi proprio l’ispirazione a farlo.

MO – Non volevo farlo. Mi ricordo che quando avevo sedici anni mi dissero: “che ne dici di un album di chitarra?”. Cercavano di usare un altro sistema, e io dicevo “Non voglio”. E avrebbero chiamato ancora dopo pochi mesi, e dicevano “Dite a Mark che possiamo avere per lui chiunque, chi vorrebbe?”. E io dicevo “Che ne dite di David Grisman e Tony Rice?”, così, solo per prenderli in giro – tutti i miei eroi, capisci? – E loro mi richiamavano e dicevano: “Possiamo averli”. Io dicevo, “Si, perfetto. Beh, non voglio farlo lo stesso”. E allora mia mamma puntò i piedi e disse: “Vedi, ti abbiamo pagato lezioni di chitarra per molti anni. Il minimo che tu possa fare è pensare alla musica per quindici minuti al giorno. Non ti sto chiedendo di suonare la chitarra, solo di pensarci. Pensa a quello che faresti se avessi la possibilità di registrare un album di chitarra”. E questo è il modo in cui ne uscii, per quel che riguarda lo studio. Ma quello che era strano fu che, all’improvviso, dopo un paio di giorni, cominciai ad avere delle idee.- E quando poi presi in mano la chitarra stavo meglio. Stavo molto meglio di quanto non lo fossi mai stato prima. E ne uscì l’album Markology, che è ancora disponibile in CD.

JT – A questo punto, non avevi ancora vinto a Weiser, che è il National Contest. Non avevi fatto pratica? Non lo avevi come obiettivo, di vincere a Weiser? Avrei supposto che tu avessi dedicato molte ore a Weiser…

MO – Tutti mi dicevano: “Mark, se tu potessi solo suonare come quando avevi tredici anni, vinceresti”.

JT – Era per la tua scelta troppo progressiva delle note?

MO – Sicuro, e questo suonava un po’ troppo bizzarro. Non era abbastanza old time. Impressionava alcune persone, ma ne spaventava altre. Quando stai suonando per una giuria di musica old time, alcuni ne rimangono impressionati favorevolmente, alcuni altri ti danno un punteggio basso. Così tutti mi dicevano: “Regredisci, regredisci”. Per cui non c’era alcun bisogno di fare pratica. Dovevo semplificare. Così che quando mi esibii la prima volta cercai in effetti di suonare per i giudici, avevo diciassette anni, fu quando vinsi il concorso nazionale. Ogni altra volta io cercavo semplicemente di fare quello che faccio, nel modo migliore in cui riuscivo. Ma fu una buona lezione per me, perché mi resi conto che ci sono circostanze, parlando come musicista professionista, in cui si cerca di indirizzare il tuo stile o la tua direzione. E mi preparò perfettamente per le sessioni di Nashville.

Il rapporto che vidi tra il Weiser National Fiddle Contest e le sessioni di studio è molto stretto, per come la vedo. Anche se ho imparato molto quando ero nella band di David Grisman e nei Dixie Dregs, anche quelle cose mi hanno molto aiutato, ma noi suonavamo per noi stessi – non ci dedicavamo all’ambiente commerciale, o a qualsivoglia ipotetico giudice, nello scenario nazionale, un programmatore radio o un giudice di fiddle contest -.

Entrambe queste cose determinano il tuo destino quel giorno in quella circostanza. Che ti piaccia o no, che tu sia soddisfatto di quello che hai fatto oppure no. Per cui quella cosa mi ha dato una vera spinta, e imparai come farlo senza sentirmi come se fossi sceso a compromessi. Ci avevo messo abbastanza di me stesso per metterci il mio marchio. Per cui non mi ero preparato per quel concorso a Weiser, fino a che non ci andai quella settimana.

JT – Portiamo avanti il discorso, superando quel contest, lo sviluppo delle tue abilità tecniche… Come gestisci gli ostacoli tecnici, le cose che sai che vorresti fare e che le tue dita non sono pronte a fare? La maggior parte delle persone trascorrono ore ad esercitarsi sui passaggi difficili, ma tu sembra che, in qualche modo, abbia saltato questa fase.

MO – Quando ho conosciuto Edgar Meyer, lui non riusciva a capire come potessi non esercitarmi sul violino. E dopo un po’, dopo che me lo stavo chiedendo anche io, e trovandomi in diverse situazioni dove quella faccenda saltò fuori, alla fine dissi: “Edgar, non c’è un solo minuto della mia giornata che trascorra senza che io non pensi alla musica”. E lui disse: “Ecco come. Ti eserciti nella testa. E questo è la metà”. Per poter completare la risposta, devo in effetti avere gli strumenti fisici. Ma è questo, percorrere un passaggio musicale che mi viene in mente all’improvviso, e immaginare di eseguirlo.

Ma arrivi a un punto in cui c’è un passaggio che la tua mente vorrebbe suonare e che il tuo archetto o le tue dita dicono: “Non ce la facciamo?”. Sicuro. Un sacco di volte. (Ride)

JT – E’ bello sentirlo dire! Ci sono persone che sospettano che questo non ti succeda mai!

MO – Oh si, tutto il mio spettacolo da solista è pieno di sforzi. E’ questo che è cosi bello per me nel mio spettacolo ‘solo’ – mi trovo in una posizione da cui posso spingermi lontano quanto posso, e non mi volto mai indietro per guardare se c’è qualcun altro. Sono un buon musicista di gruppo – posso sentire quando è corretto restare defilato, uscire, entrare, complementare un’altra persona che suona una bella melodia, e così via, il che è molto bello da fare, e molto gratificante. E’ così che ti senti, suonando da solo, puoi spingerti in diversi modi…

JT – Se sei lì e ti senti come se sforzassi, e che in quel modo ti stai essenzialmente mettendo nei guai, come fai a mascherarlo così bene per l’ascoltatore, a cui sembra tutto sempre così scorrevole?

MO – Beh, a volte faccio errori madornali, talmente evidenti che rido. Ma è buona cosa avere umiltà, sapere che farò comunque del mio meglio. Vedi, potrei non farlo durante una certa serata, ma voglio sforzarmi di essere veramente divertente. E spero di poterlo fare ancora a lungo. Il mio spettacolo come solista dura ora da quattro anni (cinque a tutt’oggi, N.d.T.), e sembra che alla gente piaccia sempre di più.

Per parlare delle tecniche non alla mia portata, sto scrivendo dei Capricci che sono la cosa più difficile e ridicola che possa sperare di fare. Che io sappia, al di fuori dell’ambiente classico non so di nessun fiddler che sia riuscito a maneggiare quel tipo di virtuosismo tecnico.

JT – Questo è uno dei motivi per cui ti faccio queste domande su questo argomento. Normalmente, uno deve esercitarsi con rigore, e tenersi sotto pressione nello studio per raggiungere quel livello, ma…

MO – Beh, io non lo faccio…

JT – Sembri molto sicuro su questo, ma non pensi mai: “Che succederebbe se lo facessi?”

MO – E’ così bizzarro, come con quei Capricci, se tu potessi averli sentiti la prima volta che li ho composti, li ho suonati perfettamente (Ride). E poi se ne sono andati a ramengo. E’ come se, più ripeto una cosa, e più questa peggiora. Più registrazioni faccio su un pezzo, e peggio riesce. E’ un dato di fatto che a Nashville tutti i produttori e tecnici sanno che se O’Connor viene per una registrazione, appena hai messo a posto il suono, pigia il bottone di registrazione, perché probabilmente suonerà qualcosa che vorremo tenere.

I due pezzi che hanno veramente sfondato in radio quando sono comparso nel giro degli studi di registrazione, una canzone intitolata High Horse della Dirt Band e una canzone di Michael Martin Murphy intitolata Fiddling Man – quegli assoli erano grossi, lunghi numeri di fiddle, ed erano entrambi prime registrazioni. E così mi sono assolutamente abituato a questo modo di sentire. Anche se mi piacerebbe poter fare molte registrazioni prima di cominciare ad andare a ramengo. Ma onestamente, direi che se dovessi ripetere una registrazione sei volte, comincerei a perdere qualcosa. Per cui la ripetizione spesso non aiuta le persone come me. In effetti, io ho veramente trasformato questo in un’arte.

JT – Stiamo parlando di come uno si prepara, e di cosa fai di tutta la tecnica di cui ti impadronisci.

MO – Bene, quando ho bisogno di rinforzarmi sul fiddle, io suono di più la chitarra. Così ho fatto ultimamente. E la chitarra mi aiuta a mantenere il tono muscolare nelle mani. Questa è una cosa che mi preoccupa ultimamente. Ma penso a questo solo perché mi sono trovato in una fase così incredibile nel giro delle registrazioni che suonavo dodici ore al giorno in studio, e potevo suonare così a lungo senza stancarmi. E questo teneva quei muscoli tonificati.

Ma questo anche veniva incontro alla mia filosofia riguardo al capire diversi stili musicali. Era come se volessi veramente cercare ispirazione in un certo tipo di musica. Ne suonavo un’altra diversa per un po’, e poi tornavo a quella di prima. E forse è questo concetto di ritornare fresco, con la mente fresca. Grappelli, che è uno dei miei eroi del violino, e da cui non ho sentito dire questo fino a che non ero cresciuto, diceva: “Fare esercizio va bene per le dita, ma è spaventoso per la testa”. Naturalmente, lui è un musicista che improvvisa. Io penso di me stesso di essere, per natura, un improvvisatore. Così quando parlo di tecnica, questa in effetti non rientra, per me, nel quadro musicale.

A parte che nei Capricci, è come se sentissi la mia strada attraverso la musica. Per cui è molto interessante per me che alcune persone trovino che la mia tecnica sia così preponderante sopra altre cose, mentre il mio approccio non è affatto tecnico. Non faccio nemmeno pratica. Io non mi esercito mai sul violino. Se avessi qualche preoccupazione tecnica, allora farei pratica per ore ed ore facendo scale e passaggi… Probabilmente l’ultima volta che ho suonato una scala è stato quando ho tentato di imparare a suonare il pianoforte, intorno ai sedici anni. Non mi piace fare queste cose. Non è, per me, un’esperienza musicale. Per cui la mia attività giornaliera non riguarda la tecnica. Ma, detto questo, mi piace molto il fatto di sentire un miglioramento in questi ultimi due anni, e penso di sapere il perché.

Tornando a quando ero teenager, per quanto fossi stato bravo quando entrai nel David Grisman Quintet quando avevo diciassette anni, avrei potuto essere meglio, perché non avevo raggiunto il mio completo potenziale. Avevo quasi abbandonato la musica da tre anni. E tre anni, nella vita di un adolescente, corrispondono a molti, molti anni nella vita di un adulto. Mette quasi un po’ paura pensare a dove avrei potuto arrivare. La ragione per cui diventai consapevole di questo fu che Edgar mi disse che la maggior parte dei musicisti classici raggiunge il proprio limite tecnico a diciotto o diciannove anni. E a quel punto io stavo appena cominciando a scoprire il mio. Perciò io penso di avere ancora un po’ di terreno da percorrere.

Ma quando suonai la prima volta il Fiddle Concerto, lo scrissi appena un pò sopra il mio livello tecnico, perché non lo avevo scritto per me stesso. Lo avevo scritto perché un violinista lo suonasse in futuro, magari dopo che me ne sarò andato. Ho fantasticato sul fatto di lasciare questo concerto in qualche sotterraneo, e, dopo che me ne sarò andato, di qualcuno che lo trovi per caso e lo scopra, e lo suoni. Per cui tutto il procedimento compositivo non aveva niente a che fare con me su un palcoscenico. L’ho scritto molto difficile tecnicamente, perché fosse interessante ed impegnativo per un violinista classico che pensi che il fiddle sia una cosa semplice. E quando alla fine arrivai quasi alla fine di questo processo, la mia agente percepì un certo entusiasmo nella mia voce circa il mio progetto segreto, e alla fine le dissi che cosa fosse – stavo lavorando ad un pezzo per orchestra. Lei allora se ne andò in giro a cercare una commessa, e questo fu quando arrivò l’Orchestra Sinfonica di Santa Fé, nel 1993. E loro volevano pagarmi per mettermi in luce come solista.

Ero insieme lusingato e scosso quando lo capii, perché non ero preparato – non sapevo se avrei potuto farlo. Non sapevo come seguire un direttore, fondamentalmente. Voglio dire, si, stavo scrivendo questo pezzo orchestrale, ma non volevo suonarlo. E lei mi disse: “Beh, hai una discreta paga, qui, ed è tua… Tu vuoi fare carriera come solista…” E io dissi “Ok, fammici pensare su un po’”. Così cominciai a pensarci su: “Che cosa mi ci vuole per imparare a suonare questa cosa?” E tanto per cominciare, io non sapevo cosa fare. Non sapevo se avrei dovuto prendere lezioni di direzione orchestrale. Nessuna esperienza. Non ero mai stato da solo davanti ad un’orchestra, fino ad allora.

Poi è venuta l’offerta del Boston Pops, che era ancora sulla TV nazionale, circa un mese prima. Volevano che preparassi due composizioni, di genere pop-music, per lo special Bonnie Raitt-John Raitt. Così ho suonato il mio Orange Blossom Special preso dal mio album New Nashville Cats, e Amazing Grace. Il motivo per cui ho scelto questi due è che hanno un tempo metronomico cioè, uno ce l’ha e l’altro no. Orange Blossom Special ha batteria e basso – e non mi perdo fintanto che il tamburo tiene il tempo. Per cui non ho da seguire il direttore, qui. Per quanto riguarda Amazing Grace, la melodia era lasciata completamente alla mia interpretazione, ed il direttore doveva seguire me. Per cui io dominavo – accelerando, rallentando, accelerando, rallentando – perché improvvisavo la melodia. E questo funzionava. L’ho riascoltato. L’ho guardato, e mi sono accorto, “Ecco! Ho fatto in modo che seguissero me!”. Cosi mi dissi: “Non so se saprò suonare questa parte con l’orchestra. Devo solo pregare che in qualche modo essa possa seguire me”. E sono andato avanti. E ha funzionato. E’ stato un successo clamoroso. E da allora ho imparato molto su come interagire con il direttore.

JT – Parliamo un pò del fiddling più tradizionale. Ti senti ancora in contatto con quel mondo? Compri mai CD di musicisti contemporanei? Come ti senti coinvolto nel mondo tradizionale?

MO – Ci sono cresciuto, e ci ho fatto molta strada fino a quando ho smesso di partecipare ai fiddle contest all’età di ventidue anni. Naturalmente, quando ti allontani da qualcosa che hai completamente esaurito sei pronto a guardare in un’altra direzione. E non volevo più partecipare a competizioni. Pensavo di averne fatte abbastanza. Non avevo più nulla di nuovo da offrire a quel punto, e non mi piace strafare. L’unica cosa che avrei potuto fare sarebbe stato continuare ad aiutare a preservare il fiddling old time, e sentivo che avrei potuto fare di più esplorando altri territori.

Il fatto interessante è che questa è esattamente la mia filosofia riguardo a come esercitarsi e tutto il resto. Se voglio migliorare in qualche modo, farò qualcosa di completamente diverso per un po’, e ci ritorno su con un nuovo modo di pensare. Per cui la piantai, ed entrai nel giro delle session commerciali a Nashville. L’ho fatto per un po’ fino a che non ne potei più, e allora a quel puntò mi chiesi: “Che cosa ne voglio davvero fare, ora, delle mie radici di fiddler?” Perché mi ero accorto che ne sentivo la mancanza. Anche se ero su dischi che venivano ascoltati da milioni di persone, mi sentivo un poco estraneo. Così ho messo su il seminario dei miei sogni. Ho immaginato che se avessi potuto usare il mio nome per mettere insieme questa cosa, per mandarla avanti, per avere i migliori insegnanti ed esecutori dello strumento riuniti in una situazione che dia supporto a tutti i diversi tipi di fiddle folk, quello sarebbe stato il seminario da sogno dove avrei voluto andare.

Weiser era la cosa che più gli assomigliava, e volevo mettere insieme qualcosa di simile, ma senza la gara. Nel mio seminano da sogno ci devono essere tutti i musicisti da cui voglio imparare. Ho ancora un sacco di cose da imparare, e se ho un minuto libero, mi metto in contatto con quelle persone che penso mi possano mostrare un pò di materiale sul fiddle. Mi immagino che se questi mi possono mostrare qualcosa, ci sono possibilità che questo possa davvero far piacere ad altre persone.

Così ho cominciato a chiamare Darol Anger, e la grande violinista classica Ida Levin… A diciannove anni abbiamo suonato entrambi per il presidente Reagan allo Young Artists alla Casa Bianca. E dopo tutti questi anni, Ida verrà al mio seminario di fiddle. E’ favolosa. Sto mescolando il violino classico – un insegnante – con altri fiddler. Ho ottenuto che il professore di violino del Conservatorio di San Francisco venga il mese prossimo, Ottobre, ed è una persona meravigliosa, un buon amico. Ha detto: “Ma io non so niente di fiddle”. Io ho detto che va bene… Avrò un insegnate di jazz che potrebbe non sapere niente di fiddling celtico. Avrò Natalie MacMaster da Cape Breton, che potrebbe non sapere niente di jazz, ma ne saprà qualcosa prima che finisca la settimana, perché tutti ribolliranno di eccitazione per il fiddling. Ed il violinista classico che lavorerà con un branco di fiddler dirà le cose per lui ovvie, di curare il loro timbro, come produrlo, il controllo del vibrato, la bellezza del suono, la precisione, la postura – noi tutti abbiamo bisogno di quel tipo di cose. C’è molto da fare, e la gente ne trarrà vantaggio.

Vedo che un sacco di piccoli violinisti, fiddler prodigio verranno al seminario – da urlo! Dovresti venire – specialmente in giugno, quando ci sono tutti i ragazzini. Ne abbiamo avuto uno, di otto anni, veniva dalla Cecoslovacchia, e poteva suonare tutto dal mio album New Nashville Cats.

Abbiamo aggiunto un’altro seminario autunnale, in ottobre, perché avevamo tutto esaurito. Mi sembrava che molte persone che avrebbero voluto non abbiano potuto venire, così ho parlato un po’ in giro e abbiamo pensato di farne uno in autunno. Sarà più piccolo, perché i ragazzini saranno a scuola. Sarà essenzialmente con adulti che non sono potuti venire, e con qualsiasi ragazzo che voglia venire. E così, in questo modo, mi terrò in contatto. Lavoriamo tutto l’anno, tenendoci in contatto con i fiddler, ricevendo un sacco di lettere.

E poi ho iniziato il mio programma di fiddle all’università Vanderbilt, dove sono professore associato aggiunto di fiddling. Questo è un titolo che non avevo cercato. Il nuovo preside di musica a Vanderbilt, la Blair School of Music, è venuto una volta a vedermi suonare, e mi ha prospettato la possibilità di entrare in facoltà. La denominazione ufficiale del mio corso è Fiddling Tradizionale e Progressivo. Come mio assistente mi sono preso il campione nazionale di fiddle canadese, Crystal Ploham. Quest’anno è arrivata seconda a Shelbourne. Lei mi ha molto aiutato a spargere la voce in questa campagna pro-fiddle in un ambiente musicale classico molto conservatore. Insegna ai principianti e nelle lezioni private, e io tengo due lezioni di gruppo il martedì sera. Lei insegna tutta la settimana, così che possiamo prendere tutti quelli che vengono.

La cosa che mi sembra che faccia la maggiore differenza è che molti bimbi che normalmente non sarebbero diventati fiddler, che avrebbero continuato a studiare in conservatorio, stanno guardando al fiddle come alternativa, perché i loro genitori ci si stanno abituando. Io sono stato un caso unico, nella mia situazione. La gente non crede che né mamma né papa suonassero il fiddle. Ma allora com’é che hai suonato il fiddle? Naturalmente lo suoni perché lo fanno i tuoi genitori.

JT – Hai imparato da tuo nonno?

MO – No, mio nonno non suonava il fiddle. Per cui ero davvero strano in questo senso, ed è un fatto che la maggior parte dei musicisti folk tramandano ai loro figli, ed è per questo che loro suonano. Ovvio che non tutti i figli dei musicisti folk diventeranno bravi, ma ci sono ragazzi di talento in giro, e se non hanno un posto dove andare automaticamente, andranno dritti al conservatorio, senza nemmeno considerare il fiddling. Ma adesso abbiamo un sacco di ragazzi molto dotati, e verranno al seminario di fiddle… un gruppetto di piccoli geni. Perciò tra dieci, quindici anni il fiddling esploderà di talenti.

Ho avuto uno studente – uno avanzato – è difficile chiamarli studenti quando sono così bravi – gli ho mostrato ogni lick diffìcile nel mio capriccio per fiddle, e lui me li suonava come se fosse uno specchio. Ha solo venti, ventuno anni. Ce ne sono altri come lui, e adesso ce n’è un gruppo più giovane che inizia a quel livello ancora prima. Così penso che il fiddling si stia davvero sviluppando. A quanto sembra, ci sono forse più fiddler al lavoro oggi in America che forse negli anni sessanta, probabilmente almeno altrettanti, forse di più, che si guadagnano da vivere con il fiddle.

JT – Ti guardi mai dietro le spalle? Hai l’impressione di avere concorrenza?

MO – Oh no. Solo orgoglio, se ho fatto qualcosa per stimolare questo… Quando mi trasferii a Nashville nell’83, accesi la radio su stazioni country, e in due giorni sentii solo quattro canzoni con il fiddle. Se volevo lavorare, dovevo mettermi a cercare di creare una richiesta. Perché nessuno assumeva nessun fiddler. Chiamai Buddy Spicher, e lui mi disse “Forse non avresti dovuto venire. Non c’è lavoro qui – è tutto fermo”. E questa era la paurosa situazione per il fiddle nella Country Music. I DX7 erano appena arrivati nel 1982, ed erano dappertutto – chitarre rock – nemmeno steel guitar. In effetti, Glen Worf, che era il bassista nel gruppo dell’American Music Shop, venne a Nashville lo stesso mio anno, ma ci venne come suonatore di steel guitar. Disse che aveva fatto esattamente la stessa cosa – era arrivato in città, aveva acceso la radio, e non aveva sentito nessuna steel guitar. Diceva: “Se voglio guadagnarmi da vivere, dovrò suonare un altro strumento”. Così imparò a suonare il basso da adulto. Ed ora è il bassista più registrato.

Ma quello era lo stato in cui ci si trovava. Ora Nashville prospera di giovani fiddler come non avresti mai potuto credere. E’ un gran bel momento per essere a Nashville come fiddler. Io aiuto i giovani fiddler quando posso –       vorrei che venissero al mio fiddle camp, vorrei che avessero quell’esperienza, comunicare con facilità con ogni tipo di musicista. Penso che sia molto importante per uno sapere come trattare un rocker, un cantante country, uno che viene dalla musica classica, o dal jazz, essere una parte della scena musicale mondiale. Sento che il fiddle è uno degli strumenti più versatili, il più espressivo…

Quando mi sono messo come giovane musicista, non ricordo di essermi messo a pensare “va bene, vorrei suonare con orchestre sinfoniche….”. Quello che volevo fare era il pezzo successivo, fiddle tunes. Per cui tutta questa roba è un di più. Ero così vicino a lasciare Nashville, per la frustrazione. E’ stato un muro piuttosto difficile da scalare… Il mio primo lavoro a Nashville – sto parlando come uno vissuto, ma non lo sono! – ma il mio primo lavoro a Nashville, dopo un paio di mesi, fu per venti bigliettoni, per fare back up, suonando in qualche banda in un piccolo club che nessuno conosce più.

Alcune delle cose che ho fatto hanno molto influenzato la mia tecnica sul fiddle; ma c’è anche stata una sovrapposizione di sei anni di lavoro in sessioni di studio quando non potevo usare la mia tecnica – la maggior parte delle cose che facevo erano molto posate, cose di contenuto molto sentimentale. Naturalmente suonavo ballata dopo ballata dopo ballata. E una notevole componente del mio modo di suonare è sentimentale. Ma quello che sto facendo ora con la tecnica è scoprire l’aspetto sentimentale, l’intensità – con i Capricci, ad esempio. Per me l’intensità è sentimentale. La felicità è un’emozione. L’album New Nashville Cats è così allegro. Penso che molte volte la gente dimentichi che l’emozione dal violino non significhi solo passione romantica e ballate, ma anche allegri hoedowns e cose veloci, e sensazioni molto intense ottenute con follie tecniche. Sto scoprendo tutto questo, sperando che in qualche modo l’ascoltatore percepisca qualcosa dalla musica.

JT – Trovi che ottenere la giusta emozione dalla tua musica sia difficile da ottenere?

MO – No, per niente. Perché io suono col cuore, con l’anima – è da lì che viene la mia musica. Non l’imparo da una pagina scritta, o da un’altra persona, o da un disco. Tutto quello che faccio, qualsiasi cosa suoni, viene dal di dentro. A volte penso che quello che cerco di dire con il mio aspetto tecnico sia di partire per un’emozione, un viaggio, una intensa ricerca.

(per gentile concessione di Fiddle Magazine, Vol. 3, No. 1, 1996. Traduzione di Aldo Marchioni)

Aldo Marchioni, fonte Country Store n. 37, 1997

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