Marty Stuart picture

Mentre la musica country si rinnova, guadagna milioni di ascoltatori in tutto il mondo, rappresenta ormai in America la fetta piú grossa del mercato discografico, c’è chi tenta, per aumentarne ulteriormente la diffusione, di cambiarle ancora una volta nome. La si vorrebbe chiamare ‘American Music’ o anche ‘New American Music’ o chissá cos’altro.
Ma, anche se l’operazione di cosmesi verbale non ci trova sfavorevoli, ci chiediamo ugualmente a quale scopo, quando ormai il risultato è stato raggiunto. La country music è giá a tutti gli effetti una realtá internazionale e non è stato certo il significato etimologico della parola che la contraddistingue che ne ha impedito la sua rapida, e in certi casi radicale, evoluzione. Si ritiene ancora il termine ‘country’ causa di frettolosi, fraintesi e sottostimati giudizi? Tutto ció non è piú vero, i fatti lo smentiscono.
Lo smentisce indirettamente anche Marty Stuart, brillantissimo esponente della nuova generazione country che ama definirsi cantante ‘Hillbilly’, come dire:’country alla vecchia maniera’.
Ma non lasciatevi ingannare da questo suo affettuoso e provocatorio modo di etichettarsi; la musica di Stuart è quanto di piú fresco moderno e innovativo ci sia oggi nel segno della tradizione.

Nato il 30 Settembre 1958 a Philadelphia, Mississippi, si riveló fin da piccolo portato alla musica e al canto. A 12 anni suonava giá con la Sullivan Family, un gruppo di bluegrass-gospell, a 13 inizió la carriera vera e propria come mandolinista nei Nashville Grass di Lester Flatt.
Frequentó questa ‘scuola di bluegrass’ per otto anni, poi, nel 1979, dopo la morte del leggendario Flatt, decise di rimanere a Nashville e sfruttare le doti di polistrumentista (chitarra, mandolino, basso, fiddle, ecc.) lavorando come sessionman in studio, costruendosi cosí una buona reputazione.
Il suo primo album, Marty, data peró 1978 e fu realizzato per la Ridge Runner con l’apporto di noti musicisti come Jesse McReynolds, Buddy Spicher, Curley Seckler, Roy Huskey Jr., ecc. oltre allo stesso Lester Flatt.
Non fu un successo anche se i brani, prevalentemente bluegrass, erano di buona qualitá e giá si avvertiva il desiderio di cambiamento che l’avrebbe portato verso il piú ‘gratificante’ country nashvilliano.
Agli inizi degli anni 80 fu determinante l’incontro con Johnny Cash, altro personaggio leggendario. Per sei anni fu nella sua band come chitarrista e ne trasse grande giovamento a contatto come fu di straordinari professionisti.
Come lui stesso ebbe a dire, se con L. Flatt guadagnó il suo primo diploma di musicista, con Johnny Cash conseguí la laurea.
Il sodalizio con Cash lo portó a sposarne la figlia Cindy (matrimonio burrascoso e di breve durata) e a produrre nel 1982, per l’etichetta indipendente Shugar Hill, l’album Busy Bee Cafè dove ancora una volta si attornió di importanti e famosi collaboratori: Doc e Merle Watson, Jerry Douglas, Carl Jackson, ecc. e anche Johnny Cash.
Mentre incessante era pure l’attivitá di ‘studio musician’ che lo vedeva all’opera con personaggi come Willie Nelson, Emmylou Harris, Roger MIller, ma anche Bob Dylan o Billy Joel, nel 1986 fu scritturato dalla Columbia Records per cui incise un nuovo album: Marty Stuart.

Nonostante il discreto risultato ottenuto da Arlene, il singolo che ne fu tratto (19^ posizione nella Billboard Country chart), l’album non ebbe successo, e nemmeno il successivo Let There Be Country ebbe miglior fortuna venendo addirittura accantonato subito dopo la registrazione e pubblicato solo piú tardi nel 1992; e pensare che vi comparivano anche Mark O’Connor e Emmylou Harris.
Ma la carriera di Stuart non si fermó e, dopo importanti collaborazioni ad album quali Highwaymen (Willie Nelson, Johnny Cash, Kriss Kristofferson, Waylon Jennings), Class Of 55 (Johnny Cash, Carl Perkins, Jerry Lee Lewis) e Will The Circle Be Unbroken II, nel 1989 con il suo approdo alla MCA si ebbe la svolta decisiva che lo vide finalmente protagonista vincente.
Il salto di qualitá derivó da varie componenti tra cui principalmente quella musicale costituita da una dosata miscela di country e rockabilly-rock’n’roll, e quella estetica costruita su un’immagine giovane e accattivante che al pari della musica abbinava elementi nuovi e tradizionali.
Capello lungo fino alle spalle, jeans aderenti e consumati, e corte giacchette piene di lustrini (stile Nudie) che farebbero invidia a star degli anni 50/60 come Hank Snow o Porter Wagoner, Marty Stuart consegnó questo look e il suo stile ad una country music in costante rinnovamento che con lungimiranza aveva adottato, al pari del rock, l’uso massiccio del videoclip comprendendone la straordinaria forza di veicolo pubblicitario.
Il ‘nuovo’ debutto con l’album Hillbilly Rock (1989) si riveló subito interessante portando nelle ‘Country Top Ten’ il brano omonimo che sarebbe diventato in seguito la sua canzone-sigla.
Il definitivo ingresso di Stuart nel novero delle country star piú acclamate e popolari si ebbe poi con Tempted (1991), un CD emblematico, una vetrina ideale che ne mostrava tutte le qualitá e la versatilitá: a proprio agio come era con bluegrass, honky tonk, gospell, country-rock.

Questo equilibrio tra vecchio e nuovo che informa tutta la produzione di Stuart non ha mancato di sottolinearne pure le doti di compositore lasciando numerose tracce nell’odierna country music con canzoni che sono state incise tra gli altri da Emmylou Harris, George Strait, Buck Owens, Marc Collie, ecc..
Una in particolare, The Whiskey Ain’t Workin’, adottata da Travis Tritt, che volle Marty accanto a se per inciderla, diede ulteriore impulso alla carriera di Stuart che nel 1992 intraprese con lo stesso Tritt una fortunata tournè chiamata ‘No Hats Tour’ (tutti e due non usano portare il classico cappello texano tanto di moda).
Nello stesso anno incise No One’s Gonna Hurt You, una sorta di ‘concept album’ sul significato, i simboli, le peculiaritá della musica country, un tributo alle origini ancora una volta reso tramite i suoi nuovi collaudati canoni stilistici, una produzione che cercava di consolidare il successo acquisito.
Anche se certa critica ha accolto questo album e il successivo Love And Luck (1994) con qualche riserva (non sempre la scelta dei brani si dimostra ottimale), va comunque detto che la maturazione di Marty Stuart è completa e la sua abilitá indiscussa, come testimoniano ancora una volta le partecipazioni ai CD Mama’s Hungry Eyes (un ‘all star tribute’ a Merle Haggard) e George Jones – The Bradley Barn Sessions (straordinari duetti di Jones con i migliori artist del momento).
Con il palese amore per il country dei leggendari Hank Williams, Ernest Tubb, Merle Haggard, Bill Monroe, ecc. unito alla vitalitá ed esuberanza di moderno interprete, egli incarna alla perfezione lo spirito della country music contemporanea, o, se preferite, della nuova ‘American Music’.

Discografia:
Marty (Ridge Runner RRR-0013) 1978 LP
Busy Bee Cafè (Sugar Hill SH-3726) 1982 CD
Marty Stuart (Columbia CK-52960) 1986 CD
Hillbilly Rock (MCA MCAD-42312) 1989 CD
Tempted (MCA MCAD-10106) 1991 CD
Let There Be Country (Columbia CK-40829) 1992 CD
This One’s Gonna Hurt Me (MCA MCAD-10596) 1992 CD
Love And Luck (MCA MCAD-10880) 1994 CD

Mario Manciotti, fonte Country Store n. 27, 1995

Link amici

Comfort Festival 2024