Mike Craver, Tommy Thompson, Jim Watson - Meeting In The Air cover album

Tempo di revival. Mike Craver (chitarra, autoharp, pianoforte), Tommy Thompson (banjo) e Jim Watson (chitarra), tre membri dei Red Clay Ramblers, ripropongono quattordici motivi della Carter Family in quest’album che, guarda caso, porta il medesimo titolo di un altro tentativo più o meno riuscito apparso un anno fa ed interpretato da un quartetto della Pennsylvania, la DeBuskWeaer Family (Folkays FTS-32431).
Pur considerando l’estrema popolarità del brani e degli artisti vecchi e nuovi, al profano sembra comunque esagerato tutto questo polverone sollevato intorno alla Carter Family o a Jimmie Rodgers (tanto per ricordare solo la monumentale biografia di Nolan Porterfield pubblicata nel 1979), dal momento che questi artisti, riguardo al suono puro ed ai temi delle loro liriche, possono risultare tremendamente datati all’orecchio ed alla mentalità moderni, a differenza di una miriade di altri musicisti old-time senza dubbio meno popolari all’epoca, ma attualissimi oggigiorno.

Si tenga ben presente però che Alvin Pleasant Delaney (A. P.), Sara Dougherty e Maybelle Addington riuscirono a conquistare un’enorme fetta di pubblico non con impossibili virtuosismi strumentali, né con testi impegnati o con particolari doti vocali, bensì proponendo all’acquirente discografico esattamente ciò che voleva sentire.
Ricordo una movimentata discussione avuta mesi orsono con un’amica, irlandese scandalizzata da canzoni strappalacrime, scritte in anni recenti, quali Family Bible o Mama Hated Diesels. Allora dissi che l’America non e solamente il teatro del ‘68 nelle università westcoastiane e delle marce antimilitariste o la culla del Black Panther Party e della sinistra underground, ma anche quell’universo (mi viene spontaneo il pensare a Disney) costruito su mille piccole cose, forse infinitamente banali nella loro umanità, ma tuttavia sacrosante per l’uomo della strada americano.

Tutto ciò si ritrova puntualmente nel repertorio della Carter Family: l’indelebile ricordo di una piccola scuola di campagna, il rimpianto con risvolti tragicomici di un amore perduto, un “sì” mai pronunciato, la luna e le rose di Dixie, una lettera accanto al corpo di un soldato morto nella guerra civile, la gita in canoa con l’innamorato, un inno alla vita dello scapolo, l’atteso ricongiungimento coi propri cari nell’al di là ecc. ecc.
Due voci femminili, saltuariamente una maschile, su un tessuto ricamato da una o due chitarre e da un autoharp, e la scelta accurata di melodie popolari del tempo o di rifacimenti ispirati a più d’una ballata tradizionale (il tutto all’insegna dell’orecchiabilità) formarono gli ingredienti di una ricetta infallibile per sfondare (ed il termine deve essere inteso qui nel suo significato letterale).
Purtroppo esiste il pericolo che un gruppo di tale levatura, con più di trecento brani incisi durante una lunga carriera discografica, rischi a volte di apparire per quello che non è mai stato, ne voleva diventare: una polverosa ed ingombrante enciclopedia sonora da consultare a tempo debito (c/o il passaggio di loro brani nel bluegrass o i numerosi tributi del più disparati artisti).

Nonostante comunque le apparenze, i pregiudizi attuali, ed in barba alle mode, il suono dei Carters si mostra nella maggior parte dei casi ancora arzillo ed entusiasmante: saranno i delicati accordi dell’autoharp (una delle pochissime in otm su disco)? Sarà il preciso lavoro di Maybelle sui bassi della chitarra (una delle più imitate nella country music) o forse la dolce e nello stesso tempo vigorosa voce di Sara? Mi fermo qui, non pretendo certo di esaurire l’argomento in questa sede.
I titoli presentati nell’album in questione, con la data della prima incisione tra parentesi, sono i seguenti: Anchored In Love (1928), While The Band Is Playing Dixie (1930), The Stern Old Bachelors (1938), The Winding Stream (1932), The Schoolhouse On The Hill (1933), The Wayworn Traveler (1936), Meeting In The Air (1940), I Ain’t Gonna Work Tomorrow (1928), One Little Word (1934), Dixie Darling (1936), Lula Walls (1929), Are You Tired Of Me My Darling? (1934), Give Me The Roses (1933), When The Roses Bloom In Dixieland (1929).

L’intero progetto si deve all’intraprendente Mike Craver che già aveva introdotto qualche brano del trio di Maces Springs in precedenti album dei Red Clay Ramblers e che possiede una voce perfettamente adatta a questo genere di melodie. La strumentazione è quella tradizionale, cara alla Carter Family, fatta eccezione per il pianoforte ed il clawhammer-banjo usato in due titoli. Il banjo anzi, anche se fa un piccolo torto alla fedeltà stilistica, ridà a certe arie l’originale atmosfera e la primitiva veste.
Non dimentichiamo infatti che A. P., con l’aiuto del chitarrista di colore Leslie Riddles, girò gli Appalachi di villaggio in villaggio alla ricerca di musiche da incidere (pubblicandole poi vantaggiosamente sotto suo nome), dopo averle accuratamente riempite di fronzoli ed ingentilite nel testo. È per esempio il caso di Lula Walls o di Storm Are On The Oceans (Child 76, The Lass Of Roch Royal) o di Keep On The Sunny Side (risalente al periodo Tin Pan Alley e composta da Howard Entwisle ed Ada Blenkhorn nel 1899), per tacere il resto.
Eccellenti le prestazioni vocali, soliste, a duetto o a trio, ed ottima come sempre la parte strumentale. L’unico punto debole sembra essere l’arrangiamento sdolcinato oltre misura operato su alcuni brani. Ma il fatto è relativo se si pensa verosimilmente che i Carters oggi li avrebbero incisi proprio nella stessa identica maniera. Disco importante, e tra l’altro decisivamente più convincente dell’ultima prova live dei Red Clay Ramblers al completo. Aggiungo solo la raccomandazione di non perdere mai d’occhio se possibile gli originali (distribuiti in ben 18 LP) che spesso e volentieri risultano molto più validi di ripescaggi concepiti quasi mezzo secolo dopo. Il che, mi sembra, sia alquanto indicativo.

Flying Fish FF-219 (Old Time Music, 1980)

Pierangelo Valenti, fonte Mucchio Selvaggio n. 37, 1981

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