Con questo cofanetto dedicato a Muddy Waters la Chess Records continua a ristampare della musica imperdibile per chiunque desideri conoscere l’origine del rock e tornare quindi alle sue origini o almeno alle sue origini nere.
Nell’88 erano apparsi i cofanetti dedicati a Chuck Berry (3 CD) e Willie Dixon (2 CD); con questi 3 CD che raccolgono parte del materiale inciso da Waters per la Chess, si può cominciare ad avere una sorta di ‘biblioteca’ storica del rock, o meglio di quegli elementi che ne hanno determinato la struttura formale.
Un’operazione del genere era quasi obbligatoria, vista la personalità ed il calibro del personaggio; Waters è stato indubbiamente uno dei musicisti più influenti nati dalla scena blues. Ancora una volta è difficile scindere il ruolo di chitarrista da quello di musicista, perché in realtà non c’è un confine, non esiste quella demarcazione che l’evoluzione del rock e del rock-blues (ma si tratta poi di evoluzione?) avrebbe messo sempre più in risalto.
Waters era e rimane uno dei bluesman determinati per lo `sviluppo’ della scena blues elettrica della seconda metà degli anni ’40, e basterebbe citare alcuni dei brani raccolti in questa edizione per capire come il ruolo sia poi stato perlomeno fondamentale per la nascita di tutto un filone musicale che troppo generalmente viene definito rock e che cita, ad esempio, Yardbirds, Rolling Stones ed un’altra infinità di nomi di gruppi nati nei primi anni ’60.
I Can’t Be Satisfied, Baby Please Don’t Go, Hoochie Coochie Man, You Shook Me, I Just Want To Make Love To You, Mannish Boy, I’m Ready, Good Morning Little Schoolgirl, sono soltanto alcuni dei titoli che faranno tremare chi forse è più vicino alle versioni di gruppi rock o rock-blues, versioni che hanno poi decretato il successo di Waters, perché non va dimenticato che, al di là della grandezza e dello spessore musicale, il personaggio è stato riconosciuto internazionalmente grazie a gente come i Rolling Stones che con le loro cover hanno stimolato l’ascolto e la riscoperta dell’originale. Questo stesso destino è stato comune a molti altri musicisti, e forse primo fra tutti quel Chuck Berry che in pratica ha inventato molti degli stilemi del rock che ancora vengono usati.
In queste tre ore e mezzo di musica c’è un universo musicale che si dispiega e si offre in tutta la sua bellezza; ma attenzione, non è un ascolto facile: anzitutto va chiarito che il curatore del progetto ha giustamente pensato di offrire quella che può essere a tutti gli effetti definita un’antologia dalle vaste proporzioni, in ordine cronologico.
Nel primo CD troviamo il periodo 1947-1954, il suono risente ancora di una tecnica, alla chitarra elettrica, ancora molto ‘giovane’, e quindi molto povera, come molto poveri sono gli arrangiamenti; ma forse più che poveri direi essenziali ed in perfetta linea con il blues che si faceva nelle city in quel periodo.
Nel secondo CD si va dal 1954 al 1959, e probabilmente questo è il periodo migliore di Waters, anche se i puristi del blues amano citare sempre il sound, forse incontaminato, del primo periodo..
Il terzo e ultimo CD arriva dal 1960 al 1972, ed è arricchito da varie incisioni live, alcune delle quali mai pubblicate precedentemente.
Due parole meritano senz’altro la confezione e la resa del CD: il cofanetto, oltre ai tre CD, offre un libricino molto interessante con articoli di Mary Katherine Aldin (… The Man) e di Robert Palmer (… His Music) oltre ad una discografia dettagliata delle incisioni per la Chess e curatissime note che in pratica raccontano i 72 brani selezionati per questa operazione.
La resa su CD… chiaramente il sound è stato pulito nei limiti del possibile, le incisioni sono tutte analogiche e su tutti e tre i CD troneggia la scritta AAD. Questo però non toglie che l’ascolto sia molto blues, i suoni rimangono molto vicini a quelli che provenivano dal vecchio vinile, e naturalmente quello che manca (per fortuna) è il fruscio noiosissimo dei solchi dell’LP.
Muddy Waters non è certo da considerare un virtuoso della chitarra, come non lo è mai stato B.B. King o il redivivo John Lee Hooker, soltanto che questa gente riusciva a far parlare i propri strumenti; Muddy Waters come chitarrista è forse da considerare uno dei più completi di quella generazione nata nel Mississippi e trasferitasi nella city per sfuggire alla depressione degli anni trenta.
Indubbiamente la sua tecnica slide produceva dei veri e propri brividi — chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo dal vivo nelle sue apparizioni italiane ricorderà quel tocco pulito ma rauco, quel fraseggio istintivo e iterativo che comunque riusciva sempre a comunicare qualcosa di nuovo.
Questa era la sua magia, magia comune ad altri vecchi bluesman; oggi è tutto un po’ più omologato, non ci sono più picchi o grosse personalità, se si eccettuano i vecchi o i chitarristi della generazione immediatamente successiva a quella di Muddy Waters.
La musica di Waters era grande musica affidata ad una strumentazione essenziale, povera; in un momento in cui grandi ed esose strumentazioni riescono soltanto a produrre suoni interessanti ma niente a livello musicale; sarebbe il caso di andare a riscoprire i vecchi padri del blues e del rock e magari studiarli come si studierebbe una scala di Steve Vai o di Joe Satriani, anche perché più di una volta è successo di vedere dei mostri di tecnica assolutamente incapaci di fare un riff di Berry o di Richards. In realtà per un chitarrista rock è essenziale rifarsi inizialmente ai ‘padri’ per poi scoprire i loro epigoni ed allora questa antologia di Waters curata dalla Chess Records assume un valore determinante, importante.
Chess Box – CHD – 3 –80002 (3 CD) (Blues, Chicago Blues, 1989)
Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 47, 1990
Ascolta l’album ora