Nashville Bluegrass Band picture

Atto primo, su il sipario – Entra in scena il bravo presentatore, afferra il microfono, e con voce possente annuncia: “… ed ora ecco a voi la Bluegrass Baaand ! “. Ecco la trascrizione note-for-note dell’annuncio di apertura dei primo concerto romano della Nashville Bluegrass Band. Infreddoliti (il concerto era all’aperto!) ed allibiti (…ma come, sul programma é scritto Nashville Bluegrass Band), un migliaio di persone hanno potuto ascoltare, nella serata del 12 febbraio scorso, una delle migliori bluegrass band americane attualmente in circolazione. Credo che per l’evento si sia scomodata anche la TV (VideoMusic?), di sicuro spiccava tra il pubblico il cappellone da cow-boy di Renzo Arbore.
Ma andiamo per ordine. I primi giorni di Febbraio su qualche quotidiano romano compare l’annuncio di ben due concerti romani della Nashville Bluegrass Band. Concerti inseriti nel programma ‘Country Music’, a sua volta appendice della mostra ‘The American West’ in corso al Palazzo delle Esposizioni. Una telefonata alla biglietteria conferma le date ma con una sorpresa: il concerto di sabato 12 si terrà all’aperto, con il palco montato sulla scalinata del Palazzo. La sera del sabato, in compagnia di 2/4 della Red Wine venuti apposta da Genova, andiamo in via Nazionale, dove con un freddo polare (ricordate i titoli dei giornali?), si stanno già esibendo Bill & Rosi Caswell.

L’amplificazione é stranamente discreta, la musica invece ricorda quella dei boy scouts, sia per scelta di brani che per perìzia dei due musicisti.
Dopo una ventina di minuti tocca a loro. Piccoli (le transenne non permettevano di avvicinarci a più di 50 metri) e ben coperti (c’erano quasi zero gradi) hanno riscaldato gli animi con il loro bluegrass stellare, raggiungendo la punta più alta con il gospel Father I Stretch My Hand To Thee. Il set é durato solo una ventina di minuti, per poter terminare lo spettacolo entro le 23.00 e per evitare congelamenti (del pubblico giù in strada e dei musicisti sulla scalinata). Abbandonati a loro stessi dall’organizzazione, sono stati ben felici di cenare e di fare due chiacchiere con noi.
Atto secondo, all’interno e finalmente al caldo – Dopo aver assistito al lungo e curato sound check del pomeriggio (Alan O’Bryant & Co. si erano portati dietro dagli Stati Uniti il loro tecnico del suono) raggiungiamo, con il solito ritardo che affratella romani e genovesi, l’affollata sala del concerto. Duecento persone sedute ed una ventina in piedi (tra cui noi), attendono trepidanti l’inizio del concerto e soprattutto il bravo presentatore (cosa si inventerà adesso, eh?).
Passano alcuni minuti. Vediamo i nostri gironzolare perplessi nei pressi del palco e Gene Libbea chiamare, con grandi gesti, Martino Coppo. Qualche altro minuto di esitazione. Martino torna al suo posto e il gruppo, senza alcun annuncio, sale sul palco: si comincia.
Un suono eccellente, delle voci potenti riempiono la sala. Qualcuno dei vecchietti delle prime file con l’abbonamento a tutti gli spettacoli in mano, comincia a battere il piede, ma noi ci guardiamo in giro un po’ perplessi. La scaletta è basata sugli ultimi due dischi e ben bilanciata, ma non riusciamo ad emozionarci. Il pubblico impara presto ad applaudire al termine degli assolo, ma lo fa anche con quelli di Roland White.

Dopo un’oretta e mezza, senza bis, il concerto si conclude. Applausi.
Il pubblico della domenica va via e restano i fans romani (e i pochi in trasferta) a scambiare due chiacchiere con il gruppo. Comunico a Martino le mie perplessità e condividendole mi spiega anche il perché: Gene gli aveva chiesto (visto il precedente!) di annuciare il gruppo e di fare anche una piccola introduzione, il bravo presentatore, preoccupato del fatto che qualcuno potesse scambiare Martino per uno dell’organizzazione, ha detto di no e li ha mandati sul palco da soli. La cosa li ha fatti arrabbiare e come conseguenza, perdere la proverbiale grinta.
Non mi sento quindi di biasimarli, anzi devo riconoscere loro una grande professionalità ed una disponibilità all’adattamento che probabilmente nessun gruppo italiano sarebbe oggi disposto a dimostrare.
Per noi romani è stato comunque un inaspettato e gradevole evento che speriamo possa rinnovarsi… magari con una migliore organizzazione e… un diverso presentatore!

Leonardo Nobler, fonte Country Store n. 23, 1994

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