Natalie Merchant – Motherland cover album

La dolce Natalie torna ai livelli del suo bel debutto da solista, quel Tigerlily che era stato l’addio alla sua militanza nei 10,000 Maniacs, una delle cult band più amate degli anni Ottanta. Già, perché il successivo Ophelia non era stato granché convincente. Aiutata dal validissimo T Bone Burnett alla produzione, che colora il tutto delle sue classiche tinte a chiaroscuro, la Merchant sfiora con Motherland il capolavoro.

Perché quattro brani sono dei gioielli assoluti: l’iniziale This House Is On Fire, dal ritmo caraibico ma appoggiato su un tessuto di tastiere dall’incedere tipicamente medio orientale, un ibrido su cui si staglia la splendida voce di Natalie che si dispiega in toni fortemente black; Motherland (per il sottoscritto forse la canzone più bella dell’anno), classicamente folk con banjo, mandolino e chitarre acustiche: la melodia è di una mestizia e di un fascino assoluto, non puoi fare a meno di continuare ad ascoltarla. Scritta prima dei tragici fatti dell’11 settembre, acquista un inquietante tono di amorevole dedica al proprio martoriato paese.

Quindi Saint Judas, in duetto con la leggendaria Mavis Staples, è una sorta di gospel rock avvincente e dannatamente riuscito. Infine Golden Boy che ricorda certe cose tipiche dei R.E.M. degli ultimi anni, ancora una volta aggraziata da una melodia affascinante.
Quattro tra le più belle canzoni in assoluto dell’anno, peccato che il resto del disco perda smalto e convinzione, sempre molto raffinato e piacevole, ma alla lunga anche un po’ tedioso, tra sussulti jazzy e ballate folkie un po’ scontate (ad esempio la lunga Henry Darger).
Se quattro brani (stupendi) sono abbastanza, allora è sicuramente un disco da non perdere.

Voto: 7-
Perché: è un disco che sfiora il capolavoro ma non riesce a mantenersi tutto a grande livello.

Elektra (Roots Rock, 2001)

Paolo Vites, fonte JAM n. 77, 2001

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