Deve esserci qualcosa nell’acqua… oppure nell’aria… o comunque deve esistere un fattore comune a coloro che calpestano fin dall’inizio (per nascita o per adozione artistica) il riarso suolo texano, che li porta ad ottenere un carisma unico e del tutto particolare, quasi un inconfondibile marchio di fabbrica che li rende immediatamente riconoscibili.
Nathan Hamilton è un texano doc, nasce ad Abilene, ma si trasferisce ben presto a Los Angeles, attratto dalla scena artistica californiana. Verso i vent’anni recita sulle scene teatrali off losangelene ed è qui che incontra Sarah, sua partner sulla scena e futura moglie. Già durante un periodo trascorso in quel di Dallas, Nathan aveva cominciato ad avvicinarsi alla chitarra grazie ad un amico che gliene aveva lasciata una, ora – siamo nel 1993 – il nostro decide di concentrarsi sulla musica.
La nostalgia del natio Texas comincia a farsi sentire, Nathan è stanco della California e torna in patria, restando lontano da Sarah per ben due anni e mezzo, ma mantenendo viva la loro storia sentimentale. Di ritorno in Texas, trova lavoro in un ranch appena fuori Austin ed è questo lo scenario dove si ambienterà la maggior parte dei brani di Tuscola. L’area di Austin, fulcro primario dell’attività e del fermento artistico – specialmente dal punto di vista cantautorale – del Lone Star State ospita al momento anche l’amico di infanzia, chitarrista e compositore Marc Utter ed i due cominciano ad esibirsi dal vivo.
Nel giro di un paio di anni l’organico cresce fino ad annoverare fra le sue fila, oltre a Nathan Hamilton (chitarra e voce) e Marc Utter (chitarra, mandolino e voce corista), Bill Palmer (basso e voce corista), Jim Palmer (batteria), David Sawtelle (banjo), Ron Mann (percussioni) e Ron Emoff (fiddle): “…a six-piece hippie-country bluegrass band…” riprendendo fedelmente una definizione della stampa specializzata dell’epoca.
Il nome originale di Sharecroppers viene trasformato, dopo qualche tempo, in Good Medicine Band, poiché già esisteva un gruppo omonimo, ma il primo – ed unico – album del gruppo viene intitolato Spirit Of The Sharecroppers, per ricollegarsi ad una denominazione che vantava un certo seguito locale. Dei quattordici brani che compongono l’ossatura di questo CD, sei portano la firma di Hamilton e vantano una caratura non indifferente per un compositore ed un gruppo esordienti. Già l’iniziale Cotton Dresses è una sapiente alchimia di script rock mescolata a sonorità tradizionali, che culminano nell’uso del banjo e del fiddle. Non certo da meno risulta la seguente Mercantile Store, col passo tipico della ballata stradaiola ed il banjo che razzola attraverso tutto il brano. Fallen Among Thieves racconta della dura vita lavorativa in un ranch, dove la realtà è molto diversa e lontana da quella romanzata, raccontata negli stereotipi televisivi e cinematografici. Da segnalare il contributo importante di Matt Gordon all’armonica.
Sempre opera della penna di Hamilton ecco Watertown, stupenda ballata minimalista aperta dalla voce e dalla chitarra acustica di Nathan e che ospiterà, nel prosieguo, la steel guitar di Lloyd Maines, il quale riesce anche a produrre l’album (chissà se riesce anche a trovare il tempo per dormire, quest’uomo…). Il brano cresce di spessore, acquisisce gli altri strumenti nel procedere della melodia, fino a raggiungere lo status di capolavoro prima dello scoccare dei fatidici 4’55” che ne segnano la durata. Stay On è ancora opera del nostro, un’altra ballata tersa, arida, assolata, secca ed assolutamente priva di qualsiasi orpello od ammiccamento di sorta a facili trucchetti per catturare l’interesse dell’ascoltatore. La cornetta di David Sawtelle conferisce un carattere molto personale all’arrangiamento, che eleva il brano al disopra del livello medio della produzione dell’album, senza nulla togliere al risultato corale finale che rimane degno di plauso.
Better Way è l’ultimo brano del CD che porta la firma di Nathan e resta esempio degno di nota nella carriera appena iniziata di questo promettente songwriter.
Come tutte le storie, soprattutto quelle belle, l’avventura artistica degli Sharecroppers/Good Medicine Band ha vita breve ed il gruppo si scioglie nel 1998, senza avere prodotto altri albums. Nathan Hamilton è però un cantante dotato di talento, un musicista di esperienza e si rivela anche produttore sorprendentemente astuto. Tuscola è un disco denso di umori texani, che trasuda folk, country, rock, bluegrass, radici e quant’altro ha contribuito a forgiare i segni distintivi di quel sound cosiddetto ‘Americana’, abbia poi esso più o meno evidenti riferimenti rock, piuttosto che country, folk piuttosto che bluegrass o blues.
Tuscola rappresenta anche l’esordio di Hamilton in termini di produzione ed i risultati hanno sorpreso tutti, specialmente lo stesso Nathan. “Abbiamo registrato le tracce di base dal vivo, pensando che ne sarebbe uscito un semplice demo. Quando abbiamo riascoltato il risultato siamo rimasti elettrizzati dal sound che eravamo riusciti ad ottenere ed abbiamo deciso di andare avanti e farlo diventare un album vero e proprio. A quel punto ho cominciato ad invitare altri musicisti e ad aggiungere il loro contributo, fino a che l’intero progetto non ha assunto la sua forma definitiva. Si è trattato di un’esperienza di apprendimento incredibile ed ho avuto il privilegio di lavorare con dei veri professionisti. E’ stato un processo molto naturale e lo abbiamo messo insieme con molto lavoro, ma con pochissimi conflitti”.
Dei compagni della passata avventura ritroviamo solo due superstiti: Marc Utter (chitarre, mandolino, basso, accordion e voce corista) e Dave Sawtelle (banjo, coronet e triangolo) ed è proprio l’arrangiamento della splendida Outlaw’s Lament che rappresenta l’ideale connessione con l’esperienza del gruppo precedente, grazie all’inserimento della cornetta di Sawtelle. Della partita sono ancora altri amici di Nathan: Mike Stevenson (basso), Mark O’Brien (batteria), Leeann Atherton (voci), Mark Rubin (tuba), Mark Williams (cello), Erik Hokkanen (fiddle), Matt Giles (chitarra elettrica), Randall Stockton (armonica), Pete Gordon (piano) e Ted Cho (chitarra elettrica).
Dietro ognuno dei dieci brani, per oltre quaranta minuti di durata complessiva, si nasconde una storia. Cash & Tobacco risale al 1993, al periodo in cui i dintorni di Malibú, la nota ed esclusiva spiaggia californiana, erano minacciati dai furiosi incendi che si erano sviluppati nella zona. Nathan allora viveva a Los Angeles ed un tramonto colorato dal riverbero di quelle fiamme pare lo abbia ispirato a comporre questa tersa ballata, che deve non poco, dal punto di vista della performance vocale, al conterraneo Lyle Lovett.
La seguente Grainger County prosegue la stessa linea vocale, anche se i riferimenti strumentali si spostano verso le sonorità vicine al bluegrass, musica nata appunto in quel del Tennessee, dove il padre di Nathan (uno dei dodici figli di un coltivatore di tabacco di Grainger County, TN) aveva condotto un’esistenza molto dura, senza dubbio più difficile di quella che il figlio (per sua stessa ammissione) tende a romanticizzare in questo brano: la canzone rappresenta dunque un tributo alla dura vita dell’agricoltore.
Delle peculiarità musicali di Outlaw’s Lament abbiamo già accennato; può essere interessante sapere anche che il testo del brano è invece stato ispirato ad Hamilton, accanito collezionista di oggetti quanto più strani possibile, dal ritrovamento di una vecchia tabacchiera arrugginita e di un dente (?) ingiallito. Anche in One Man’s List, come in tutte le cinque prime canzoni del disco, Nathan fa riferimento al tabacco. In parte per il fatto che il nonno lo coltivava nel lontano Tennessee orientale, in parte perché, durante la gestazione dei brani del CD in questione, Nathan è riuscito a smettere di fumare (ma il subconscio non molla così facilmente…). Il brano rappresenta esattamente il suo titolo: un elenco di cose, ma soprattutto sta a significare che, indipendentemente da quanto collezioniamo o comunque accumuliamo durante la nostra vita, il tempo trascorre, con noi o senza di noi.
Spent è invece un quaderno con le pagine ancora bianche: Nathan ha scoperto che le sono state attribuite interpretazioni così diverse fra loro, che preferisce mantenere la sua per sé e lasciare che ciascun ascoltatore ci trovi quello che preferisce.
L’ispirazione per Two Penny Vengeance arriva da una visita alla tomba di Billy the Kid, ubicata in una vecchia prigione del New Mexico, dove la gente è solita lasciar cadere una monetina, quasi fosse la Fontana di Trevi.
Farmer’s Rest trova le sue origini nella frequentazione adolescenziale della chiesetta di Caps, appena fuori da Abilene, TX, mentre Roots affonda le sue radici (mi si passi il gioco di parole) nel ricordo di una frase pronunciata da David Sawtelle di fronte ad un cimitero con le tombe coperte di lupini: “…scommetto che la gente là sotto sta dicendo: ‘Ho troppe radici attorno alle mie ossa’.”. La frase suonava come la strofa di una canzone ed è proprio questo che è diventata.
Per Devil’s Full Moon vale la pena di riportare la storia come ce la racconta Nathan: “Una sera stavo facendo il bucato in una lavanderia di Austin. Mentre aspettavo che finisse il ciclo di asciugatura, mi sono seduto sul parafango del mio pick-up ed ho preso la chitarra. Mi si è avvicinata una donna ed era evidente che si trattava di una ‘ragazza che faceva il mestiere’ (letteralmente ‘working girl’). Lei ha attaccato bottone ed è finita che ci siamo messi a cantare insieme nel parcheggio, seduti sul parafango del mio pick-up, alla luce di un lampione. Dopo un po’ è arrivata una macchina ed ha suonato il clackson. Lei ha detto che doveva andare a lavorare, è salita in auto e si è allontanata. Ho alzato lo sguardo al cielo e c’era una luna piena bellissima. Ho finito il bucato, poi, più tardi, ho finito anche la canzone.”.
Tuscola è il title-track ed è anche il nome di una piccola cittadina fuori da Abilene. Nathan ha sempre amato il suono di questo nome, gli piaceva pronunciarlo ed ha finito per rappresentare qualcosa di molto vicino all’idea di casa, durante i periodi lontano dal Texas. La canzone riguarda però più i dintorni di Tuscola, che non la cittadina in sé. Ogni volta che il nostro rivede i campi di argilla rossa ed il segnale stradale che indica ancora tre miglia a Tuscola sull’Highway 84, sa di essere quasi a casa. Adesso Tuscola sta ingrandendosi velocemente e fra magari dieci anni questa canzone sarà solo un semplice e caro ricordo. Per noi questo album starà a significare uno splendido esordio, che ci auguriamo non resti episodio isolato.
Dino Della Casa, fonte TLJ, 2005