Non finirà mai di stupire. Neil Young è artista imprevedibile, poliedrico, eclettico, dalle mille personalità. Così come alle sue produzioni più celebri degli anni settanta, dense di sapori e climi californiani, fece seguire musica sperimentale, uscendo poi con un disco di country nashvilliano e subito dopo con un episodio di hard rock, oggi dopo Freedom (quasi interamente acustico) spiazza tutti con Weld, un doppio album dal vivo con il suo gruppo storico, i Crazy Horse, di tagliente, violento, sudatissimo rock americano.
E a conferma delle sue teorie, in evidente contrasto con le inutile polemiche alla Sting, esordisce con la emblematica Hey, Hey, My, My, Rock’n’roll Will Never Die( il rock’n’roll non morirà mai). Da subito ci si accorge che il sound è tirato, tostissimo, con chitarre elettriche lancinanti accompagnate da una asciutta ma potentissima ritmica.
Questa immediatezza comunicativa, questo mostrarsi nelle intenzioni fin dalle prime note, questo stravolgimento dei vecchi hits, questa personalissima interpretazione dei brani lo fa accostare in maniera inequivocabile al miglior Bob Dylan, dal quale il ‘loner’ canadese ha preso molto e non solo dal punto di vista musicale; non a caso, tra i pezzi di questo Weld compare una versione davvero strana, ma non per questo poco affascinante, di Blowing In The Wind.
Semplice omaggio al vecchio maestro o qualcosa di più? Chi lo sa, sta di fatto che Weld offre quasi due ore di grande musica, in cui Neil Young propone 16 brani tratti dal repertorio presente e passato e tra i quali spiccano per grandissima tensione la triade finale Rockin’ In The Free World, Like A Hurricane e Tonight’s The Night, la mitica Cortez The Killer nonchè la già citata track d’apertura Hey, Hey, My, My.
Accompagnato dai fidi Crazy Horse (Ralph Molina alla batteria, Billy Talbot al basso e Frank ‘Poncho’ Sampedro alla chitarra) Neil Young spesso contrappunta il suono distorto delle sue chitarre a quello delicato delle armonie vocali, come nel caso della suadente Powder-finger, creando un sapore agrodolce di grande fascino ed efficacia. La bellezza delle composizioni è comunque così assoluta che anche chi avrebbe per istinto gusti musicali tesi verso sonorità più morbide o maggiormente sofisticate si fa trascinare dalla forza e dall’impatto dei Crazy Horse.
E, così come accadeva ai tempi di CSN&Y, non si va troppo a fare le pulci al chitarrismo solista di Neil che è spesso, tecnicamente, a livelli elementari, né all’esagerata reiterazione di suoni fastidiosi (vedi il finale di Rockin’ In The Free World) o alla non perfetta coesione delle armonie vocali (Roll Another Number).
L’album si fa amare sin dal primo ascolto e riconferma il talento artistico di un personaggio che persegue, con cocciutaggine, la sua strada al di fuori dei classici compromessi e dei pasticci tipici del mercato discografico. Rendiamo dunque onore e gloria al vecchio Neil: se lo merita.
Reprise 7599-26671-1 (Roots Rock, 1991)
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 50, 1991