Forse, dopo tanti tentativi, sembra essere arrivata la volta buona. E’ da oltre quindici anni, che Sam Bush e i suoi New Grass Revival ci provano a sfondare in uno dei tanti settori della musica country. All’inizio avevano tentato di farsi largo nel mondo bluegrass ma furono rifiutati perché considerati troppo trasgressivi. Il look e i ritmi presi a prestito dal mondo rock faticavano ad essere accettati dal tradizionalissimo ambiente bluegrass e così anche le indubbie doti violinistiche e mandolinistiche di Bush passavano in secondo piano.
Sentendosi fortissimi come rock band, i New Grass fecero bene a giocarsi questa carta quando l’allora mitico Leon Russell (nel suo trip country) decise di servirsi di loro come back-up band. L’episodio diede un po’ di esposizione alla band ma, purtroppo, non ebbe praticamente seguito. Con l’ingresso in formazione del più prodigioso talento espresso dal bluegrass negli ultimi vent’anni (il banjoista Bela Fleck) e del pirotecnico chitarrista/ compositore Pat Flynn il gruppo è decollato dal punto di vista progettuale. Ma, di nuovo, un quartetto formato da un chitarrista acustico, un banjoista, un mandolinista ed un bassista, per quanto bravo, vario e sperimentale possa essere è difficile che possa varcare gli angusti confini dello specifico settore.
E così eccoci ad avere (primo LP col nuovo gruppo On The Boulevard) una rivelazione per pochi intimi. Eppure nell’album c’è di tutto: rock acustico, rhythm’n’blues, new acoustic music, reggae blue-grassato, bluegrass reggato, ma …. niente da fare: New Grass Revival rimane una chicca per palati raffinati. Sam Bush non demorde: vuole il successo. Il gruppo è anche ad una svolta artistica: o seguire le idee sperimentali di Bela Fleck o virare ancora più decisamente verso un progetto country più accessibile. Dato che all’interno del gruppo comanda Sam (che sotto le mentite spoglie di rocker nasconde un pulsante cuore di country boy), i New Grass firmano per la Capitol un contratto interessante. Le prime produzioni sono due ibridi: in pratica i soliti New Grass Revival con una batteria in sottofondo che serve, sì, a dare un po’ più di ritmo ma che non cambia molto il progetto originale.
E veniamo a Friday Night In America, terzo episodio del ciclo Capitol. Anche qui, più che di virata, bisogna riconoscere che il gruppo sfrutta un po’ meglio le tendenze di un mercato che in tutti questi anni ha sempre anticipato. Ora, che tira il country ‘nuovo’ con riferimenti ‘vecchi’ qualcuno comincia ad accorgersi di questi quattro ragazzotti che hanno, giustamente, stabilito Nashville come loro sede.
Allora, New Grass Revival inizia ad accapparrarsi le copertine di riviste specializzate (e non solo Bluegrass Unlimited), le radio passano un paio di brani, il singolo Friday Night In America va in classifica. “Good” direbbe chi a loro vuole bene; meglio tardi che mai, aggiungiamo noi che abbiamo sempre sostenuto questa band anche nei momenti in cui fare ciò significava andare controcorrente.
Friday Night In America è un gran bell’album. Se, come credo, già conoscete i New Grass rimarrete soddisfatti poiché la formula originale non cambia: grandissime voci, ritmo pulsante, assoli straordinari, molto country-rock personalizzato. Si è rinunciato alle raffinatezze stilistiche tipo reggae, rhythm’n’blues acustico ed altre delicatezze per musicofili, a favore di una produzione più easy, forse, ma anche più compatta ed unitaria.
Il lato A del disco è aperto dall’eccellente Friday Night In America, intensa e brillante come ogni cavallo di battaglia del gruppo. E’ ottima anche Let’s Make A Baby King, leggermente bluesata, come nei gusti di John Cowan, cantante dalle formidabili capacità. Carina anche Lila, brano di chiusura del lato firmato da Pat Flynn. Per chi ama il cajun-country, è Callin’ Baton Rouge il brano favorito: vibrante e teso, il fiddle di Sam Bush conduce le danze verso atmosfere della Louisiana.
Angel Eyes è il giusto omaggio a John Hiatt, personaggio di tendenza e compositore recentemente scoperto da tanti artisti country, e l’m Down il remake di uno dei classici beatlesiani; sulla stessa facciata Big Foot il solito brano strumentale (avanguardistico) frutto del talento e della creatività di Bela Fleck.
Con un po’ più di coraggio, valorizzando il beat della batteria e aggiungendo un po’ di sapore con altre percussioni, il gruppo è veramente pronto per navigare in alta quota. Per ora accontentiamoci di assistere al giusto riscontro di una delle migliori country band degli ultimi anni.
Friday Night In America / You Plant Your Fìelds / Let’s Make A Baby King / Do What You Gotta Do / Let Me Be Your Man / Lila / Callin’ Baton Rouge / Whatever Way The Wind Blows / Big Foot / Angel Eyes / l’m Down
Capitol EMI – CI 80739 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Progressivo, 1989)
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 37, 1989