New Lost City Ramblers – 20 Years Of Concert Performances cover album

Con ogni probabilità il nome New Lost City Ramblers non dirà niente agli appassionati di musica rock, ma ha rappresentato e continua a rappresentare una tappa obbligata o addirittura il punto di partenza per tutta una schiera di collezionisti di old time music. Chi, infatti, ascoltando una loro interpretazione ed andando a leggere i riferimenti che accompagnano ogni loro brano, non ha provato almeno una volta la forte tentazione di risalire alla versione originale, di ricercare la fonte alla quale Mike Seeger, John Cohen, Tom Paley e Tracy Schwarz si sono ispirati.

Il gruppo nasce come trio nel 1958 parallelamente all’esplosione del folk-revival negli Stati Uniti e nonostante la sostituzione di Paley con Schwarz nel 1963 ed una serie di scioglimenti e ricostituzioni, è nell’ambiente da venti anni; un lasso di tempo quindi di tutto rispetto che ha fruttato numerosi lavori su disco per le etichette Folkways, Vanguard, Disc, Elektra, Aravel ed un songbook distribuito dalla Oak Publications. Il repertorio dei Ramblers comprende le incisioni commerciali degli anni ’20 e ’30 (il periodo considerato l’epoca d’oro dell’otm). Il materiale è per lo più inedito proveniente dall’archivio musicale della Library Of Congress (cui Mike ha avuto facile e libero accesso poiché il padre Charles ne era stato a suo tempo il direttore ed il fratello maggiore Pete uno dei più solerti ricercatori) ed infine i brani raccolti personalmente in copiose quanto impagabili ricerche su campo nelle regioni più ricche di tradizioni popolari del sud-est.

Mike Seeger ha registrato estensivamente in North Carolina, nelle due Virginie, in Kentucky e persino in Tennessee (Sam e Kirk McGee, Arthur Smith); Cohen si è interessato a precise tematiche in particolari aree (Kentucky, Virginia, North Carolina), focalizzando la sua attenzione su banjoisti ed artisti esclusivamente vocali; Tracy Schwarz infine ha iniziato e continua ad esplorare il patrimonio cajun in Louisiana: un terreno poco battuto e per questo capace di riservare enormi sorprese (c/o Cajun Fiddle, Folkways FM-8362). Tom Paley non sembra invece portato a ricerche in loco, ma ha svolto un’intelligente opera didattico-musicale a tavolino con diverse antologie durante gli anni sessanta (c/o Folk Banjo Styles, Elektra EKL-7217) e vari album da solista.

Apriamo a questo punto una breve parentesi. È noto che negli States sono sempre più numerosi i giovani che si dedicano allo studio ed alla riscoperta della tradizione musicale del loro paese ed i più organizzati (= finanziati) raccolgono le loro esperienze in LP editi dai diversi Folklore Centers o Folklore Societies (situati in genere nelle università) e da piccole compagnie discografiche indipendenti. Tutto questo lavoro prima veniva svolto quasi esclusivamente dalla sezione musicale della Library Of Congress a Washington; dall’inizio degli anni settanta si è preferito decentrarlo e distribuirlo nelle facoltà di etnomusicologia presso gli atenei dei vari stati.

Ciò ha spinto molti individui ad iniziative personali non del tutto oneste ed a usare metodi di ricerca che ricordano più la febbre dell’oro del ’49 in California che non la tutela del patrimonio musicale: l’importante è scoprire o riscoprire il talento nascosto, il campione di una civiltà in estinzione, senza pregiudizi di sorta. Un esempio di come non deve essere eseguita una registrazione su campo, condotta cioè secondo criteri antistorici ed in cui gli artisti sono stati scelti a caso, senza tenere in alcuna considerazione il luogo, il periodo, le tecniche strumentali, l’età dei musicisti, il contesto socio-culturale, è rappresentato dall’album Music From The Ozarks (Folkways FS-3812): una sequela di motivi il cui demerito principale è l’aver una volta di più incrementato il diverbio tra folklore e tradizione musicali.

Una delle cose più sottovalutate quando si parla dei New Lost City Ramblers sono proprio le loro field-recordings, tra l’altro considerate dei classici per il metodo e la cura con cui sono state realizzate; esse costituiscono invece una componente fondamentale che ha influito in modo determinante sulla loro musica. Non bisogna dimenticare che i Ramblers sono prima di tutto dei musicisti urbani: mostrano tutte le caratteristiche tipiche di questa condizione ed hanno poco da spartire quindi con il materiale rurale o montano da loro riproposto. Come il country blues differisce in maniera notevole, non solo nel testo e nell’inflessione vocale, dal blues dei ghetti e delle barrelhouses, similmente un brano di origine rurale e della tradizione bianca, nell’interpretazione di un artista urbano, subirà dei rimaneggiamenti più o meno volontari che turberanno la sua autenticità.

Non è questa la sede per tentare ipotesi sul perché è avvenuto ed avviene lo scambio tra le due culture (urbana e rurale) o tra i diversi gruppi etnici (bianchi e neri) e ricercare le cause nelle migrazioni dalle campagne alle città (o viceversa), nelle nevrosi, nella disoccupazione, persino nell’alcool e nella prostituzione etc. etc., desidero solamente portare un esempio che fa al caso nostro. Se si mettono a confronto le versioni di The Old Man At the Mill (o Same Old Man) di Jesse Colin Young (in The Soul Of A City Boy, Capitol ST-11-267) con quella solo vocale di Clint Howard (in Galax Old Time Fiddlers’ Convention, Folkways FA-2435), incise entrambe nel 1964, sarà immediatamente avvertibile la profonda differenza nell’accostare un identico motivo, tanto che le eventuali variazioni regionali della melodia passano in secondo piano.

Nell’opera dei NLCR, che contiene materiale registrato dal vivo tra il 1958 ed il 1977, è riscontrabile questa urbanizzazione per esempio nelle parti vocali di tre brani tra i meno recenti: Little Birdie, Darling Corey e Poor Ellen Smith, presentata qui in versione pre-bluegrass (è una ballata assai nota in North Carolina ed il cui testo sembra essere stato composto in carcere da Peter De Graff che assassinò la donna il 20 luglio 1892). Allo stesso modo Cackling Hen e Little Maggie mostrano chiaramente la string band urbana che esegue motivi del repertorio montano tradendo la propria origine.

Dalla forzata simbiosi traggono invece indubbio vantaggio titoli perfettamente inquadrati nella cornice metropolitana (Too Tight Rag, Black Bottom Strut), essendo composizioni che spaziano dal ragtime (che non può essere certo considerata musica agreste!) al blues, al suono delle ultime jug bands. Anche in questo caso qualcuno potrebbe obiettare che motivi appartenenti alla gente di colore sono proposti da musicisti bianchi. È un vecchio argomento, ma chi si interessa seriamente di una tradizione musicale in particolare non può allo stesso tempo ignorare l’altra: troppo numerosi sono i punti di contatto!

L’ascoltatore attento si accorgerà che quanto più le registrazioni dell’album si avvicinano ai nostri giorni, tanto più le esecuzioni diventano estremamente personali; ed è qui che giocano un ruolo determinante le field-recordings di cui si è parlato poco sopra. Se, infatti, la voce ed il banjo di John Cohen tentano nel 1962 di imitare Dock Boggs nella sua Country Blues con risultato alquanto incerto, altrettanto non può essere detto a proposito di Dark Holler Blues di Clarence Ashley, dove invece Cohen raggiunge altissimi livelli di interpretazione personale nel dicembre del ’77.

Altri eccellenti esempi di come abbia influito una registrazione su campo dell’artista preso in considerazione, sulla bontà dell’esecuzione, sono rappresentati da Milk ‘Em In The Evening Blues di Sam e Kirk McGee e dal tradizionale cajun Madeleine. Infine quanto abbiano progredito i NLCR, sempre nello spirito di seguire il più fedelmente possibile l’originale e di conciliarlo con una forma d’interpretazione distintiva, è testimoniato dalla superba The Battleship Of Maine, dalla delicata Lady Of Carlisle (dove una voce perfetta riesce a riscattare l’errore di chitarra iniziale), Turkey In The Straw (scacciapensieri e voce), Arkansas Traveler (le note citano come fonte i Tennessee Ramblers, ma sarebbe stato più opportuno ricordare Sam Hinton) e culmina con Ain’t No Bugs On Me (non ho addosso cimici!) in cui fa finalmente la sua comparsa uno degli elementi caratteristici di tutta l’otm: l’umorismo, che qui scaturisce da un testo comicissimo sostenuto da un altrettanto spiritoso gioco strumentale.

Un invito a tutti coloro che mi seguono attraverso queste pagine e che forse ho confuso con articoli poco chiari e pretenziosi, ed a quelli che si ostinano a considerare l’otm con distacco e presunzione tipicamente nostrani: non lasciatevi sfuggire l’occasione di ascoltare questo grande album! Tra i solchi, gli uni troveranno la risposta a molte domande e molti dubbi saranno fugati, gli altri (attenzione!) potranno correre il rischio di rivedere completamente il loro giudizio in proposito.

Flying Fish 102 (Old Time Music, 1978)

Pierangelo Valenti, fonte Mucchio Selvaggio n. 16, 1979

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