I New Lost City Ramblers costituiscono da tempo un punto di riferimento costante per tutti coloro che si dedicano alla riscoperta della musica popolare americana nelle sue forme più genuine e meno contaminate da degenerazioni commerciali.
Il gruppo è nato nel 1958 dall’incontro di Mike Seeger (radiotecnico, infermiere, polistrumentista, studioso di folklore, fratello minore del più famoso Pete), Tom Paley (professore di matematica, interessato allo studio degli stili strumentali e vocali popolari) e John Cohen (fotografo e studioso di folklore, raccoglitore dì numerose registrazioni sul campo pubblicate dalla Folkways). A parte la sostituzione di Paley con Tracy Schwarz, il gruppo ha lavorato ininterrottamente fino allo scioglimento (nel 1973) producendo una quantità enorme di materiale, non semplicemente discografico, ma di ricerca etnomusicologica. La fonte principale di lavoro dei Ramblers sono state le registrazioni degli anni ’20-’30, quelle registrazioni che hanno aperto alla musica country la via della commercializzazione e che hanno condotto alla scomparsa del mountaineer banjoist o fiddler, musicista non professionista.
Dice Mike Seeger: “Le nostre canzoni sono tratte dalle registrazioni effettuate dalle Compagnie Commerciali per la Library of Congress sulle montagne del sud-est tra il 1925 ed il 1935 e mostrano i primi tentativi dei musicisti hillbillies di fare un hit utilizzando le vecchie songs della tradizione…”. Questa frase è significativa rispetto al tipo di lavoro svolto dai NLCR, che non è stato un passivo lavoro di copia, ma neanche un lavoro tendente a sfruttare le possibilità commerciali della country music. L’avere rivisitato quel vecchio materiale discografico in maniera critica, senza stravolgerne i contenuti musicali, come purtroppo capita spesso di ascoltare, è uno dei meriti di questo gruppo.
La riproposta di questo disco, registrato nel 1959 e nato da materiale originario degli anni della depressione, ci riporta al problema, attualissimo, delle ricorrenti crisi del capitalismo occidentale, delle quali quella americana del 1929 rappresenta una delle più profonde. La scelta dei brani, come scrive John Cohen nelle note introduttive, è stata effettuata fissando come discriminante l’origine e l’appartenenza alla classe sociale che pagò maggiormente le conseguenze della crisi, il proletariato urbano e rurale. Venne così escluso un copioso materiale mistificatorio, che andava da canzoni di Bing Crosby (!) a canzoni di Bob Miller, umoriste, ma aperte dichiarazioni politiche costruite su modelli musicali country, a canzoni decisamente reazionarie. Quello che meraviglia è la mancanza di canzoni che esprimano un bisogno immediato di cambiamento, che siano di rottura nei confronti di un sistema economico che stava toccando il fondo.
I brani sono tutti punteggiati di una ironia a volte sottile, a volte più immediata, come nei ritornelli di No Depression In Heaven o There’ll Be No Distinction There. Quando viene lasciato spazio alla denuncia, come in Breadline Blues (Il blues della fila per il pane), la conclusione, piuttosto che esprimere sentimenti di ribellione, è il rifugio nel blues. Molto cruda ed incisiva per le espressioni usate è Taxes On The Farmer Feeds Us All (un solo di voce e fiddle di Mike alla maniera del vecchio Fiddlin’ John Carson, ripresa anche da Cooder) che denuncia la contraddizione del ruolo al tempo stesso portante ma subordinato del contadino nell’economia americana. Ancora denuncia velata di ironia nei confronti dell’entità degli assegni di pensione di vecchiaia in Old Age Pension Check, e sul fatto che le tasse ormai non risparmiavano alcun genere di consumo in Sales Tax On The Women.
Alcune canzoni fanno riferimento al cambio della guardia avvenuto in piena depressione al vertice degli States: scaduto nel 1932 il mandato di Hoover (repubblicano), la spunta Roosevelt (democratico) che verrà rieletto nel 1936. White House Blues è molto dura e critica nei confronti di Hoover (“…ora se n’è andato il maledetto, sono contento che se ne sia andato!”) ma limitata ad una condanna dell’uomo piuttosto che delle strutture. Al contrario Franklin D. Roosevelt’s Back Again (del 1936) è forse eccessivamente carica di speranza nell’uomo.
L’N.R.A. (National Recovery Act) faceva parte di un piano per affrontare il problema della depressione. Proposta dal presidente Roosevelt fu sabotata dalla Corte Suprema, che riuscì a dichiararla incostituzionale nel 1935. Le norme che conteneva andavano dai limiti massimi di ore lavorative ai limiti minimi delle paghe, a norme per impedire la pratica del lavoro nero e minorile, e riuscirono ugualmente ad incidere in campo sociale ed economico. N.R.A. Blues e Death Of The Blue Eagle esprimono rispettivamente felicità e fiducia nella legge e smarrimento nell’apprendere la notizia della morte dell’N.R.A. (simboleggiata dalla Blue Eagle).
Ancora sulla durezza della vita negli anni della depressione è How Can A Poor Man Stand Such Times And Live?; sulle conseguenze della crisi nelle fabbriche Serves Them Fine, un tema quanto mai attuale, con i licenziamenti e la disoccupazione. Completano l’LP, contenente ben diciotto canzoni, Wreck On The Tennessee Gravy Train, Loveless C.C.C., Boys My Money’s All Gone (uno strumentale), Keep Moving, Join The C.I.O. (suggestiva interpretazione di Mike, voce e banjo) e All I Got’s Gone.
Sotto l’aspetto musicale, di rilievo e molto ben riprodotti i caratteri distintivi della rural music, sia per quanto riguarda gli stili strumentali (ottimo come il solito il lavoro di Mike Seeger al fiddle, al banjo, steel-guitar, mandolino) che per il caratteristico stile vocale, nasale e strascicato, del sud-est. In conclusione un disco non solo da ascoltare, ma da leggere, aiutati dalle traduzioni dei brani e dalle note introduttive, che permettono di inquadrare storicamente il periodo descritto. C’è un appunto da fare, ed è che rispetto alla edizione originale (Folkways FH5264) è stato effettuato un taglio delle note introduttive: una riproduzione integrale avrebbe reso il disco più completo.
Albatros VPA 8369 (Old Time Music, 1977)
Mariano De Simone, fonte Mucchio Selvaggio n. 4, 1978
Ascolta l’album ora