Con la ristampa per l’Italia dei tre album di Ani DiFranco Imperfectly, Like I Said e Out Of Range, si conclude finalmente l’operazione di (ri)scoperta dell’opera omnia della folksinger di Buffalo. All’appello manca giusto un’ultima chicca, il brillante bootleg ufficiale Women In (E)motìon, roba da fan scalmanati pubblicato in Germania e reperibile praticamente solo via Internet.
Quando DiFranco incise Imperfectly, nel 1992, era uno scricciolino coi capelli rasati e lo sguardo fiero – “not a pretty girl”, come avrebbe cantato qualche anno dopo. Aveva solo due dischi alle spalle, per di più pubblicati da una minuscola e sconosciuta etichetta di Buffalo com’era la sua Righteous Babe, ma già il suo nome attirava attenzioni persino eccessive. Tanto da spingere la folksinger a scrivere l’m No Heroine, una delle sue prime confessioni di vulnerabilità, che faceva il pari con la struggente scena di Fixing Her Hair, gioiellino poco valorizzato.
Il tema dell’album, se ce n’era uno, era l’incapacità di integrarsi in una società incapace di accettare la diversità sessuale e politica. E Ani diversa lo era: bisessuale, animata da idee libertarie, nomade. Musicalmente il disco, basato essenzialmente sulla voce e sullo stile chitarristico nervoso di Ani, lasciava intravedere la strada che la folksinger avrebbe intrapreso, con l’introduzione di alcuni strumenti d’accompagnamento (basso e batteria, ma anche mandolino, tromba, viola) .
La svolta di Ani si sarebbe rivelata definitiva, tanto che un anno dopo la folksinger avrebbe sentito l’esigenza di rileggere le canzoni dei suoi primi due album (Ani DiFranco e Not So Soft), originariamente incise per voce e chitarra, in versione musicalmente più corposa. Questo era Like I Said (Songs 1990-91), un “se le avessi incise adesso” che donava ulteriore potere espressivo a canzoni note come Anticipate (uno dei picchi dell’album), Rockabye, Fire Door, Both Hands, Out Of Habit o Talk To Me Now, materiale d’una bellezza senza tempo.
Nel 1994 la svolta rock, se così possiamo chiamarla, venne portata a compimento da Out Of Range, lavoro corposo e a suo modo spiazzante. Brani che non rinnegano l’immagine di folksinger arrabbiata si integravano con ritratti personali, intimi, che mostravano lati meno conosciuti di Ani. Dal punto di vista stilistico, le due facce dell’artista emergevano nella doppia versione della brillante title-track, una acustica e l’altra elettrica. Sempre più brava nel maneggiare le parole, la DiFranco di Out Of Range scrisse alcuni tra i suoi testi migliori che abbinavano immagini concise, di quelle che restano impresse nella mente come slogan, e pregevoli sfumature poetiche.
Per noi quest’album è ancora un must, anche a costo di apparire spudoratamente di parte.
Claudio Todesco, fonte JAM n. 77, 2001