Parchman Farm. Le voci di dentro articolo

Come risalire la corrente e tornare alle radici dei worksongs o dei canti delle chain gang di prigionieri afroamericani? Come scoprire le loro condizioni di vita e l’ambiente in cui quei canti sono maturati? Ci sono molti libri e dischi sul tema, di cui abbiamo spesso trattato in queste pagine, ma un corpus di lavoro fondamentale è quello fornito da John e Alan Lomax. Padre e figlio (criticati da più parti ma esemplari nelle loro documentate ricerche sul campo, preziosi persino i loro CD sul folklore italiano, trattato regione per regione) hanno raccolto una valanga di materiale, sempre di prima mano, sulla cultura tradizionale nera e bianca.
Alan, alla scomparsa del padre, ne raccolse il testimone con lo stesso entusiasmo e lo stesso rigore filologico (per quanto possibile) che riappare in questo splendido cofanetto che, pubblicato dalla Dust-To-Digital americana, è corredato da una grafica eccellente, contiene due compact disc, un libro con molte foto esplicative ed è intitolato significativamente Parchman Farm: Photographs And Field Recordings, 1947-1959.

Gli album raccolgono i canti dei prigionieri neri del famigerato carcere del Mississippi, visitato da Lomax prima nel 1947-’48 e in seguito nel 1959. Questo album, che riprende e amplia il discorso intrapreso da Prison Songs (2 CD pubblicati nel 1997 e da noi recensiti nel n.61), racconta il mondo e l’ampia gamma dei canti dei prigionieri neri di Parchman, worksongs, blues e toast (di solito brevi brani narrativi di cronaca parlati, ma in questo caso cantati) nei suoi mille rivoli espressivi. Si sente anche il passare del tempo tra i due album. I canti del 1947 ’48 non sono come quelli del ’59; questi ultimi sono un po’ più moderni, o meglio sempre meno legati all’antica tradizione. Diceva Lomax che, arrivato a Parchman nel ’59 con il suo registratore-giradischi all’avanguardia, non trovò più l’atmosfera del decennio precedente. Fortunatamente per i detenuti, sfortunatamente per la cultura, le condizioni di vita e ambientali non erano più le stesse. «La musica aveva perso una parte della sua forza e della sua grandeur» – scrive Alan Lomax – «sarà stato perché le condizioni di vita erano meno brutali, anche se sempre dure, sarà perché i giovani prigionieri non volevano cantare alla vecchia maniera e neppure cantare le vecchie canzoni».

Bruce Jackson, ricercatore e studioso amico di Lomax, sostiene che nel 1959, le condizioni dei prigionieri erano cambiate in meglio nelle colonie penali del Texas ma non in quelle dell’Arkansas e che lui stesso, nei suoi studi, a quell’epoca non ha più trovato giovani che volessero interpretare i worksongs. Siccome i canti erano funzionali al lavoro, per gli studiosi era fondamentale ricreare l’atmosfera stessa che si viveva in carcere. L’appunto che viene mosso a Lomax è quello di non aver registrato i canti durante il lavoro e lo sforzo delle chain gang, ma in luoghi appositamente allestiti e mentre i convicts non lavoravano.
Nei canti di lavoro, in questi dischi, si distinguono quattro tipici generi o stili. I Tree Cutting Songs che venivano eseguiti quando più prigionieri partecipavano al taglio di un grosso albero. Questi canti erano molto semplici, basati sul call and response e dalla metrica molto veloce. C’erano poi i Logging Songs, eseguiti quando i grossi tronchi venivano tagliati in piccoli ceppi; questi canti erano più veloci dei precedenti e ritmati dai colpi delle accette che colpivano il legno. Ancora c’erano i Flat-Weeding Songs, utilizzati soprattutto quando si usava il badile o la zappa, quindi nei campi di cotone o nella costruzione delle strade a cui molti detenuti erano adibiti. Avevano una struttura molto più complessa vocalmente, ed i cori erano più vari e sostenuti. Poi c’erano i canti più evoluti a livello armonico-melodico ovvero i Cotton And Cane Songs, che aiutavano la coordinazione del corpo durante il lavoro e servivano a passarsi messaggi cifrati da non far comprendere ai sorveglianti, sempre pronti a punire (e secondo molte testimonianze ad abusare con fruste e altre terribili punizioni) i detenuti. I brani sono quadi tutti solo cantati ed eseguiti da chain gang.

Fondamentali, nel disco 1947-’48 Work Songs And Hollers di 22, nome d’arte di Benny Will Richardson, accompagnato dalla sua gang in brani come John Henry e The Prettiest Train I Ever Saw (conosciuta nel folklore bianco e nero con innumerevoli titoli come In The Pines ed eseguita in versione country persino da Gene Clark), 88 (vero nome C.B.Cook) che ha reinciso classici della schiavitù come Whoa Buck (storia di un cane e brani non pubblicati precedentemente come Rosie, o solisti come Bama (che esegue anche una particolarissima Stackalee) e Walter Jackson meglio noto come Tangle Eye in Tangle Eye’s Blues.
Nell’album 1947-’48 Blues/1959 Work Songs And Hollers compaiono, accanto al ‘suono’ delle accette e delle zappe e della voce solista (Hollers, Poor Lazarus, le inedite Berta e Up The River), le chitarre e le armoniche con cui viene eseguita anche (da John Dudley) la meravigliosa Big Road Blues di Tommy Johnson o l’evocativa Prison Blues di Clarence Alexander alla voce e all’armonica che risale al 1948.
Questo indispensabile supporto sonoro, è arricchito da un’intervista al detenuto-cantante Heuston Earms.

Antonio Lodetti, fonte Il Blues n. 130, 2015

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