L’uscita di On A Roll (SH CD 3815), il precedente disco di Pete Wernick, era stata salutata da consensi convinti se non entusiastici, accompagnati dal piacere di ritrovare un musicista capace ancora di sorprendere per il gusto anziché per la tecnica. Oltretutto il disco era solo il secondo progetto solistico, a distanza di alcuni lustri dal precedente e piacevole Doctor Banjo Steps Out (a memoria oserei dire a distanza di vent’anni, in realtà è qualcosa meno). E fra i due la grande, in tutti i sensi, esperienza degli Hot Rize.
Uno degli aspetti più apprezzati di On A Roll erano stati alcuni brani incisi dal banjoista del Colorado con una formazione chiamata Live Five, composta oltre che dal banjo, da batteria, basso, vibrafono e clarinetto, e il risultato era stato molto interessante, con un suono ben amalgamato e gradevole, grazie soprattutto al modo di suonare di Pete Wernick, che faceva da collante dei diversi strumenti.
A distanza di tre anni quel gruppo ci propone un intero album di brani, e, pur con tutta l’ammirazione per il band leader, mi chiedo se non fosse il caso di attendere e perfezionare meglio la cosa, senza certamente arrivare ai tre lustri di cui prima. Perché, a parte qualche oasi di piacere qua e là, purtroppo il disco annoia, purtroppo perché ho sempre considerato il Wernick uno del migliori compositori di musica per banjo, ma in questo caso la monotonia del sound, e l’abuso di titoli già noti (troppo scontata Dear Old Dixie) disattende le aspettative.
I banjoisti potrebbero trovarci degli aspetti interessanti…
Sugar Hill 3854 (Bluegrass Progressivo, 1996)
Nirvano Barbon, fonte Country Store n. 38, 1997