Philippe Bourgeois è (o era) il banjoista di Transatlantic Bluegrass, l’ottimo gruppo guidato da Christian Seguret, ed è una delle realtà più piacevoli dell’attuale panorama bluegrass europeo. Ho avuto occasione di ascoltarlo (con Transatlantic) in un locale presso Tolosa, lo scorso anno, e devo ammettere di essere tuttora un po’ sconvolto per la sua incredibile abilità tecnica ed il suo estremo buon gusto, non usuale in un ragazzo di 20 anni scarsi.
Philippe Bourgeois è apparentemente a proprio agio in qualsiasi stile, dallo Scruggs-style più rigoroso dei pezzi tradizionali, alle esplorazioni progressive di avventure che piacerebbero a Tony Trischka, al non-banjoistico per definizione country & western che Philippe suona con l’alter ego dei Transatlantic, Leroy Descons & His Alien Playboys.
E “a proprio agio” significa non poco: una mano sinistra in grado di spaziare con serenità per tutta la tastiera, in qualsiasi tonalità, e una mano destra in possesso di un’incredibile sincopatura, conseguenza di un forte amore (passato o no) per lo stile di Bill Keith, di una chiarezza di suono che lascia intuire giorni e notti passati sullo strumento, e di un timbro che meriterebbe uno strumento migliore.
Raramente, devo dire, è dato di sentire un banjo suonato con tanta pulizia, precisione e solidità, ed in situazioni così diverse: dal classicissimo Shuckin’ The Corn, pezzo veloce obbligato di ogni banjoista bluegrass, al molto poco banjoistico Roxanna Waltz di Kenny Baker, uno ‘slow waltz’ che qui è reso con finezza e assoluta indifferenza per le difficoltà insite in una simile trasposizione (penso che J.D.Crowe o Eddie Adcock, maestri nei pezzi lenti, non potrebbero trovare alcunché da obiettare allo stile di Bourgeois).
A mio parere, però, Philippe dá il meglio di se stesso, almeno in questo album, nei fiddle tunes e nei pezzi a tempo medio di vaga struttura violinistica, in cui, fra l’altro, il nostro dimostra un ottimo estro compositivo. Perru’s Beer, Great Smoky Mountains, Long Distance Telephone Call e Doctor J.D. sono infatti ottimi lavori, che ad onta di una non estrema originalità riescono però ad attirare l’attenzione per la loro fresca orecchiabilità e per non pochi spunti di novità.
Se un difetto può essere trovato è nella eccessiva sobrietà o addirittura, a tratti, nell’assenza di lavoro di back-up sotto alla voce o agli altri break strumentali.
Per esperienza personale posso garantirvi che Bourgeois è perfettamente in grado di suonare un back-up più che rispettabile, ma su Nashville questa sua capacità è messa decisamente in ultimo piano.
Ho parlato di voce e di altri strumenti: già, Philippe Bourgeois è bravo, ma non è che i musicisti di cui si è attorniato per il suo primo album solo siano da meno. A parte gli amici Olivier Andres (basso e chitarra) e Lionel Wendling (contrabbasso), già noti ai bluegrassofili italiani attraverso gli album di Seguret, i due Banjo Paris Session, o le tournee di Bill Keith, sono presenti in Nashville nomi come Sam Bush (mandolino), Blaine Sprouse (violino), Jerry Douglas (dobro), Roland White (secondo mandolino e voce), Pat Enright (voce), l’ottimo ancorché a me sconosciuto Jeff White (chitarra), ed un inedito Bela Fleck in versione chitarra ritmica.
Niente male, diciamo, anche perché tutti i personaggi citati sembrano essere in ottima forma (ma non stupisce), e godono di un dignitoso missaggio (anche se con timbri non del tutto perfetti, e con una lievemente eccessiva presenza del basso). Soltanto Par Enright riesce ad urtarmi per il suo modo di cantare, qui eccessivamente teatrale, ma è un difetto minore. Tutto l’album, infatti, è accuratamente studiato e organizzato in modo da intrattenere l’ascoltatore con vivacità e gusto, tecnica e soul, e con una sobrietà che ben si sposa con le scelte artistiche di Philippe Bourgeois.
Ada 1006 (Bluegrass Tradizionale, Bluegrass Moderno, 1983)
Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 14, 1985