Il giardino della Philo ha un nuovo fiore: Priscilla Herdman, dolcissima lady, dagli occhi caldi e profondi. Il suo talento è una felice sorpresa per tutti noi. La sua presenza si era fatta notare, nel ruolo di background vocalist, nell’ultimo album di Jim Ringer, ed è con sincero piacere che la scopriamo, grazie a questo album, fine e sensibile interprete del patrimonio musicale australiano e anglosassone. La sua autentica forza, sta nella voce pastosa-intensa di cui è dotata. Una voce sicura e decisa capace di sfumature delicate, così come di fermezza e costanza, doti che le permettono di calarsi completamente nelle songs che esegue. Seguace spirituale di Henry Lawson (Lawson, nato nel 1867 e morto nel 1922, è ancora vivo nel cuore degli australiani per le sue poesie e le sue prose. La sua figura è stata eletta a Poeta della Gente e Voce Folk dell’Australia). La Herdman fa rivivere in questo album il mondo poetico di codesto letterato, a volte così surreale ed a volte così vicino ai problemi sociali ed umani. The Water Lily è il quadro delicato di un sogno di Lawson, musicato da Priscilla con gusto; The Band Played Waltzing Matilda è invece un brano di Erik Bogle che narra con efficacia gli orrori della guerra.
Dancing At The Witsun sottolineata da un motivo bellissimo è il tributo sincero di John Austin Marshall alle vedove, mogli, madri, figlie di quegli uomini che parteciparono al primo conflitto mondiale, le quali impedirono, durante quei terribili e lunghi anni, che la tra dizione delle Morris dances, per centinaia d’anni eseguite solo dagli uomini, andasse perduta. L’album è vissuto con fascino dall’inizio alla fine: non prive di incantevole calore, alcune ballate romantiche e nostalgiche come le sublimi Do You Think That I Do Not Know sempre di Lawson; The Bush Girl di Lawson/Herdman. L’impegno sociale di Lawson riappare in Reedy River, storia di un giovane colono e dei suoi sogni, e in The Shame Is Going Back. A parte classificherei Old Wooley una hobo-song firmata da Don Lange, misconosciuto cantautore americano.
In definitiva un album stupendo, per maturità e interpretazione. Gran parte del merito, per le felici atmosfere ricreate in questo frangente, va da accreditarsi al superbo Jay Ungar (fiddle e mandolino) ed a Abby Newton (cello). Grazie alla Philo per la bella copertina (i più fedeli della Philo avranno costatato con soddisfazione che l’etichetta è cresciuta in modo rilevante anche nel confezionare i propri prodotti) e grazie ancora a Priscilla Herdman, per essersi autoprodotta ed averci regalato un disco simile. Musica così, purtroppo, non si ascolta tutti i giorni!
Philo 1014 (Traditional Country, 1978)
Mauro Quai, Mucchio Selvaggio n. 6, 1978
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