Un disco non recentissimo, Fiddle Tunes For Banjo (Rounder Records 0124), registrato tra l’ottobre del 1979 e l’inizio del 1981, è un ottimo spunto per parlare di tre musicisti che rappresentano altrettanti punti di riferimento per chi si interessi di bluegrass ed in particolare di banjo 5-string: Bill Keith, Tony Trischka, Bela Fleck.
Parlare semplicemente di bluegrass in effetti può risultare in questo caso restrittivo. Si tratta infatti dei rappresentanti di spicco di tre generazioni di banjoisti e dei capiscuola di stili decisamente progressivi, nonché simboli del volto odierno del bluegrass. Cresce infatti la schiera di musicisti urbani e magari di cultura superiore, svincolati dalle radici rurali tradizionali: così per il bostoniano Keith, per il newyorkese Fleck ed il newyorkese di adozione Trischka.
Ed è in questo approccio non tradizionale alla musica bluegrass da parte di musicisti nati e vissuti in una cultura multiforme e musicalmente varia, che è racchiusa la spiegazione della deviazione rispetto a quella che fino all’avvento di Bill Keith era considerata l’unica ‘scuola’ di banjo bluegrass: quella di Earl Scruggs.
Personaggio fondamentale per tutta l’evoluzione della musica bluegrass, questo Scruggs, uno di quelli che hanno segnato con la loro presenza una svolta nella storia di questa musica. E non sembri eccessivo: basti pensare alla riscoperta del banjo verificatasi a partire dalla metà degli anni ’40 grazie a questo tipo di musicista antidivo venuto dalle regioni rurali del North Carolina per fare fortuna al seguito di Bill Monroe, il ‘Padre del Bluegrass’.
Fatta propria, insieme a Lester Flatt, la ‘musica di Monroe‘, Scruggs continua a costituire un modello di riferimento per chiunque si accosti per la prima volta a quell’affascinante strumento che è il banjo 5-string. Il suo stile, perfettamente strutturato fin dai primi anni di collaborazione con Monroe, non si è praticamente più modificato, rimanendo strettamente legato a schemi e moduli consolidati.
Bill Keith è stato il primo banjoista ad allontanarsi con decisione dallo Scruggs-style, elaborando quello stile che è stato definito ‘melodic’ o ‘Keith-style’. Si è trattato del punto di partenza di una evoluzione che si sta svolgendo ancora oggi e che sta contribuendo ad allargare ancora di più i limiti imposti al bluegrass da una tradizione inizialmente troppo rigida.
Keith iniziò a suonare in un periodo (i primi anni ’50) in cui l’interesse nei confronti del banjo era in ribasso: difficoltà di reperirne e grossa confusione tra il 5-string ed il 4-string.
Bill iniziò proprio da quest’ultimo, soprattutto perché il locale negozio di strumenti musicali non aveva altro. La difficoltà di riprodurre su un simile strumento il tipo di fraseggio di Earl Scruggs doveva costituire per Bill un ottimo allenamento (l’assumere sulla tastiera complicate posizioni era un ottimo esercizio per la mano sinistra) quanto una esperienza frustante dal punto di vista dei risultati.
L’approccio sperimentale di Bill allo strumento si deve probabilmente alla mancanza di un indirizzo preciso. Lo stesso lavoro effettuato sul ‘quattro corde’ doveva risultare importante per una conoscenza della tastiera e dell’armonia più approfondite di quanto non siano generalmente richieste da uno Scruggs style-picker.
Nonostante l’idea che è alla base dello stile ‘melodico’ fosse stata già elaborata da altri musicisti (fra tutti è da citare Bobby Thompson), Bill è stato il primo ad applicarvisi in maniera costante, creando un proprio stile personale veramente unico all’epoca.
In precedenza c’era solo lo Scruggs style, che non permetteva di affrontare brani melodicamente elaborati se non semplificandoli, ovvero alterando la melodia, adattandola al tipo di arpeggio e di uso della mano sinistra del grande Earl. L’idea di sfruttare lo strumento in senso melodico venne suggerita a Bill dalla necessità di risolvere il problema di suonare delle fiddle-tunes eseguendo la melodia ‘nota per nota’, esattamente come la eseguivano i fiddlers.
Il risultato di una simile concezione è già ampiamente documentato nel disco Livin On The Mountaìn, inciso nel 1963 con il chitarrista e cantante Jim Rooney ed altri validi musicisti.
Nell’album è contenuto il classico medley Devil’s Dream / Sailor’s Hornpipe, punto di partenza di generazioni di banjoisti melodici. All’epoca di queste registrazioni Bill aveva già avuto l’opportunità di mettersi in evidenza andando a vincere, nel settembre del 1962, il primo premio nel contest di banjo del Folk festival di Filadelfia.
Aveva inoltre conosciuto Earl Scruggs ed aveva collaborato alla stesura delle intavolature dei brani del song-book di quest’ultimo.
Nel ’63 ebbe un’esperienza con Bill Monroe di soli nove mesi ma estremamente fruttuosa, alla pari di quelle di tutti i musicisti che hanno avuto la fortuna di suonare con Monroe.
Nel 1964 Bill Keith si unisce alla ‘Jug Band’ di Jim Kweskin, abbandonando il bluegrass ed ampliando il proprio lessico musicale. Allo scioglimento della band, sopraggiunto nel 1968, si dedicò alla pedal-steel, uno strumento che aveva conosciuto da vicino quando con Monroe si era esibito alla Grand Ole Opry di Nashville, il regno della country music.
Per alcuni anni l’attività di banjoista di Bill subisce un rallentamento, anche se è documentata da sporadiche quanto storiche registrazioni, quali Muleskinner (lo stupendo album del ’73 con Clarence White, David Grisman, Richard Green e Peter Rowan) e Music From Mud Acres (con i fratelli Happy ed Artie Traum, Jim Rooney, Maria Muldaur ed altri).
Nel 1975 c’è il deciso ritorno all’attività concertistica con Rooney e con vari altri musicisti, e l’album solo per la Rounder Records Something Auld, Something Newgrass, Something Borrowed, Something Bluegrass, con la partecipazione di Vassar Clements, Tony Rice, Kenny Kosek, Tom Gray, David Grisman, e scusate se è poco!
Ed assieme alla ben ponderata attività concertistica, una crescente dedizione all’insegnamento, con una serie di stages non solo negli Stati Uniti ma in tutta l’Europa. Sotto questo aspetto, è da rilevare la collaborazione con Tony Trischka. Quest’ultimo si è conquistato una notevole fama, oltre che come musicista, come autore di una serie di utilissimi manuali per banjo 5-string, tra i quali uno in particolare è dedicato alla disamina dello stile di Keith.
Come per tutti quelli che si sono avvicinati al banjo nei tardi anni ’50 e nei primi anni ’60, anche per Tony Trischka i modelli iniziali furono il Kingston Trio (quelli, per intenderci, di Tom Dooley) e Pete Seeger & The Weavers, che durante il folk-revival avevano raggiunto una fama notevole.
Ma dopo gli inizi, i modelli divennero Bill Keith e Don Reno. Soprattutto di quest’ultimo c’è ancora traccia nello stile di Trischka, fatto di passaggi molto liberi da un punto di vista melodico, ed eseguiti spesso con la tecnica di Reno di alternare pollice ed indice della mano destra per suonane più note consecutive sulla stessa corda.
Secondo Tony, questo stile da più ‘driving’ di quello di Keith, ed è quello che permette maggiore libertà improvvisativa, perché meno limitativo nel legame tra mano destra e mano sinistra. Probabilmente un purista rabbrividirà all’ascolto degli insoliti breaks strumentali eseguiti da Trischka in brani tradizionali, quelli per intenderci eseguiti generalmente ‘nota per nota’, da manuale, dalla stragrande maggioranza dei banjoisti.
Questi ultimi probabilmente si chiederanno se si tratta di ‘soli’ studiati a tavolino o se sono realmente frutto dell’improvvisazione.
In realtà alla base degli incredibili breaks che possiamo ascoltare nei dischi di Trischka c’è una notevole capacità improvvisativa: secondo le sue stesse parole “…degli standard contenuti sulla prima facciata di Banjoland solo un break su Foggy Mountain Breakdown ed uno su Dixie Breakdown erano preparati a tavolino, tutti gli altri sono stati improvvisati”. Si tratta in pratica del riuscito tentativo di portare il banjo oltre lo stile Scruggs, Reno o melodico; di una concezione più libera dello strumento, al quale vengono riconosciute possibilità espressive in diversi settori della musica, non solo nel bluegrass.
Tra gli allievi di Trischka ce n’era uno, qualche anno fa, che prometteva grandi cose: un ragazzino quindicenne piccolo e magro dalla voglia insaziabile di imparare nuovi licks, di spaziare melodicamente ed armonicamente ben oltre quello che un insegnante di banjo è solito insegnare. Il ragazzino Bela Fleck è cresciuto musicalmente molto rapidamente, arrivando a competere con il suo maestro di un tempo.
Anche rispetto allo stile che lo contraddistingueva agli inizi si è notato un ritorno agli schemi propri di Scruggs, lo stile di Fleck rimane oggi quello più moderno e vario, anche perché sorretto da una abilità ed una padronanza rare da riscontrare anche tra i cosiddetti ‘mostri sacri’.
Ed a soli ventiquattro anni Fleck si trova alle spalle già esperienze come quelle nei Tasty Licks e negli Spectrum, mentre recentemente è andato a sostituire Courtney Johnson nei Newgrass Revival, oltre a due dischi solo, e questo Fiddle Tunes For Banjo insieme a Keith e Trischka.
In realtà l’album contiene un solo brano in cui compaiono tutti e tre i musicisti, quel Bill Cheatham eseguito a tre banjos senza altro accompagnamento: un brano in cui è possibile cogliere differenze stilistiche ed apprezzare i diversi approcci allo strumento.
Il resto dei brani è suddiviso tra i tre musicisti, che eseguono non solo fiddle-tunes tradizionali (Paddy Kelly’s Jig, Black Mountain Rag, Fiddler’s Dream, Silverbell, Jolly Waffle Man), ma anche composizioni originali.
Così Trischka ci fa ascoltare le sue Vanished e Old Sandy River Bell nonché Dust On The Needle scritta insieme all’oldtime fiddler Alan Kaufman; Bela Fleck esegue Salty di Kenny Baker ed i suoi brani Christina’s Jig / Plain Brown Jig e Barbara’s Waltz mentre Bill Keith, oltre a Panhandle Country (di Bill Monroe) ci presenta Clinging Vine e Mead Mountain Blues.
Superfluo analizzare questo o quel brano tentando di estrarre i momenti migliori dell’album; si tratta di musica di livello molto alto, suonata impeccabilmente, con l’accompagnamento di musicisti di rilievo, gente come Russ Barenberg, Kenny Kosek, Sam Bush, Darol Anger, Andy Statman, Jay Ungar e così via.
E su tutti la classe di Keith, la vena improvvisativa di Trischka e la varietà e perfezione tecnica di Fleck, a regalarci un disco da non perdere.
Discografia essenziale:
Tony Trischka
-Country Cooking – 14 Bluegrass Instrumentals – Rounder 0006 (1971)
-Tony Trischka – Banjoland – Rounder 0089 (1977)
Bill Keith
-Bill Keith & Jim Rooney – Livin’ On The Mountain – Prestige Folklore 14002 (1963)
-Bill Keith – Something Auld, Something Newgrass…- Rounder Records RB-1 (1976)
Bela Fleck
-Bela Fleck – Crossing The Tracks – Rounder 0121 (1979)
-Spectrum – Opening Roll – Rounder 0136 (1980)
Mariano De Simone, fonte Hi, Folks! n. 1, 1983