Li avevamo conosciuti all’inizio del 2004 grazie al loro singolo I Don’t Know You Anymore (che ora apre il loro album di esordio intitolato Exit Hellsville) che era presente all’interno di una compilation della indie svedese Dusty Records ed ora abbiamo fra le mani un album vero e proprio, che andiamo a recensire con estremo piacere.
I Racketeers sono irlandesi, ma il loro sound è molto prossimo alle sonorità roots-rock statunitensi che da sempre ci appassionano.
Eamon Dowd (voce solista e chitarra acustica), Brian O’Toole (voce corista e basso) e Chris Teusner (batteria e percussioni) sono ai loro esordi discografici, ma hanno accumulato una buona dose di esperienza nel corso dei loro anni di gavetta a suonare nei piccoli pubs, esperienza che hanno poi messo a frutto con questo progetto senza dubbio valido, pur in presenza di alti e bassi.
La partenza con il brano già citato (uscito anche come singolo) è di ottimo auspicio: sonorità pulite, elettroacustiche, ricerca della melodia e voce roca e personale. Chi ben comincia…
Feel It In My Bones è un classico esercizio rock elettrico, una ballata molto scolastica e – per certi versi – abbastanza prevedibile nella sua evoluzione.
Migliore si rivela invece Never Did Never Will, con forti spunti della tradizione acustica del sud degli USA, Damage Done ha mutuato il jingle-jangle sound e le atmosfere semi-californiane dal sound dei 60’s americani, ma la voce resta molto personale.
Non vi inganni il fatto di sapere che i Racketeers sono irlandesi: il drive è quello di un grande pezzo rockabill e Nowhere Fast tale si rivela, con gradevoli e repentini cambi di ritmo, mentre con Come On Little Baby si ritorna ad atmosfere bucoliche – ed indubbiamente americane – per una song con notevoli affinità interpretative con il Neil Young migliore, a cominciare dall’armonica che introduce il brano.
Siamo solo alla metà dell’analisi del disco, ma non voglio andare oltre, tanto chi è già interessato all’ascolto dopo la prima metà del contenuto sappia che il resto viaggia sugli stessi livelli.
Chi invece non si sente ancora attratto da quanto ha letto, può passare oltre, in quanto ciò che si potrebbe aggiungere non cambierebbe la situazione. Aggiungerò solo che ricompare il riferimento del Neil Young ‘acido’ in Trouble Around The Bend (vagamente reminiscente della melodia di Knocking On Heaven’s Door), la ballatona acustica di Down Into Hell, le acrobazie chitarristiche di Never Is A Long Time, i preziosismi mandolinistici ed elettroacustici di Slip Away, per concludere con Don’t Believe What They’re Saying, introspettiva elucubrazione intimista e vagamente noir. Eamon Dowd è un grande cantante ed i Racketeers meritano di essere conosciuti. Siete avvertiti!
Spellbound SPCD 05 (Roots Rock, 2004)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 73, 2004