Rosso di pelo e con le braccia della stessa misura di due idranti, Redd Volkaert, che viene definito per queste sue caratteristiche, ‘pompiere del New England’, dopo la fortunata militanza nella band del mitico Merle Haggard, si avvia a diventare uno dei più raffinati ed eclettici chitarristi sulla scena country americana. Con la sua inseparabile Fender Telecaster, ha saputo integrare alla perfezione il Bakersfield sound di Haggard, con la sua personale propensione al jazz ed al rockabilly che, oltre a permettergli di definire i canoni di uno stile estremamente originale, ha riportato nel country quella vena fresca e creativa che, un ventennio addietro, aveva dato fama e popolarità ad artisti del calibro di Vassar Clements, David Bromberg, Norman Blake e molti altri.
La locomotiva del rock dei ‘settanta’ aveva spazzato via quella musica, accomunandola purtroppo ad un noioso e melenso standard nashvilliano e con essa, anche i suoi musicisti che, nel migliore dei casi, erano riusciti a sopravvivere nell’ombra. Grazie al cielo, la rinascita del country, dai novanta in poi, ha dato nuova linfa a tutti i generi popolari americani che, nel caso specifico di Redd Volkaert, dal 1996 ha coinciso con la grande opportunità di entrare nella band del mitico Merle, arrivando addirittura a diventarne l’architetto del sound e, di conseguenza, con la possibilità di mettersi in grande evidenza.
Canadese di origine, Volkaert si trasferisce negli States già dal 1986, stabilendosi prima a Los Angeles poi, dal 1989 a Nashville ed infine ad Austin nel 1997, dove partecipa alle sessions di I Hate These Songs, l’album del suo vecchio amico Dale Watson.
Dotato di una tecnica sopraffina e sicuramente al di sopra della norma, Volkaert ha forse inconsciamente messo al servizio del country il suo talento apparentemente atipico per quel genere, uno stile che sembrava naturalmente destinato a sviluppare interessanti sinergie con il blues o con il jazz, ma che, cammin facendo si è scoperto un anima agreste profonda e creativa, che non avrebbe mai più potuto avere nulla da spartire con suoni ruvidi o distorti, ammiccanti al mercato discografico di alta classifica.
Ma se il country pulsa ormai potente dentro di lui, né Nashville né Austin sono riuscite a sopire la vena strumentale alla quale Volkaert è rimasto, anche se solo tecnicamente, legato e che riporta alla memoria degli anni sessanta di Santo & Johnny, dei favolosi Shadows o dei troppo spesso dimenticati Ventures, le cui sonorità in questo nuovo No Stranger To A Tele si alternano, in perfetto equilibrio al Bakersfield sound di Haggard & Co..
In linea con Telewacker, il suo album di esordio del 1998, Redd Volkaert prosegue in quella che potrebbe essere definita come la carriera di un vero e proprio studioso della chitarra elettrica popolare, senza farsi incantare dalle critiche lusinghiere e dai frequenti richiami ai più blasonati chitarristi. In anni dominati soltanto dagli interessi delle majors, il pompiere del New England sarebbe stato rapidamente messo da parte, fortunatamente le indies hanno fatto cambiare la mentalità e così, anche la potente Hightone ha saputo riconoscere il talento di un grande musicista.
Certo Redd Volkaert non riuscirà mai ad oltrepassare i confini di un culto limitato e le potenzialità del suo mercato non riusciranno mai ad allettare grandi colossi, ma sul suo biglietto da visita c’è il nome di un musicista serio e sono convinto che a qualcuno potrà sempre interessare.
Hightone 8129 (Traditional Country, Honky Tonk, 2001)
Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 39, 2002
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