Richard Greene - Duets cover album

Grossa prova solistica per Richard Greene, uno dei più conosciuti e significativi suonatori di violino del panorama musicale americano. Il motivo centrale dell’opera è mostrare, con la complicità dell’eccellente tecnica di Greene, la versatilità di questo strumento nell’ambito di diverse forme musicali che vanno da un certo jazz con moltissimi richiami allo swing (Dave Frishberg), alla migliore tradizione bluegrassistica (J. D. Crowe), al bluegrass progressivo con ricerche armoniche a volte condotte al parossismo (Tony Trischka, David Grisman), con svariati riferimenti, nelle composizioni e di tanto in tanto nel particolare modo d’esecuzione (Tony Rice, David Nichtern), all’otm.

Dico subito che, come studioso di folklore, difficilmente posso capire, mai comunque accettare, un arrangiamento (e quindi un rimaneggiamento) di qualsivoglia tipo che coinvolga brani tradizionali. Posso invece riconoscere a Greene il grossissimo merito di aver portato a conoscenza di un uditorio più vasto dei gioielli musicali senza tempo. Alabama Jubilee (un tradizionale) e Anouman (una composizione a largo respiro di Django Reinhardt) vedono il nostro fiddler impegnato col pianoforte elettrico di Frishberg, un musicista che oltre ad offrire la base ritmica, riesce, con brevissimi sprazzi solistici, a suggerire spunti e stimolare la fantasia dello strumentista-partner (cosa sempre meno spontanea oggigiorno). Di scena nel duetto Methodist Preacher (trad.), il mandolinista David Grisman, abituato a pazzeschi voli armonici sul minuscolo manico del suo strumento, appare tuttavia in veste molto più ortodossa e dal punto di vista tecnico come un ideale supporter al meraviglioso gusto musicale di Greene in questo brano. David Nichtern è presente sia come esecutore, con un flat-picking style d’eccellente livello (Danny Boy), sia come autore (Nick’s Noodle).

La grossa sorpresa alla chitarra è certo costituita da Tony Rice nei duetti The Tennessee Waltz e Fish Scale, una composizione di Artie Traum. Quest’ultimo pezzo è incluso nel disco pur non comparendo nelle note di copertina; non è possibile conoscere quindi l’esatto nome del chitarrista, ma se l’orecchio e l’esperienza non mi ingannano, si tratta senza dubbio di Tony. Aggiungo che solo un’altra volta mi è capitato di ascoltare un Rice così dolce e perfetto: nell’album California Autumn per la etichetta Rebel (checché si dica, l’ultimo suo solo per la Rounder, a parte alcuni episodi, è cosa non trascendentale). In Fish Scale, forse il brano più complesso dell’album e certamente il più sperimentale, il motivo conduttore è eseguito da Greene e Rice all’unisono ed immediatamente richiama alla memoria l’interpretazione del David Grisman Quintet (stranissima e di un certo effetto la melodia finale di sapore europeo).
Due banjoisti portano il loro contributo: Tony Trischka con The Young Man Who Wouldn’t Hoe Corn (meglio conosciuta come The Lazy Farmer Boy) e Little Rabbit, J. D. Crowe con Twinkle Little Star e Colored Aristocracy, tutti brani tradizionali. Trischka è un musicista, a mio modesto parere, in possesso di una discreta tecnica, di una non comune velocità, ma con ben poca fantasia (non bisogna confondere la fantasia di un artista con le stranezze ed i fuori schema nell’usare lo strumento); J.D Crowe è invece un banjoista con un senso del ritmo eccezionale, legato alla migliore scuola bluegrass, che anche in questo contesto non stona affatto.

Sopra tutti spicca il fiddle di Greene. Tennessee Waltz è indubbiamente un capolavoro, forse addirittura superiore alla versione-manuale di Clark Kessinger (1896-1975), considerato da molti (compreso il sottoscritto) il miglior fiddle di otm (e bluegrass) in assoluto. Il tempo di walzer, tra l’altro, è il più impegnativo per un violinista: occorrono infatti note precise e chiare, un notevole tempismo ed, all’uopo, anche una certa capacità di sottile improvvisazione in rapidissime entrate e sortite nel e dal tema originale. Greene ha certamente assimilato ed elaborato tutte le tecniche proprie di questo strumento presenti nella tradizione (unica eccezione, il cajun-style) offrendoci un album che, oltre ad avere il pregio di essere stato inciso e mixato in maniera perfetta, di ospitare dei musicisti dotati di un’eccellente padronanza del proprio strumento e di presentare una selezione di brani con melodie estremamente limpide ed, alla fin fine, non necessariamente etichettabili, ha anche una pregevolissima qualità oggigiorno rara: quella di solleticare l’orecchio di qualsiasi tipo d’ascoltatore. Assolutamente da sentire.

Rounder 0075 (Old Time Music, 1977)

Pierangelo Valenti, fonte Mucchio Selvaggio n. 5, 1978

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