Cooper Terry

Il tempo vola. Sono passati già vent’anni dalla scomparsa di Cooper Terry, e l’occasione per riparlare di lui ce l’hanno concessa alcuni dei suoi compagni di viaggio, che anche quest’anno hanno voluto ricordarlo con un concerto a lui dedicato. L’occasione ci è sembrata ottima per far rivivere ancora una volta Cooper, sfruttando questa volta le voci di chi con lui ha vissuto sia le emozioni sul palcoscenico che quelle nello studio di registrazione.

Vorrei iniziare con una semplice domanda su come voi (Marco Limido e Lillo Rogati) avete conosciuto Cooper Terry, e l’esperienza che lui vi ha portato. So che vi siete conosciuti nel ‘72..

Marco Limido: Io ho iniziato da spettatore, loro (Lillo e Cooper) erano un po’ i miei idoli e andando sempre a vederli è nata questa passione. Con il passare degli anni ho iniziato a collaborare prima con Lillo, poi con la Blues Phantom Band di Cooper Terry ed infine con il progetto della Nite Life.

Lillo Rogati:  Io invece ho conosciuto Cooper nel ‘71, quando era appena arrivato in Italia, perché lui dormiva al Capolinea, un locale jazz molto famoso a quei tempi. Dopo che ci siamo conosciuti è venuto ad abitare in un locale che avevamo noi, in via Tre Castelli a Milano. E’ quindi iniziato il progetto della Blues Phantom Band, che abbiamo portato avanti per anni e col quale abbiamo prodotto dischi e siamo finiti anche a suonare in televisione. Lui poi si trasferì sui Navigli, in Vicolo Lavandai, dove era conosciuto come ‘El Negher del Navili’. Abitando lì vicino anch’io, nacque questa grande amicizia che poi si trasformò in qualcosa di più visto che lui qui non aveva famiglia, e di conseguenza lo ospitavo durante le feste. Diciamo che poi lo consideravo un po’ come un fratello. In seguito lui ebbe problemi con la legge, e si fece qualche anno di carcere per possesso di droga. In quel periodo demmo vita a questa nuova band, che inizialmente si chiamava Nite Live e che poi diventò Nite Life. Fu proprio in questa occasione che iniziai a lavorare con Marco. La band era formata da diversi elementi, ma successivamente rimanemmo solo io, Marco, Davide Ravioli, Cooper e il tastierista, che però venne ‘scaricato’ subito in quanto Cooper non era molto propenso all’uso di tastiere.

Andammo avanti solo noi tre e facemmo televisione, radio e due dischi : Stormy Desert e Tribute To The Blues. Il secondo, solo blues acustico, con l’uso del contrabbasso etc., rappresentava la nostra idea di come andare avanti. Nel ‘92 però, durante una tappa della tournee a Salerno, un magistrato gli diede il foglio di via per tornare in America.

La Nite Life era una band in continua evoluzione, che suonò con molti artisti di vario calibro e differenti esperienze musicali. Nel frattempo alcuni membri del gruppo portarono avanti progetti paralleli (come i fratelli Limido), ma la Nite Life era ormai diventata come un nucleo famigliare dove ritrovarsi sempre. Più avanti ci fu un cambio di membri (ad esempio Pablo Leoni alla batteria sostituì Davide Ravioli e Damiano Marino alla chitarra sostituì Paolo Manzolini) e aggiungemmo i fiati. Questa band, composta da 8 elementi, è molto elastica, vedi ad esempio le collaborazioni con Aida Cooper o il duetto coi Limido Brothers. Ovviamente l’arrivo e l’amicizia con Cooper mi sembravano un sogno, sai, prima di allora ascoltavi i grandi nomi del Blues, ma nessuno li conosceva o li aveva mai visti dal vivo. Lui ci fece ascoltare blues sul serio. A differenza di altri non ci faceva ascoltare un disco per poi impararlo a memoria: ci faceva ascoltare un minuto, giusto per capire com’era il pezzo e poi ci diceva di farlo, di girarci sopra come tu lo sentivi. Una delle cose che mi stupì di Cooper è che quando si riferiva ad un pezzo blues, lui non ti diceva «suona» lui ti diceva «parla».

Possiamo quindi dire che Cooper Terry ti ha insegnato a vivere il Blues?
Certo! Lui per me è stato sia un maestro di vita che di musica. Ovviamente poi, ognuno prende la sua strada e la sviluppa come meglio crede. Però posso dire tranquillamente che durante il nostro periodo di attività con Cooper Terry molta gente si è innamorata del genere proprio grazie a noi e al suo modo di trattare la musica blues.

A proposito di questo periodo di cui hai appena parlato, com’era la scena blues milanese dell’epoca?
La scena blues italiana ed europea in generale era meravigliosa! C’erano molti locali e festival dove si poteva suonare, di conseguenza si girava molto e questo ti metteva in contatto con altri modi di fare blues; insomma, un’esperienza eccezionale. Una cosa che reputo molto importante è che allora era pieno di giovani, cosa che oggi manca in qualsiasi tipo di scena musicale e non. L’inizio degli anni ‘70 era ancora un periodo di contestazioni, dove il giovane cercava qualcosa di nuovo anche per differenziarsi dalla massa, e il blues aiutava molto anche perché di sicuro non è una musica di destra. All’epoca ovviamente la politica era parte vitale della vita di ogni giovane, e c’erano molte feste dell’Unità e festival del genere che ci davano la possibilità di girare e farci conoscere. Ad un certo punto Cooper ebbe l’idea di fare alcuni pezzi col contrabbasso, e io all’epoca non sapevo neanche da che parte iniziare a suonarlo. Anche perché sai, come diceva Cooper, ogni strumento ha un’anima e tu prima di suonarlo devi capirla e saperci parlare assieme, deve diventare un prolungamento del tuo corpo. Decisi quindi di approfittare del periodo di detenzione di Cooper per imparare a suonarlo; infatti mi iscrissi alla scuola civica di Milano. Quando Cooper è morto, però, ho avuto un periodo di rifiuto per il contrabbasso, tant’è che mi hanno costretto loro (i Limido Brothers – n.d.r.) a riprendere a suonarlo, ed erano già passati 10 anni circa. Quindi ho dovuto iniziare ad esercitarmi di nuovo, perché sinceramente vorrei suonarlo come suono il basso, strumento che porto avanti da 40 anni. Inizio solo adesso a sentirlo più mio.

Tornando alla scena blues dell’epoca, sai dirmi qualcosa di più?
Certo! La chiave di tutto erano i giovani. Col passare degli anni, dato che la scena blues non era più pubblicizzata, e visto che in Italia non c’era molta possibilità di ascoltare generi diversi da quelli che ti passavano le radio, tutto quello che era diverso ne ha risentito; in primis a causa del mancato ricambio generazionale e poi anche a causa della crisi finanziaria che sta colpendo il paese: infatti molti locali e feste ora hanno chiuso. In questo momento è molto difficile trovare lavoro nella scena musicale italiana. Fortunatamente, essendo la Nite Life così elastica, è comunque più facile per noi trovare un locale dove suonare, anche se ciò non toglie che il problema di fondo rimane.

Cosa ne pensi invece della figura di Cooper Terry in quel periodo? Cioè, nonostante la promettente scena musicale italiana, trovi che la sua figura sia stata sottovalutata?
Assolutamente no. Soprattutto se si parla del momento in cui tutto è nato. In quel periodo Cooper era il numero uno, e lo è stato per tutta la sua presenza in Italia. Considera che praticamente in quel periodo il blues qui da noi non esisteva. Lui può essere considerato il padre putativo della musica nera in Italia. Ci insegnò come suonarlo. Non era un virtuoso della chitarra, ma quando iniziava a suonare ti dava un sentiero da seguire, ti faceva capire come doveva essere fatto. Nonostante lui non fosse un chitarrista eccelso, conosceva molto bene i fondamentali e ci trasmise la passione che ci metteva. Tutte cose utili per farti capire come suonare questo genere.
Prendendo spunto da questo suo modo di fare, mi piacerebbe aiutare molti ragazzi a capire come suonare il blues. Suonare il blues non è solo saper suonare lo strumento, il blues va capito. E la prima cosa da capire è che il blues è il papà di tutti. Che tu voglia fare rock, pop o qualsiasi altro genere devi sapere che le sue radici sono nel Blues. Ciò che Cooper ci ha insegnato non si ferma al mero strumento, ma al capire e a pensare il Blues. Un’altra cosa importante, che i musicisti spesso dimenticano, è che il Blues va suonato in levare non in battere. Tante volte un pezzo in 2/4 suonato in battere diventa una mazurka! E ciò è inaccettabile!

Torniamo sull’argomento del tributo a Cooper Terry, un progetto che portate avanti da anni ormai, ti va di parlarmene un po’ ?
L’idea del tributo è nata 3 – 4 anni fa, dopo che abbiamo notato che non c’era un vero e proprio tributo a Cooper. In realtà, probabilmente quello che ha spinto di più è stato Franco, anche perché lui quando veniva a sentirci era solo un ragazzino e i primi rudimenti dell’armonica glieli ha insegnati Cooper. In più Franco è stato influenzato da Cooper sia come uomo sia per la presenza fisica che lui aveva sul palco. Cooper era un animale da palcoscenico. Quando noi suonavamo iniziavamo il pezzo col volume basso e lui intanto lo raccontava (in italiano, visto che lo parlava molto bene) e la gente rimaneva ipnotizzata. Franco quindi, avendolo visto molte volte, ha imparato molto bene e lo ha saputo riportare nei suoi show. Ovviamente non è Cooper, ma ha saputo fare suoi questi insegnamenti.
L’idea di fondo è quella di fare un Tributo a Cooper basandoci sugli ultimi due dischi fatti:  Stormy Desert e Tribute To The Blues. Ci siamo poi accorti che questo gruppo funziona molto bene; vorremmo quindi affiancare altri progetti a quello iniziale del tributo. Ma è solo un’idea che sta nascendo in questo momento, non sappiamo ancora che forma prenderà questo progetto.

Andy J. Forest, ospite per questa sera, ha raccontato un aneddoto riguardante Cooper. Tu ne hai uno in particolare che ti porti nel cuore?
Così su due piedi è difficile per me sceglierne uno. Sai, siamo stati come fratelli per 20 anni, quindi di aneddoti ne ho davvero tanti. Forse una cosa che mi porterò sempre con me è il suo modo di raccontare barzellette. Durante i concerti lui raccontava barzellette sui neri. All’epoca la cosa era sconcertante per alcuni: un nero che racconta barzellette sui neri era semplicemente scioccante. Un altro aneddoto che mi ricorderò sempre è quando lui era appena arrivato in Italia, quindi non parlava una parola di italiano. Un giorno, mentre noi ragazzini dopo aver bigiato scuola, stavamo giocando nella cascina dove lui abitava, sentiamo una voce che grida in perfetto milanese: “Uè! Mucatela, foeura di bal!”. Noi ovviamente siamo rimasti di ghiaccio, perché non ti aspettavi nessuno che parlasse milanese, e invece era lui che si era messo a parlare il dialetto.

Gianluca Motta, fonte Il Blues n. 123, 2013

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