Robert Cray, un ragazzo come tanti, lo si potrebbe definire. Alto, elegante, apparentemente sereno: un viso simpatico segnato da un sorriso aperto e cordiale, più sorpreso lui della nostra presenza che non noi della sua. Un musicista che parla con semplicità della propria esperienza, degli incontri che hanno segnato il suo percorso umano e professionale, dei suoi amici, della sua musica, della vita: un tranquillo uomo di blues.
La passione per la chitarra di Robert Cray nasce nel 1965, quando a dodici anni segue l’esplosione dei Beatles sulla scena internazionale, il primo concerto con una garage band di amici (The One Way Street) é nel 1967, al tempo del primo Hendrix, con una chitarra Harmony da 69 dollari la cui cassa era stata, per l’occasione, ‘psichedelicizzata’ da uno strato di carta plasticata adesiva a grossi fiori colorati: sulla testa un grande cappello di pelle.
Un segno? Mah… ai posteri l’ardua sentenza….
Robert, che cosa rappresenta questo nuovo disco a questo punto della tua carriera?
Per me è stato un po’ come ricominciare da capo; poi, come avrai notato, in questo album ci sono stati anche alcuni cambiamenti all’interno del gruppo: l’inserimento del batterista Kevin Hayes, un anno fa ad aprile, ed un nuovo tastierista, Jimmy Pugh, che si è unito al gruppo da poco e suona il piano e l’organo hammond. Abbiamo anche lavorato a tempo pieno con i Memphis Horns (Wayrie Jackson, tromba e trombone, Andrew Love sassofono, ndr.). Abbiamo passato molte serate insieme a preparare il nuovo materiale, con una grande eccitazione ed un gran desiderio di fare musica insieme… è stato un po’ come ricominciare da capo.
Della formazione originale mi pare sia rimasto solo il bassista Richard Cousins…
Beh… in realtà non si è trattato di una epurazione… gli strumentisti con i quali suonavamo prima erano ottimi musicisti, ma mi piaceva il modo di suonare di questi musicisti – in particolare volevo un bel suono di Hammond nei nuovi pezzi e Kevin ha un modo più energico, più dinamico di suonare l’organo Hammond rispetto a Dave Olson… tutto qui.
L’album ha una struttura piuttosto tradizionale e l’impressione che se ne ricava è che la maggior parte del lavoro sia stato fatto in diretta… che cosa mi dici del vostro modo di affrontare questo disco?
Sai, questo è il modo in cui noi abbiamo sempre registrato e suonato il nostro blues, e non conosciamo un altro modo per farlo; non ho mai visto nessun altro gruppo registrare diversamente. So che c’è gente che arriva in sala separatamente e registra le singole parti, ma quello che noi facciamo è di muoverci in studio esattamente come sul palco, in una dimensione live. La struttura portante del pezzo con basso, chitarra, batteria e Hammond viene registrata in diretta, le uniche aggiunte riguardano i fiati, la mia voce e l’assolo di chitarra per il quale a volte registro più volte, su diverse piste, per poi scegliere quella che ci sembra l’idea migliore. Ma il grosso del lavoro si svolge insieme al gruppo in diretta, cerchiamo sempre di dare il meglio perchè il pezzo esca con l’impronta giusta, il giusto `mood’.
Che cosa mi dici del fatto che sei stato a lungo in tour con Eric Clapton?
L’incontro con Eric risale a circa cinque anni fa…abbiamo suonato insieme al festival Jazz di Montreux e ci è stato chiesto di suonare insieme per qualche data. Proprio nel periodo del nostro primo incontro lui aveva appena inciso una delle nostre canzoni… e così la cosa si è estesa: alle prime date se ne sono aggiunte delle altre ed abbiamo cominciato a suonare insieme e così via… la cosa funzionava ed abbiamo fatto una serie di date negli States, un breve tour in Giappone, altri concerti in Inghilterra e lui mi ha chiesto di suonare sul suo disco Journeyman…
E tu gli hai chiesto di suonare con te sul tuo nuovo disco?
No, non gliel’ho chiesto…perchè avevo in mente qualcosa di personale, di diverso; avevamo fatto dei cambiamenti all’interno del gruppo e volevo maturare questo lavoro. Forse in tour potremo ancora suonare insieme, ma nel disco ho preferito di no…
Come mai il mercato ed i mass media sembrano molto più ricettivi nei confronti del blues rispetto a qualche tempo fa?
Credo che sia un grande momento per il blues in generale, anche se ci sono tendenze diverse. C’è chi ha un’anima più rock, chi si rifà al blues tradizionale, chi ha dentro il rhythm & blues, il soul, il gospel, ma sono tutte tendenze positive: è un gran momento, anche se non ti saprei spiegare le ragioni di questo revival del blues…
Jeff Healey ha dichiarato che non è stato influenzato da Jimi Hendrix…
(e qui Cray si lascia andare ad una fragorosa risata)……
non so se sia stato sincero, diceva che Hendrix è solo uno tra i tanti chitarristi che ha ascoltato… quali sono state le tue influenze?
Anch’io ho ascoltato Jimi Hendrix… (risata generale) ecco perchè posso dirti che Jeff ti stava sicuramente prendendo in giro…ma ho ascoltato anche molti altri chitarristi come B.B. King, Buddy Guy, Albert King, Albert Collins: sai, mi piacciono i chitarristi blues…
Tra tutti questi musicisti, e tra tutti quelli con i quali hai avuto occasione di suonare, qual è quello che ti ha dato di più?
Beh, in realtà ciascuno di questi musicisti mi ha dato qualcosa, e non saprei chi indicare, ma se proprio devo fare un nome allora… direi Albert Collins. Mi è sempre piaciuto il suo modo di suonare anche prima di conoscerlo, poi ho avuto occasione di suonare con lui diverse volte. in un periodo di oltre un anno e mezzo, mi è piaciuto molto ed ho anche imparato molto. Ho cercato di non far caso gli accordi che utilizzava dato che, tra l’altro, era accordato in un’altra tonalità, ed è stato molto divertente… Albert porta il ritmo proprio con lo stile di un tastierista che accompagna con l’organo hammond, e a me piace molto quello stile forte, con una grande dinamica. Ma in assoluto, ti ripeto, non c’è un chitarrista tra quelli che fanno blues che mi piace su tutti, ognuno ha un suo stile ed ognuno ha qualcosa da comunicarmi… Buddy Guy suona in maniera molto rude, quasi selvaggia, e non credo che ci sia nessuno che pratichi il bending come lo fa Albert King, così come nessuno fa parlare la propria chitarra in maniera così suadente come B.B. King. Albert Collins, come ti dicevo, è molto percussivo e dinamico… ognuno di loro ha qualcosa che mi piace e non saprei proprio sceglierne uno su tutti.
Non ti dà fastidio il fatto di essere sempre paragonato a qualche altro musicista, a Clapton…
No, tutti abbiamo le nostre influenze, la cosa triste è quando la gente cerca di ricondurre la musica a delle categorie rigide, quando cerca di spiegare che cos’è, in realtà, questa musica, quando pretende di dire ciò che non si può dire…
Hai ragione, ma questo è un problema del nostro mezzo di comunicazione, sai le nostre pagine hanno un grosso difetto: purtroppo non suonano…
…(ride)… E’ vero, hai ragione, ma a volte esagerate con le definizioni, comunque capisco cosa intendi dire…
Tornando alla musica, non so se hai avuto occasione di sentire il nuovo disco di John Lee Hooker, sembra che sia un buon disco, che cosa mi dici in proposito?…
Beh, ho sentito quel disco e devo dirti che mi piace davvero, infatti ho anche suonato in un pezzo di quel long playing (ride…). Mi piace John Lee, è un caro amico ed è stato bello suonare con lui… sai, il ragazzo ha 73 anni, non ha perso il suo smalto e sta attraversando un periodo fantastico; è stato bello vedere tutti quei musicisti suonare con John Lee… è un gran musicista e il disco un gran bel disco…
E’ stato facile suonare con lui?
No, direi proprio di no, è stato tutt’altro che facile dato che lui è capace di fare frasi di blues su tredici o quattordici battute, poi comincia a cantare su un giro standard e all’improvviso cambia la progressione degli accordi… bisogna fare molta attenzione, stare sempre con l’orecchio teso e tenerlo d’occhio, ti sorprende sempre!
Non vi dava mai una traccia, le parti, le sigle?
Mai (ride), non ci diceva niente, improvvisava continuamente, io credo che lo stesso brano che abbiamo inciso insieme su quel disco, Baby Lee, se oggi ci trovassimo a eseguirlo di nuovo lui lo suonerebbe in maniera completamente diversa! Cambierebbe tutto, le misure, il tempo, gli accordi!
Da come ne parli direi che tu in studio ti comporti in maniera piuttosto diversa…
Beh, in effetti, direi di sì, noi abbiamo sempre un numero di battute preciso all’interno del pezzo, dei patterns ritmici ed armonici definiti, abbiamo un’idea più precisa della struttura dei brani: è la nostra musica. John Lee appartiene alla vecchia scuola, lui segue semplicemente quello che gli detta il suo stato d’animo, segue ciò che sente… il che è senz’altro una lezione estremamente importante, che tutti dovrebbero imparare riguardo al rapporto con la struttura musicale, con il fatto che ci possano essere o non essere regole nella musica. Questo signore che si chiama John Lee Hooker fa la propria musica, la fa a modo suo ed è per questo che lui è John Lee Hooker.
In questo disco di John Lee c’è un pezzo eseguito con la band di Carlos Santana, che cosa ne pensi di questo genere di commistioni tra il blues e, ad esempio, la musica latino-americana?
Mah, in realtà, quello non è propriamente un pezzo blues, anzi direi che non lo è affatto, Carlos Santana ed il suo gruppo suonano un certo genere di cose da sempre, è solo John Lee che canta su una base di quel genere e con la sua voce ed il suo modo di cantare la rende ‘blue’: è fantastico.
Quando pensi al tuo modo di essere musicista ti consideri più un esecutore, un autore, un chitarrista, preferisci suonare…
Di solito preferisco suonare, mi piace la parte creativa, ma soprattutto mi piace entrare in studio, suonare con gli altri del gruppo, stare con loro, lavorare ai pezzi, forse cambiare qualcosa ma farlo spontaneamente, senza forzature. Vedere gli altri che sorridono magari perchè tu hai trovato un buon riff, una bella linea o, forse, perchè qualcuno del gruppo ha avuto un’idea brillante, di quelle che fanno crescere i pezzi…
Quando scrivi, il pezzo trae origine da uno spunto, magari una frase, un riff, o hai in mente una progressione armonica e ci costruisci qualcosa sopra?
Quello che succede di solito è che mi viene una linea melodica e la sviluppo, oppure ci sono alcune frasi all’interno del testo che mi stimolano e ci lavoro sopra fino a che il pezzo non prende corpo. Di solito però ho sempre in mente la linea melodica, è la musica che viene prima, poi lavoro per completare il testo.
Nei tuoi testi ci sono dei riferimenti personali, alla tua vita, alla tua quotidianità?
Le canzoni che scrivo hanno sempre qualche riferimento alla mia vita, a qualcosa che è già successo che ha avuto un posto più o meno importante nella mia esperienza e di cui io sento il bisogno di parlare. Quando, invece, i pezzi nascono sulla base di un’idea collettiva, allora cerco di mettere su una storia credibile che abbia riferimento con una realtà oggettiva.
Credi di essere cresciuto di più, in questo disco, come cantante o come chitarrista?
Vorrei dire in entrambe le cose….mi sono divertito, mi sono divertito molto lavorando a questo disco e questo clima disteso ed eccitante mi ha spinto a sperimentare qualche piccola cosa rispetto al mio modo di cantare che si è fatto un po’ più graffiante, qualche urletto’ qua e là (sorride). Il lavoro poi non è stato pensato sulla chitarra o per la chitarra, ma le canzoni si sono sviluppate pensando al gruppo, all’ensemble, ed in un certo senso si può dire che sono nate nel gruppo. Sebbene io sia un chitarrista, credo che ‘troppa chitarra’ non giovi ai brani, alla musica in genere… Sai, quando vado a quei concerti nei quali il leader del gruppo è un chitarrista, un ‘guitar hero’, come si dice, beh francamente, a volte, mi sembra troppo… a me piacciono tanti generi di musica, ma in genere mi piace l’equilibrio, mi piacciono le belle canzoni. Il blues in realtà non ha necessariamente bisogno di raffiche di note… è come una conversazione con delle persone e quando parli ti dà fastidio quello che urla e spara mille parole una dietro l’altra nel tuo orecchio, ti viene voglia di schiacciarlo come una mosca fastidiosa. Il blues è diverso, è una conversazione intensa, a volte con toni delicati, a volte forti, a volte drammatici ma mai esagerata, altrimenti non si capisce quello che dici e non capisci quello che l’altro dice a te.
Che tipo di chitarre usi?
Di solito suono una Fender Stratocaster alla quale sono molto affezionato…
E quando non suoni quella?
Beh, allora suono… un’altra Stratocaster (risata generale)…ne ho una bella serie e ognuna di queste suona in modo diverso, ha una sua personalità… Ne ho una del ’58 ed una del ’64, una che ho preso alla Fender, un modello`signature’ creato su mie specifiche, ed altre che ho modificato. E’ convinzione comune che le ‘vecchie’ Strato abbiano una marcia in più rispetto ai modelli più recenti, sei d’accordo?
Io credo che non si possa generalizzare, dipende sempre dal singolo strumento, non si può mai dire.
Utilizzi degli effetti particolari?
Tutto quello che ho nel mio set up è un buon riverbero ed un tremolo che sono incorporati nell’amplificatore, non uso effetti particolari.., solo in un pezzo nel disco ho aggiunto, un po’ di flanger sul ‘solo’ di chitarra, ma niente di esagerato.
Le parti dei dischi sono, quindi, quelle che suoni in diretta senza particolari alchimie elettroniche?
La mia musica non si presta a queste alchimie come le chiami tu, non intervengo mai a posteriori su ciò che suono per variare artificialmente la velocità, la tonalità, l’altezza delle note… non faccio cose di questo genere…
Che corde usi?
Uso corde D’Addario, la scalatura è, dal cantino al basso: 0.11/0.13/0.18/0.28/0.36/0.46.
Che rapporto hai con la chitarra acustica?
Non ho un gran rapporto con la chitarra acustica, l’ho suonata in un solo pezzo, ma non ne sono granché attratto, preferisco di gran lunga suonare l’elettrica, è il mio strumento.
Non c’è un gran feeling tra te e la chitarra acustica, dunque?
No, il fatto è che… non ne posseggo una… (risata generale), ne ho una classica con le corde in nylon ma non ho una chitarra acustica.
Molti chitarristi dicono di non essere in grado di suonare qualcosa se prima non l’hanno in mente, tu saresti capace a suonare una frase che non riesci a ‘cantare’ nella tua testa’?
No, assolutamente no. Ci provo spesso, ma non ci sono ancora riuscito, penso che suonerei in maniera completamente diversa se ci riuscissi. Quando penso ad un assolo a volte ho già un’idea in mente, ma altre volte voglio solo lasciarmi andare, liberarmi da tutto e vedere cosa viene fuori.
Tutti quando suoniamo abbiamo dei riferimenti magari inconsci che finiscono coll’emergere in quello che suoniamo…. tu quanto sei influenzato dai patterns o dai licks del blues?…
No, io non penso in questi termini, in realtà non saprei dirti come vengono fuori gli assoli che suono, non ho in mente nessun pattern particolare, nessun ‘classico’ del blues, credo che ci sia qualcosa di schizzofrenico’ nei miei soli (ride), a parte tutto, non penso mai alle cose che ho sentito, studiato, ai riffs di altri, ai dischi ecc.
Le grandi star del rock e del pop sembrano, almeno qui in Italia, aver fallito il loro obiettivo recentemente e le super produzioni si può dire che non hanno funzionato: cosa ne pensi?
Credo che sia ora di restituire la musica ad una dimensione che le sia più congeniale, organizzare dei concerti in spazi più ristretti che favoriscano l’ascolto e la comunicazione tra artista e pubblico; sarebbe bello ritornare a suonare in posti più contenuti invece che mettere su spettacoli giganteschi, mi piacerebbe vedere alcuni musicisti sudare un po’ di più e cantare sul serio. Quando c’è troppa gente si finisce con l’essere eccessivamente distanti: davanti a 50.000 persone c’è sempre qualcuno lontano un miglio da te, che fatica a vederti e tu, per lui, sei anche più piccolo di un dito e lui è la stessa cosa per te, e allora come può esserci comunicazione, feeling? Con questo non intendo dire che lo spazio ideale sia quello del pub, dove rischi di non poter suonare perché viene giù il locale, ma direi che la dimensione giusta dovrebbe oscillare tra le tremila e le cinquemila persone, dove il gruppo respira l’aria, il groove del concerto dal vivo ed allo stesso tempo gli spazi non sono eccessivamente dilatati tanto da annegare il feeling.
Hai mai pensato di registrare un disco dal vivo?
No, non ci ho mai pensato seriamente e, per adesso, L’idea non mi interessa…
Forse in futuro?
No, non lo so, forse… non ci ho ancora pensato…
Giuseppe Cesaro, fonte Chitarre n. 57, 1991