C’era Belfast e un gelido inverno, e una Irlanda che nelle immagini di un DVD musicale come Irish Tour ’74 offre ancora oggi la vivida testimonianza di una terra povera, che sembra un po’ città dell’Est, al di là del Muro, un po’ Beirut del Nord, metaforicamente più a Sud (del mondo) di quanto effettivamente non lo fosse. Ma c’era anche un chitarrista, un po’ hobo del rock un po’ eroe popolare, che ne intercettò presto la fame di musica e il tramite di questo stesso linguaggio come unico modo per evadere davvero, lasciarsi alle spalle per un istante quell’inferno di bombe e tornare a sorridere. Irish Tour ’74 di Rory Gallagher allora è soprattutto questo, non solo una documentazione visiva dei concerti che il musicista tenne al suo trionfante ritorno a casa dopo la tournée del più celebre Live! In Europe ‘72, ma l’album più politico che probabilmente, nemmeno Bob Dylan avrebbe mai fatto. Perché con Irish Tour ’74, Rory arriva al cuore di una terra divisa, la sua terra, e si spinge là dove nessun ‘collega’ avrebbe allora osato: entra nel punto nevralgico, attacca senza dire nulla la questione separatista ma piuttosto, se di agire umano in società si tratta quando si parla di politica, non si fa alcuno scrupolo a suonare per le due ‘irlande’, riunificandole più di quanto ogni politico avrebbe potuto veramente concordare. «Non voglio fare un film dal contenuto politico …» – disse – «… ma sarà evidente di per sé» -. I fatti parlano da soli, il resto … è storia. C’era già stato nei suoi trascorsi iniziali a Belfast, con quei Taste che giunsero a far da spalla ai Cream e al loro addio alle scene del 1968, alla Royal Albert Hall londinese.
Fu proprio in quell’occasione che conobbe il regista Tony Palmer, acclamato professionista che lavorò coi Beatles oltre che col supergruppo di Clapton, e che al momento in cui gli venne chiesto di filmare il tour del più grande chitarrista irlandese, se ne ricordò subito. E Rory, onorato da Melody Maker, con la decisione di non voltare le spalle alla capitale del Nord, ebbe ricambiato tutto l’affetto di pubblico ottenuto con quella scelta. Lo stesso giornalista Roy Hollingworth della famosa testata musicale di cui sopra, presente allo spettacolo inaugurale della band alla Ulster Hall negli ultimi giorni del ’73, descrisse quella città in rovina, fredda e solitaria. Ma con una scena concertistica inesistente e i musicisti che le avevano voltato le spalle, il rifiuto di Rory di fare altrettanto conquistò il cuore di migliaia di fans in tutto il paese. «Non vedo alcuna ragione per non suonare a Belfast» – disse – «I bambini vivono ancora qui». E così, Gallagher & company del periodo migliore (Gerry McAvoy, Rod De’ath e Lou Martin) tornano nuovamente in città per il 29 dicembre 1973, all’inizio di quello che sarebbe diventato il fantastico tour irlandese, oggi in edizione deluxe proprio per i quarant’anni da quella fatidica stagione. Lo stesso Palmer racconta quanto Rory ci tenesse a precisare come lui stesso, pur non essendo attivo da nessun punto di vista politico, sentisse fortemente il dovere di suonare sia in Irlanda del Nord che nella Repubblica, e che ciò gli doveva essere consentito. E non si sbagliava. Il suo blues feeling fa percepire qui il superamento di ogni divisione politica e riceve dalla gente un’accoglienza totale, a cui forse la testimonianza audio non rende pienamente onore quanto il filmato (dove lo si vede anche firmare autografi per strada) ma è oltremodo evidente un documento sonoro ‘di risposta’, che ne attesta la prodigalità dell’individuo così come dell’artista, e che pure dà più di quanto abbia mai ricevuto.
Ma Gallagher viene comunque osannato in patria, e se vogliamo dar ragione a quel detto per cui nessuno è profeta in patria, allora la patria di Rory è forse quel suo mondo professionale che non gli ha mai reso giustizia fino in fondo, troppo intento al marketing e al guadagno facile che non a un musicista che non voleva saperne di hit o vita da star. Com’era nelle sue corde perciò non ci sono filtri, e gli show in giro per l’isola verde in questa quarantennale edizione agghindata a festa sono al completo: buona la prima e pochi rimaneggiamenti di sorta, solo un remastering che a dire il vero non fa miracoli, ma è bello così, come quella Stratocaster che pareva sopravvissuta a un incendio, accesa di orgoglio irlandese e più innovativa di centomila Fender imbellettate di lustrini (tant’è che in quella ‘retromania’ che è la moda di oggi, la Fender guadagna più da modelli nuovi anticati ad arte che da modelli nuovi e basta, Gallagher custom shop guitar compresa). Irish Tour è dunque puro sound, a partire dal live che apre questa summa e ci regala il doppio, classico di sempre, che non può mancare nelle collezioni di rispetto: suonato a Cork, città d’adozione (e dove Rory riposa oggi, al cimitero di St. Oliver) quel 5 gennaio del ’74, il concerto è ovviamente ampliato e l’iniziale Cradle Rock d’apertura, che eravamo abituati ad ascoltare dopo la presentazione di rito, è qui sostituita dall’immancabile Messin’ With The Kid eseguita pure al primo show di Belfast, completamente inedito ma invero molto simile nella scaletta, e che aggiunge anch’esso l’altra potente quanto onnipresente Laundromat: le due erano state eliminate dall’edizione ufficiale perché già nel live In Europe ’72.
Ma dei concerti che ascoltiamo in questo box reso ormai ufficiale, c’è molto dai dischi licenziati da Rory sull’onda del suo più grande precedente ‘dal vero’, e con le immancabili dal tour europeo, ci sono le canzoni di Tattoo e Blueprint: comme d’habitude dilatate all’inverosimile, in situazioni che non mancano mai di fruire degli umori del contesto, veicolati dalla chitarra di Rory in mille rivoli di blues & folk popolare fino alle radici. E se le punte del distorto raggiungono i picchi più appuntiti con lo slide in elettrico (già Cradle Rock o Laundromat, ma anche le conclusive Bullfrog Blues a Dublino e Belfast) non manca di essere sopra le righe il gioiellino acustico di As The Crow Flies, i cui contrappunti cristallini alla sei corde vengono compendiati da un’eccezionale armonica, godibilmente fuori giri: da solo, questo vecchio blues nella track list di tutti i concerti rende l’idea di come l’esibizione gallagheriana sia uno spettacolo a tutto tondo, coniugando coi fedelissimi pard di un decennio magnifico la spiccata verve di polistrumentista, nel solco della triade tradizionalista che ad armonica e chitarra aggiunge pure il mandolino della hit di Going To My Hometown…e corale battimani del pubblico. Mai un’esecuzione identica, largo spazio all’improvvisazione e gustosi tecnicismi affatto fini a sé stessi, che diventeranno il marchio di fabbrica di uno stile inconfondibile, che ha fatto scuola. E se la resa migliore di questi archivi viene certamente dai concerti di Cork, passando da un missaggio diverso a Dublino (con la batteria jazzy del compianto Rod De’ath a coprire un po’ il resto) fino alla sporchevole resa fonica di Belfast, poco importa: Irish Tour ’74 è l’imprescindibile testimonianza di una storia irlandese.
Dischi 1 & 2, Cork (5 gennaio 1974): Messin’ With The Kid* / Cradle Rock / I Wonder Who / Tattoo’d Lady / Walk On Hot Coals / Laundromat* / A Million Miles Away / Hands Off* / Too Much Alcohol / As The Crow Flies / Pistol Slapper Blues* / Unmilitary Two-Step* / Bankers Blues* / Going To My Hometown* / Who’s That Coming / In Your Town*.
Dischi 3 & 4, Dublino (2 gennaio 1974): Cradle Rock* / Tattoo’d Lady* / Hands Off* / Walk On Hot Coals* / Laundromat* / Too Much Alcohol* / A Million Miles Away* / As The Crow Flies*/ Pistol Slapper Blues* / Bankers Blues* / Unmilitary Two-Step* / Going To My Hometown* / In Your Town* / Bullfrog Blues*.
Dischi 5 & 6, Belfast (29 dicembre 1973): Messin’ With The Kid* / Cradle Rock* / I Wonder Who* / Tattoo’d Lady* / Walk On Hot Coals* / Hands Off* / A Million Miles Away* / Laundromat* / As The Crow Flies* / Pistol Slapper Blues* / Unmilitary Two-Step* / Bankers Blues* / Going To My Hometown* / Who’s That Coming* / In Your Town* / Bullfrog Blues*.
Disco 7, City Hall in Session (3 gennaio 1974): Maritime (The Edgar Lustgarden Cut) / I Want You / Raunchy Medley* / Treat Her Right / I Wonder Who* / Too Much Alcohol* / Just A Little Bit / I Can’t Be Satisfied* / Acoustic Medley* / Back On My Stompin’ Ground (After Hours) / Stompin’ Ground (Alt. version).
Disco 8 (DVD), Documentario di Irish Tour ’74 diretto da Tony Palmer (su gentile concessione della Eagle Rock Entertainment).
(* inediti)
Sony/Legacy 8887500488 (USA) (7CD+1DVD) (Blues, Roots Rock, Blues Rock, 2014)
Matteo Fratti, fonte Il Blues n. 129, 2014