Devo l’immenso piacere della scoperta di uno dei più grandi gruppi degli ultimi anni ad un caro amico, serissimo professionista e preciso riferimento per chi, in Italia e non solo, intende fruire di buona musica: Paolo Carù. La band Say Zuzu è composta dai fratelli Jon (voci, chitarre e mandolino) e James Nolan (basso e voce), Cliff Murphy (voci, chitarre, banjo ed armonica) e Steve Ruhm (batteria, voce e percussioni assortite). Sono giunti al loro terzo CD e vi garantisco che l’ascolto è stato uno di quelli che ti lasciano interdetto: e da quanto tempo suonano questi? Da dove vengono? E soprattutto: DOVE SONO STATI FINO AD OGGI, quando eravamo assediati da tanti bluffs spacciati per progressive-country od altre amenità?
E’ bene dire comunque che il country risulta solo uno dei filoni (e per di più abbastanza marginale) che confluiscono nel ben più articolato spettro sonoro che caratterizza il contenuto del CD in questione. Le matrici di un certo rock sudista (gli Allman Brothers di Ramblin’ Man, tanto per capirci) si fondono con sonorità più vicine al country-rock californiano, che sembra godere di un certo qual revival in questi giorni. Il tutto viene filtrato dalla sensibilità musicale (e più generalmente artistica) dei quattro, anche se il maggiore peso compositivo poggia sulle spalle di Jon Nolan e Cliff Murphy. Le voci soliste del due si alternano (come nell’iniziale The Farm) e si completano per alcune interpretazioni che non possono restare fuori da un’ideale compilation intitolata ‘The best of… SEMPRE’.
14 Other Ways, con un’intro di chitarra elettrica che profuma di Neil Young, si insinua in testa fin dal primo ascolto e non ne vuole sapere di uscire, come un bambino piccolo, cocciuto e disubbidiente. Il sano rock chitarristico del riff iniziale di Hard Line suona sempre più convincente ad ogni ascolto ed altrettanto proporzionalmente aumenta la convinzione di trovarsi di fronte ad un grande album. Il title-track di Take These Turns paga il tributo ad una tradizione ancora estremamente radicata nel sud degli States (anche se, a dire il vero, i ragazzi vengono dal New Hampshire); grande ballata elettroacustica e grande spolvero di chitarre e voci.
Lo stesso spreco di aggettivi positivi, accrescitivi e quant’altro ben si adatta anche al resto dell’album. Qualche titolo a caso: This Town, Don’t Tie Me Down, Nickle Store Stomp, The Twine Song, Dead Dog, Chamberlain’s Guard, 706 Union Ave… e non è che manchi poi molto a completare un CD davvero eccezionale, imprescindibile sotto tutti i punti di vista (anche quello grafico, con una cover densa dei toni caldi della luce del sole ormai vicino al tramonto) e degno di entrare di diritto fra i mitici dieci dischi da portarsi sull’isola deserta (ne esistono ancora o tutti gli atolli esistenti sono ormai abitati dai musicisti intervistati con la fatidica domanda?).
Say Zuzu PP-005D (Roots Rock, Alternative Country, 1997)
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 38, 1997