Scott McClatchy – One Time One Night In America cover album

Fin dalle sue prime esperienze artistiche nella nativa Philadelphia Scott McClatchy ha sempre mostrato quelle attitudini ‘blue collar’ che l’hanno accompagnato con The Stand, piccola band culto nel circuito locale e poi nel suo fondamentale trasferimento nella Grande Mela dove ha frequentato gente del calibro di Scott Kempner, leader dei Del Lords, Willie Nile, Dion Di Mucci e la crema della scena newyorkese dedita al rock’n’roll nella sua accezione più vibrante e genuina.
Quello che ha guidato Scott McClatchy nella sua carriera è stato lo spirito più sincero e spontaneo che ha caratterizzato tutti i suoi sei dischi pubblicati con cura certosina e inevitabilmente artigianale senza perdere un grammo di credibilità.
Cresciuto a pane e rock’n’roll, ha amato visceralmente The Band, Los Lobos, Creedence Clearwater Revival, Bruce Springsteen e tutto quello che ad essi è legato e si possono chiaramente intravedere nelle sue canzoni i cenni di quella passione che in tutti questi anni ne ha accompagnato il percorso. One Time One Night In America contiene un po’ tutto del vissuto di Scott McClatchy con una attenta cura negli arrangiamenti e nelle liriche che mostrano attenzione alle tematiche aperte e condivisive di un musicista portato a dare il giusto peso ai preziosi valori democratici che ne nobilitano la persona.

Momenti come l’apertura affidata a un titolo come la corale This Land Is Our Land ne certificano l’onestà intellettuale ispirandosi a un mito come Woody Guthrie in un contesto contemporaneo dove comunque i legami con il passato sono nitidi e orgogliosi.
La title-track One Time One Night In America, firmata dai Los Lobos è qui ripresa con freschezza e fedeltà rispetto all’originale anche se naturalmente senza la presenza di una voce fortemente caratterizzata come quella di David Hidalgo mentre una canzone come la bella Burn It All Down può ricordare le atmosfere del border di Tom Russell.

La seconda cover è la scintillante e corposa Gunslinger composta da John Fogerty (era su Revival del 2007) che ben si inserisce in un contesto dove l’impronta rock si fonde con quella folk come nella nostalgica A Little Irish Grace, nella melodia incisiva di Bad Things Happen e nell’acustica e un po’ ‘springsteeniana’ Back To Love Again.
La riflessiva e pianistica Cathedral offre un’altra prospettiva di Scott McClatchy che ci regala una performance indovinata, Jesus & Judas riporta il tutto in un’ottica più elettro-acustica tra rock e passioni soul e la sapida ballata Father’s Lullaby, accorata e intrisa di cenni autobiografici, congeda l’ascoltatore con una armonia segnata dall’accoppiata piano/trio d’archi non distante dalle emozioni del primo Springsteen.
Un disco gustosamente confezionato da un musicista dal cuore grande.

Autoprodotto LIB007 (Roots Rock, 2024)

Remo Ricaldone, fonte TLJ, 2025

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