“I vecchi amori non si dimenticano mai!”… e così, come un amante fedele e puntuale ai suoi appuntamenti amorosi, mi trovo ad occuparmi di Act Four, l’ottavo disco dei cari vecchi Seldom Scene, da devoto e fervente ammiratore quale sono sempre stato nei loro riguardi. Ricordo brevemente che la formazione è insieme (parola quanto mai impropria, usata verso di loro, in quanto i cinque musicisti si riuniscono, compatibilmente ai loro impegni di lavoro) dal 1971 e che le apparizioni in pubblico sono sempre state rare, e per il diverso carattere dei membri, ma soprattutto per quell’indipendenza individuale che i cinque volevano realizzare e mantenere al di sopra della loro vita di musicisti.
John Starling, lead vocalist e chitarrista per molti anni dei Seldom Scene, sembra aver definitivamente abbandonato ogni impegno artistico con loro, ed il suo sostituto, Phil Rosenthal (eccellente e piacevole il suo album solo, lndian Summer, uscito per la Flying Fish la scorsa estate, in cui il chitarrista e cantante, attorniato dagli Old Dog aveva dato prova di gusto e misura musicali) non ha faticato ad amalgamarsi con Duffey, Auldridge, Eldridge & Gray.
L’abbandono con la Rebel Records, che li aveva tenuti a battesimo otto anni fa, è meno doloroso del previsto: la pulizia di questo Act Four non fa rimpiangere, (anzi…) i precedenti lavori. Maggiormente percepibili mi sembrano in questa opera le finezze vocali e strumentali dei cinque, e ciò va accreditato all’impegno della Sugar Hill di Durham, North Carolina, la nuova casa discografica del gruppo. Per il resto, nulla è cambiato, gli studi (Bias Recording, Falls Church, Va.) registrazione e mixaggio (Bill McElroy) sono sempre gli stessi, garantendoci quel suono inconfondibile ed intramontabile.
Il brano più curioso di Act Four, composto da Tom Gray, è un richiamo al blues, non per niente s’intitola Walking The Blues, con punte swing e mette in mostra tutta la classe dei cinque musicisti (chi preferire? Non mi sento di fare torno a nessuno di loro, e se una volta tendevo ad apprezzare agli altri Mike Auldridge, ora credo più giusto considerarli tutti sullo stesso notevole livello, non per comodità ma per una più onesta e giusta cognizione del giudizio).
Purtroppo è un fatto isolato nel contesto dell’album, anche se i restanti undici brani sono pur sempre episodi di alta levatura musicale e vocale. In spicco i tre brani di Rosenthal; Something In The Wind, Leaving Harlan e Daddy Was A Railroad Man di tipico stile seldomsceniano, con cori di chiara ispirazione religiosa e strumenti suonati con pacata dolcezza (ascoltate il pizzicato di mandolino, di Duffey, in Something In The Wind tra i migliori pezzi dell’album).
Il gospel, componente primario del loro stile, si rivela in tutta la sua poetica bellezza in Girl In The Night, di Hank Thompson, ove Duffey, lead vocalist, infonde tutta la sua personalità vocale con efficaci falsetti di tenore, in Life Is Like A Mountain Railroad, tradizionale superbo già nel repertorio dei primi Amazing Rhytmn Aces, cui questa versione aggiunge qualcosa in più, forse nella maestosità e nel fascino, e This Weary Heart You Stole Away di Carter Stanley (a questo pezzo dev’essersi ispirato Jimmy Martin nel comporre I Wonder Where You Are Tonight).
Vivace e frizzante la riedizione di Tennessee Blues di Monroe, che accanto a California Blues di Jimmie Rodgers, e San Antonio Rose di Bob Wills, rappresenta la parte più compassata e scontata del disco. Buone le riletture di Ride Medown Easy di B. J. Shaver e di I Don’t Know You di Moreno And Black. Complessivamente un’opera valida che ha il pregio di dimostrare, ancora una volta, che i Seldom Scene sono vivi e vegeti e sono portatori unici di un particolare country gospel a cappella.
Sugar Hill 3009 (Bluegrass Moderno, Bluegrass Gospel, 1979)
Mauro Quai, fonte Mucchio Selvaggio n. 29, 1980
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