Un manico di chitarra, un vaso di margherite e lo sguardo astuto di un giovanotto seduto e a braccia conserte sono gli elementi della copertina di un disco che non attrarrebbe la nostra attenzione se sotto il titolo non ci fossero stati riportati i nomi di tre nostri grandi amori: Bela Fleck, Stuart Duncan e Mark Schatz. E Slavek Hanzlik chi sarà mai?
E’ fuggito dalla Cecoslovacchia nel periodo in cui vivere in quel paese voleva dire sottostare ad un sistema non proprio democratico. Vive in Canada da diversi anni, lì si è guadagnato alcuni importanti riconoscimenti e ha partecipato a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive. Dice di essersi ispirato a Doc Watson, ma ascoltandolo si possono facilmente percepire anche altre influenze.
E’ un nome ancora sconosciuto ai più, lo si può notare scrutando con attenzione tra le partecipazioni ad alcuni famosi festival americani come Winfield e il Merle Watson Memorial. Sappiamo che è molto stimato da Vassar Clements, il quale ha voluto contare sul suo apporto in svariate occasioni. Beppe Gambetta al ritorno dal suo lungo viaggio-tourneè negli USA ci ha raccontato di aver avuto occasione di conoscere Slavek e di suonare con lui.
Dice di aver passato una intera notte scambiando note con il chitarrista cecoslovacco: un dialogo sonoro che riusciva a trasmettere ciò che le parole probabilmente non avrebbero potuto. Spring In The Old Country non è un grande disco, e può anche annoiare qualcuno: incidere oggi un disco completamente strumentale anche se con l’intenzione di non indirizzarlo unicamente verso un pubblico di musicisti o aspiranti tali è comunque una scommessa.
Sono finiti i tempi in cui i pezzi di un LP potevano anche durare 16 minuti, e sono quasi finiti – pare – anche i tempi in cui i dischi strumentali dovevano essere esclusivamente strumentali (e per questo vendevano bene).
Lo dimostrano gli ultimi di Jerry Douglas, Stuart Duncan, Alison Brown o Mark O’Connor. E anch’io vi confesso, oggi acquisto con minore entusiasmo un disco strumentale rispetto a dieci anni fa. Anche se sulla copertina c’è il nome di (non sparatemi) Tom Adams o Mike Compton.
Eppure questo CD mi piace, mi piace molto. Non vi farà cadere dalla sedia, non vi lascerà a bocca aperta, e non credo che comunque al di là della capacità del musicista, fossero queste le ambizioni dl Slavek.
E’ un disco che riscalda, rilassa, fa sembrare più pulita l’aria che si respira. Il legno degli strumenti, il color seppia della copertina e il tipo di suono prodotto riescono a fondersi alla perfezione.
La musica è varia, 8 pezzi originali e 4 traditionals riarrangiati: si va dal bluegrass melodico al brano di chiaro stampo Baremberghiano, dalla classica fiddle tune al ¾ sapor di zucchero. Ci sono un paio di cose strane, piacevoli anche loro, e il buon gusto di non aver calcato la mano con il folk cecoslovacco.
E’ un chitarrista fluido, che spesso predilige gli intrecci sonori da cross-picking, rilassato come un David Grier e, lasciate che mi ripeta, particolarmente caldo.
Mi piace Slavek Hanzlik, e qualcosa mi dice che comprerò anche il suo prossimo lavoro.
So Long Jake/ Paradise Found/ High Level Hornpipe/ Minority/ Bonaparte Crossing The Rhine/ Spring In The Old Country/ Bill Cheatham/ Big Strong Waldo/ Great Season Waltz/ Belame Fiddle/ Gypsyland/ Home Sweet Home.
Flying Fish FF-70582 (New Acoustic Music, Bluegrass Tradizionale, Bluegrass Progressivo, 1991)
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 17, 1992
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