Diciamoci la verità, Solomon Burke aveva finito di stupirci proprio quando la soul music stava cominciando ad andare oltre la barriera del culto e trovare finalmente consensi di massa. La fine del connubbio artistico con Bert Berns lo aveva travolto, rimaneva la splendida voce, ma mancava sempre la canzone giusta. Così, a parte qualche sporadico guizzo negli anni Settanta, non ha più realizzato nulla di veramente significativo fino a questo ultimo, inaspettato, straordinario Don’t Give Up On Me.
Per rilanciarlo c’è voluta tutta la fiducia e l’abilità di Joe Henry nel ruolo di produttore che si è preso la briga di ideare un album prestigioso come generalmente si fa solo per festeggiare i ritorni sulle scene dei pezzi da novanta o per celebrare qualche evento davvero particolare. Una schiera così ampia di artisti, a memoria, la ricordo essersi mobilitata solo per John Lee Hooker e B.B. King.
Certo Solomon Burke, nel suo genere, non è da meno e l’entusiasmo con cui alcuni tra i più grandi autori rock e pop gli hanno regalato canzoni inedite lo dimostra ampiamente. Il nuovo cambio di etichetta rigenera il vecchio Solomon che supera davvero se stesso in questi undici brani d’autore.
Comincia con Don’t Give Up On Me, di gran lunga il pezzo con maggior pathos, scritto per lui da Dan Penn che è un ritorno deciso agli esordi, a quella ballata soul che solo Otis Redding seppe eguagliare per sentimento e partecipazione esecutiva. L’organo e il resto della sezione ritmica tessono un suono caldo e lento che viene lacerato solo dalla voce sofferente di Solomon che prega la sua donna di avere ancora fiducia in lui. Non è solo amore, piuttosto uno sfinimento esistenziale sottolineato al limite della preghiera.
Segue Fast Train, il primo dei due pezzi regalati a Solomon da Van Morrison ed è ancora soul music di grande livello, col solito organo in sottofondo a sottolineare la tristezza dell’addio, di un amore che se ne va con un treno veloce. La voce di Solomon Burke si alterna in un finale esaltante con un coro femminile di grande effetto e ricorda da vicino, nel balbettio, quella di Redding.
Flesh And Blood porta la firma di Joe Henry ed è una ballata lenta di grande pathos giocata sul filo dei rimorsi in cui Solomon supera se stesso con un’interpretazione esemplare, una specie di ricordo affranto in un presente triste e solitario.
Diamond In Your Mind è invece frutto della collaborazione di Tom Waits con la moglie Kathleen Brennan e si snoda calda e intrigante, mentre Burke sembra vocalmente fare il verso al Louis Armstrong degli standard di successo.
C’è anche una canzone di Brian Wilson in questa galleria di successi e non è un surf come ci si potrebbe aspettare: Soul Searchin’ è una bella canzone pop che Solomon trasforma alla sua maniera dandole naturalmente un piglio ancora una volta prossimo al soul.
I temi ispiratissimi vanno nella direzione imposta dalla voce del re del rock’n’soul che plasma con naturalezza a sua immagine. È ancora così per Only A Dream, uno dei due brani di Van Morrison, The Judgement di Elvis Costello e signora (Cait O’Riordan) e The Other Side Of The Coin di Nick Lowe che diventano materiale più che mai plastico nell’interpretazione di un Burke, ancora una volta signore del chiaroscuro, pronto a sottolineare con i suoi bassi i passaggi topici.
Paradossalmente la sola Stepchild di Bob Dylan, cantata a rhythm’n’blues lento, risente più delle altre della versione originale, tanto che Solomon (forse volutamente per omaggiare l’autore) si perde in una dizione vagamente cantalenante.
Mancano all’appello None Of Us Are Free e Sit This One Out, rispettivamente di Barry Mann e Pick Purnell, la prima dall’incedere gospel e l’altra ancora soul, che completano alla perfezione un lavoro esemplare che farà certamente felice chi è cresciuto con questa musica, ma non mancherà di generare curiosità nelle generazioni più giovani che hanno conosciuto la soul music solo attraverso le elaborazioni successive.
Voto: 9
Perché: è un ritorno inaspettato e traboccante di vecchio soul. Solomon Burke confeziona un disco di rara bellezza e stupisce per la sua integrità vocale, ancora in grado di devastare l’anima.
Anti/Fat Possum 0358-2 (Soul, 2002)
Roberto Caselli, fonte JAM n. 84, 2002