Anni fa fu girato un documentario sulle miniere di carbone che si intitolava Harlan County (non mi dispiacerebbe vederlo). La contea di Harlan, distesa su colline di antracite, è all’estremo confine est del Kentucky, e dà su quel pezzo di Virginia dove scorre il Clinch River; uno dei suoi centri si chiama Cumberland (un altro nome che dovrebbe dire qualcosa), che è esattamente il punto di partenza della Trail Of The Lonesome Pine.
Se esiste un titolo significativo per un CD, direi che questo è il caso.
Aggiungiamo che Steve Sparkman suona il banjo con i Clinch Mountain Boys (da quando se lo può permettere, Ralph Stanley mantiene un secondo banjo che gli copre i backup quando lui canta, cioè sempre). E Clinch Mountain Boys è la banda che supporta Steve Sparkman in questo bel disco: si sente, e si sente bene.
Quindi, tanto per cominciare, questo album rappresenta già una grandissima occasione per sentire l’aspetto strumentale dei Clinch. Intendiamoci, la mia stima e rispetto per il Dr. Ralph Stanley rasentano la venerazione: ma la sua figura gigantesca è in grado di mettere in ombra qualsiasi banda gli faccia da supporto.
Qui lui non c’è, e questo ci consente di goderci i suoi musicisti (tra cui il figlio, Ralph Stanley II, che suona la chitarra ritmica esattamente come suo zio Carter). E sono dei grandi musicisti. Tutti.
Il disco è un banjo album in senso tradizionale, e quindi gli altri strumenti si limitano ad inserire dei break tra un roll e l’altro, con le dovute eccezioni: su Panhandle Country, ad esempio, Steve Sparkman si limita ad una mezza strofa, lasciando piuttosto ampio spazio al suono di due fiddle in armonia. Dimostrando quindi buon gusto, buon senso, e modestia.
Il banjo, nella più genuina tradizione Stanley, è raised-head (per i non suonanti il banjo: si tratta di una particolarità costruttiva che, riducendo la superficie vibrante della pelle, enfatizza i toni alti, a discapito della profondità dei toni più bassi). Ciò nonostante, e con mia grande sorpresa, il punch è notevole, e perfino superiore a quello di tanti flathead.
Presumo che il segreto stia non tanto nel setup, quanto nella mano destra di Mr. Sparkman. Che, nonostante il nome, rinuncia a stupirci con effetti speciali, anche se non mancano pezzi ‘diffìcili’, come Big Mon e Pike County Breakdown. Ma, con l’aria più naturale del mondo, Steve Sparkman dà semplicemente lezione su tre argomenti: timing, tone & taste.
E, detto questo, potrei anche chiudere. Ma c’è ancora una cosa che va detta: anche quando i titoli dei pezzi fanno pensare: ‘ancora!’, ascoltando si scopre (quasi) sempre una interpretazione personalissima.
Ad esempio, ascoltatevi questa versione di Home Sweet Home. E, comunque, ci sono anche almeno un paio di pezzi originali.
L’unica perplessità me la danno i tre pezzi suonati in frailing, dove il banjo mi sembra a volte in ritardo: o che la banda sia in anticipo (le due cose non sono equivalenti). Tuttavia va detto che, a parte il fatto che questi pezzi sono tutti molto brevi, intorno al minuto e mezzo, la stessa impressione la dà, a me, lo stesso Ralph Stanley quando suona con lo stesso stile: è quindi chiaro che sono io a non capire qualcosa.
Forse non si tratta di un album indispensabile: di sicuro è divertente, ben fatto, e ben suonato: raccomandato a chi suona o ama il banjo (c’è qualcuno che ama il banjo, pur senza suonarlo?), ed a chiunque ami il ‘Clinch Mountain sound’. È caldamente consigliato a tutti gli altri.
Copper Creek CCCD-0152 (Bluegrass Tradizionale, 1997)
Aldo Marchioni, fonte Country Store n. 48, 1999