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19 giugno 1993 e siamo di nuovo in quel di Grindelwald, Svizzera, per la 9° edizione dello Swiss Alps Country Music Festival. Il pubblico svizzero, variopinto e molto ‘coreografico’ nell’abbigliamento strettamente western (stivali, cappelli a falda larga e stelle e strisce si sprecavano) ha fatto da cornice ad una serie di performances che hanno spaziato dal bluegrass ‘acrobatico’ della svizzera Appalachian Barn Orchestra alle ballate western dei Sons Of The San Joaquin, dalle cowboy songs di Don Edwards alla ‘cowboy poetry’ di Daddy Mitchell, per finire con il rock dei Pirates Of The Mississippi ed il southern country rock di Charlie Daniels.
Grazie agli amici Martin Konzett e Max Ambruster abbiamo avuto accesso alla interessante conferenza stampa che ha preceduto lo show vero e proprio. Abbiamo così potuto dialogare con tranquillità con gli ospiti americani che si sono dimostrati quanto mai disponibili e privi di atteggiamenti da superstars.

Alle 17.30 le danze vengono aperte dalla band svizzera di Paul MacBonvin con una miscela gradevole di rock e blues elettrici. La Svizzera è sempre stata molto attenta a lasciare spazio ai locali talenti emergenti: Paul MacBonvin dunque, ed il ghiaccio è rotto.
Segue la bluegrass band elvetica nota come Appalachian Barn Orchestra dei tre fratelli Krueger: Jens al banjo (lo vedremo anche librarsi al di sopra del palco, assicurato ad un verricello, senza smettere di suonare: da qui la definizione di ‘bluegrass acrobatico’), Uwe alla chitarra e voce solista e la sorella Krista al contrabbasso, più un batterista. Prestazione di indubbia caratura, presentata dai quattro con consumata perizia.
Un breve intervallo per cambiare la strumentazione sul palco ed è la volta di Don Edwards, attempato cowboy texano D.O.C, che ha dedicato la propria carriera a collezionare e preservare le cowboy songs nella versione più fedele alla tradizione orale che le ha viste al seguito di tutte le mandrie del Sud Ovest accompagnato dalla sola chitarra acustica, Don ha modulato la sua bellissima voce sulle note dell’iniziale Master’s Call di Marty Robbins, presente – insieme ad altre eseguite nel corso della serata – nel suo ultimo CD pubblicato dalla Warner Western l’estate scorsa ed intitolato Songs Of The Trail (attenzione: il 3 agosto è uscita la nuova produzione della WW con i nuovi lavori di Don Edwards, Sons Of The San Joaquin, Waddy Mitchell e Red Steagall), seguita dal classico di Tex Owens Cattle Call con un ottimo yodel che ha naturalmente riscaldato il cuore dei locali estimatori di questa espressione vocale usata nell’Europa Centrale e trasferita poi in America.

Pregevoli I’d Like To Be In Texas For The Roudup In The Spring, Deep Water, Ice And Snow e The Cowboy Song, celebrazioni epiche di vari momenti della dura vita del cowboy al seguito delle mandrie in trasferimento dal Texas ai nodi ferroviari del Kansas, ben diversa dall’immagine edulcorata propinataci da Hollywood. Lo show di Don Edwards si è poi chiuso con una stupenda versione yodel del classico di Stan Jones Ghost Riders In The Sky: indimenticabile!
Compagno di scuderia e vero e proprio cowboy, Waddy Mitchell ha presentato un estratto del suo ultimo CD di ‘cowboy poetry’, una forma di intrattenimento estremamente ‘rustica’, che ha perno sul senso dell’umorismo tipico del cowboy, sui valori dell’amicizia e quanto altro di sanamente tradizionale riusciate ad immaginare. Purtroppo la comprensione del tutto è stata appannaggio dei pochi,anzi pochissimi, dotati della conoscenza dello slang western più stretto, ahi noi!

L’esibizione del trio western Sons Of The San Joaquin, i fratelli Jack e Joe Hannah ed il di lui figlio Lon ha posto fine alla parte dello show definita Cowboy Jubilee, completo appannaggio della Warner Western e decisamente la fase migliore del concerto, almeno a mio parere. Due chitarre acustiche ed un contrabbasso hanno fatto da tappeto sonoro a tre voci stupende che hanno rievocato le interpretazioni dei Sons Of The Pioneers, maestri riconosciuti del genere western. Se amate canzoni quale Cool Water, Tumbling Tumbleweeds, A Cowboy Has To Sing, Timber ecc. e non eravate a Grindelwald quella sera, beh vi siete persi davvero qualcosa. Per citare solo uno dei loro brani originali, Great American Cowboy è certamente al livello di Cool Water, Tumbling Tumbleweeds e Riders In The Sky, degno pertanto di entrare a pieni voti nel Gotha della musica western.
Al termine dell’esibizione dei tre, il pubblico non pago, li ha richiamati a gran voce e loro sono tornati in scena insieme a Don Edwards e Waddy Mitchell per una corale Way Up There di Bob Nolan dei Sons Of The Pioneers. Meno male che ci sono rimaste le fotografie a catturarne la magia.

Un’altra breve pausa – sono ormai passate le 22.30 – ed il palco viene arrembato (mi si perdoni il banale neologismo) dai Pirates Of The Mississippi. Cinque ragazzi del Sud con una comune passione per la musica sanguigna. Tre CD su Liberty ed una buona dose di professionalità, di presenza scenica e di contenuto lirico per una band indiscutibilmente rock, con gli Allman nel cuore ed una viscerale predilizione per le lunghe jam chitarristiche.
Molto bella la voce di Bill McCorvey, mi ricorda un po’ Tim Goodman e Don Henley (leggi Southern Pacific e Eagles), le ‘gags’ gigionesche di Dean Towson e Rich Alves, per un’amalgama di tutto rispetto.
Il materiale proposto ha coperto quasi tutto l’album di esordio, con qualche richiamo ai due lavori più recenti (peccato fosse assente il title track dell’ultimo A Street Man Named Desire). Un rock act che ha dunque scaldato l’atmosfera a puntino per il ‘due’ della serata, almeno stando alla locandina.

Ore 23.58: “Ladies and gentlemen, would you please welcome Liberty recording artist: Charlie Daniels!” (si noti: Charlie Daniels, e non Charlie Daniels Band!!) e fra il pubblico è tutto uno sventolio di bandiere americane, ma soprattutto sudiste.
Charlie è sotto tutti i punti di vista un ‘grande’ personaggio, sul palco la fa da padrone e passa con disinvoltura dalla chitarra elettrica al banjo, al fiddle ed al ruolo di band leader senza perdere quel carisma che ha legato il suo nome a pietre miliari del rock sudista quali The South’s Gonna Do It Again, Long Haired Country Boy ed in tempi più recenti The Devil Went Down To Georgia ed In America
II gruppo che lo accompagna ora vede ancora i fedelissimi Taz Di Gregorio alle tastiere e Charlie Hayward al basso, unici legami con il glorioso passato della Charlie Daniels Band,ma l’inserimento della signorina Carolyn Corlew (per carità, tanto di cappello al look della fanciulla) a scodinzolare su e giù per il palco agitando il suo… tamburello, ci lascia un tantino perplessi. Non infieriamo oltre sul fatto che il di lei cognome corrisponde a quello del nuovo manager di Charlie Daniels.
Molto attento alla scaletta della serata, Charlie ha selezionato materiale dal recente America I Believe In You senza includere il title track, singolo pilota del CD, per paura che il suo convinto patriottismo potesse essere scambiato per bieco sciovinismo.
All Night Long ha aperto lo show con molta grinta, seguita da Trouble Of My Own, sempre dal recente lavoro su Liberty. Dopo una lunga Sweet Home Alabama con tre dei Pirates in jam per un toccante tributo all’amico Toy Caldwell, fondatore della Marshall Tucker Band e fraterno amico di Charlie, recentemente scomparso, è stata la volta di Rocky Top, che ha visto il nostro cimentarsi al banjo.

E’ stato poi il momento del tanto sospirato fiddle (tranquilli, Charlie non lo ha rinnegato, anzi) con Orange Blossom Special e gli altri classici fino a The Devil Went Down To Georgia, che ha segnato la fine dello show e del festival
Una full immersion in un mondo che noi appassionati del genere abbiamo dovuto imparare ad amare a distanza, ma non per questo con minore interesse, calore ed affetto dei nostri più fortunati (logisticamente parlando) colleghi americani.
Una conferma dunque dell’importanza di questo tipo di manifestazioni, molto più frequente oltre confine che, ahimè, sul patrio suolo.

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 21, 1993

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