Ogni tanto capita di imbattersi in qualche gioiellino del tutto sconosciuto e che si cerca di far conoscere ad altri che siano in grado di apprezzarlo e con i quali poterne dividere il valore.
Bob Campbell (illustre sconosciuto) viene dal Texas ed ha al suo attivo un solo album, registrato solo in versione ‘cassetta’, datato 1993, ma a noi poco importa. Roll On Cowboy rappresenta uno sforzo decisamente notevole: spartano ed essenziale negli arrangiamenti, ma talmente sincero e scevro di qualsivoglia fronzolo od orpello commerciale, da meritarsi l’attenzione di alcuni fra i session-men più quotati nel ‘giro’ western odierno: Richard O’Brien (chitarra, mandolino, banjo, fisarmonica, basso acustico e voce corista), Randy Elmore (chitarra, flddle, mandolino e voce corista) e Jim Pack (basso).
Bob suona la chitarra acustica – nella conclusiva e suggestiva Crazy Horse – l’armonica e canta. Canta con una voce molto grezza e certamente non ‘educata’ alle finezze interpretative di tanti altri esecutori, ma è proprio questo approccio ‘rozzo’ che mi ha affascinato fin dal primo ascolto. Dodici brani, fra i quali un solo classico della tradizione western (Streets Of Laredo) ed una collaborazione con Hank Riddle (Old Cowboy Waltz). Tutto il resto – e vi assicuro che c’è di che leccarsi i baffi – è opera del solo Bob Campbell, a cominciare dall’iniziale ed estremamente accattivante Big Cowboy Moon, che disquisisce amabilmente di tramonti come li dipingeva il famoso pittore western Charlie Russell (specializzato appunto in tramonti) e di ‘grandi lune da cowboy’.
Roll On Cowboys, il title-track, si apre con l’inconfondibile solista acustica di Richard O’Brien, mentre il fiddle prepara l’entrata della voce, molto calda e confidenziale, di Bob, il quale non lesina citazioni di vita texana sulle piste al seguito delle mandrie. Un brano decisamente stupendo, Uno dei punti di forza dell’intero album e che ben figurerebbe nel repertorio di Red Steagall.
This Cowboy Life è un’amara, eppure romantica, riflessione su quanto possa essere dura la vita del cowboy e sul fascino che essa ha comunque sempre esercitato su chiunque sia posseduto dal piccolo demone dell’individualismo.
The Old Borunda Cafè è una delle più belle canzoni western degli ultimi decenni – la reinterpretano in maniera eccellente i Desert Sons nel loro recente CD In The Heart Of The West – e narra la storia di un vecchio posto di ristoro ubicato in qualche remoto e polveroso angolo del nostro solito Texas, mentre la chitarra di Richard O’Brien ed il fiddle di Randy Elmore ci portano con loro lungo la vecchia Pista Chilsolm: epico!
Dance At Domingo ci conduce per mano all’interno di una buia cantina di confine, dove si consuma l’ennesima love story fra il gringo di turno e la senorita del caso. Ancora la voce di Bob Campbell è assolutamente perfetta per l’interpretazione, pur nella sua estrema semplicità ed immediatezza. Il valzer è sempre stata una costante nelle espressioni musicali che hanno accompagnato la figura del cowboy nel corso dei decenni e non poteva certo mancare un esempio di Old Cowboy Waltz in questo contesto.
Non poteva certo essere trascurato uno degli imprescindibili punti di orgoglio di un qualsiasi texano ‘d.o.c’: Alamo. Bob Campbell rende omaggio al texano ‘ad honorem’ per eccellenza, Davy Crockett, con l’evocativa e deferente Davy’s Lament e non è ancora tutto, ma ce n’è sicuramente abbastanza per volere contattare Bob Campbell.
Dalla Georgia proviene invece il veterano Doc Stovall. Con due album – su cassetta – al suo attivo, Doc si è presentato a diversi festival Western – fra i quali quello famosissimo di Elko, Nevada – e si è fatto così apprezzare da una foltissima schiera di amatori del genere.
Il primo album, Cowboys Forever è datato 1996 e ci presenta un attempato signore che ha superato la sessantina, ma che ha conservato intatto il suo entusiasmo ed il suo amore per la figura epica del cowboy americano.
Aiutato dal solo Roger Fortner (chitarra e basso), Doc ci offre un piccolo gioiello di cultura western, a cominciare dall’iniziale Last Ride, ultimo tributo ad un anziano cowboy che passa a miglior vita, ricordando con serenità quella appena vissuta.
Working For Forty And Found riprende atmosfere care a tutti i cowboy, montino essi roani color fragola o potenti pick-ups. Il tessuto chitarristico sotteso alla canzone mi farebbe sospettare la presenza di Richard ‘prezzemolo’ O’Brien, ma le note di copertina non ne fanno menzione. Cowboy-swing e melodia ben nota (When The Work’s All Done This Fall di D.J. O’Malley) per When The Note Comes Due. Un gradevolissimo esercizio di swing acustico, con quel piglio umoristico che contraddistingue molte rielaborazioni in chiave autobiografica di melodie classiche.
Non mancano le citazioni personali della propria infanzia (Playin’ Cowboy) e della propria maturità (Too Old To Rodeo), con espliciti riferimenti al periodo del rodeo, quando tuatta la vita girava attorno ai fatidici otto secondi, la durata minima per rimanere in groppa al cavallo selvaggio od al toro del caso.
Ancora una citazione doverosa per la commemorativa Passing It On, dedicata a tutti gli immigrati dall’Europa che hanno contribuito a forgiare la musica popolare americana, che si è poi evoluta nei diversi filoni, uno dei quali è appunto la ‘western music’.
La toccante Rockies From The Ground trasuda quell’emozionalità che evidentemente ha pervaso Doc la prima volta che ha avuto l’opportunità di ammirare le Montagne Rocciose da terra, dopo averle viste varie volte in fotografia e dall’aeroplano. Questo ed altro è contenuto nell’esordio di Doc Stovall, al quale, nel 1997, fa seguito quello che attualmente mi risulta essere il suo ultimo – solo in ordine di tempo, spero – sforzo: Back To The Campfire.
Della partita questa volta è anche David Johnston (mandolino, armonica e fiddle), oltre al fido Roger Fortner, mentre il cowboy poet Jerry Warren (titolare di un album di cowboy poetry su cassetta Riding The Rim Rock) è citato per il suo apporto compositivo al risultato finale.
Il filone è rimasto fortunatamente lo stesso. Ottimo esempio è l’iniziale Back To Laredo, tipica ballata western a tempo di valzer, con una evocativa armonica che si contende il ruolo di strumento solista con un’acustica decisamente ‘sospetta’. Danny Boy, Streets Of Laredo ed Anne Laurie sono ripescaggi dall’infinito patrimonio folcloristico statunitense, ma è sempre gradevole ascoltarne le melodie suggestive.
Pregevolissima risulta anche l’esecuzione dell’uptempo Riding To Rolling, To Rocking, To Rest, altrimenti detta: lo specchio dell’evoluzione di ciò che un cowboy cavalca a seconda dell’età. Ancora reminiscenze autobiografiche per il tributo a Gene Autry, l’affettuosa To Hear Gene Autry Sing, con la citazione dell’immancabile Back In The Saddle Again, indissolubilmente legata alla figura dell’America singing cowboy. Non è particolarmente significativo citare tutti i brani, uno per uno. Lo stile è molto diretto e schietto, la musica e altrettanto sincera e fruibile, allora come ora e Doc Stovall è l’ennesimo personaggio che bisogna conoscere.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 44, 1998