Tarbox Ramblers – Tarbox Ramblers cover album

Sono anni che si fa un gran uso della definizione ‘roots rock’, un’etichetta che, come spesso succede in campo artistico, vuol dire tutto e il suo esatto contrario.
Dischi che prima sarebbero finiti sugli scaffali country, blues o jazz oggi vengono riposti in quello spazio ambiguo e ibrido dove trova casa gente di diversa estrazione e background culturale, accomunata dall’essere stata particolarmente influenzata dal suono tradizionale.

Cosa è roots e cosa invece non lo è, è un argomento in grado di produrre disquisizioni a non finire e che probabilmente lascerebbe ognuno arroccato sulle stesse posizioni iniziali. Proprio perciò credo di potermi permettere di lanciarvi una mia assoluta certezza: i Tarbox Brothers sono più ‘roots’ di tutti quanti (quelli che ho avuto il dis-o-piacere di ascoltare).

Di loro han detto: “Charlie Patton incontra la Carter Family, e insieme si fanno un acido” e ancora: “…suonano come se fossero sbucati fuori dal paludoso Delta dopo un’ibernazione durata cent’anni”. Steve Morse, del Boston Globe, racconta che dal vivo eseguono vecchie canzoni dimenticate dandogli nuova vita, trascinando il pubblico a tal punto da fargli perdere i sensi.

Che l’anima di Jim Morrison abbia scelto d’infilarsi nel corpo di questi quattro?
Rappresentano, attraverso il loro rock, l’America più rurale del Sud, quella Appalachiana e del Delta. C’è tutto il ‘lonesome sound’ a cui ci hanno abituato i grandi padri del passato.

Fiddle, contrabbasso, batteria e chitarra elettrica slide sono nelle mani di Daniel Kellar, Johnny Sciascia, Jon Cohan e Michael Tarbox.
Se questi non vi dicono niente, sappiate che nella loro band hanno suonato elementi dei Red Hot Chili Peppers, Jim Kweskin, Paul Rishell e John Koerner.  Jack Of Diamonds, Columbus Stockade, The Cuckoo, St. James Infirmary, Stewball fatte così non si erano mai ascoltate…

Rounder RRCD-9051 (Roots Rock, 2000)

Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 55, 2000

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