La casa editrice romana Jimenez, fondata nel 2018, si è posta in evidenza per la sua scelta di proporre al mercato italiano narratori prevalentemente statunitensi, britannici o australiani, con una particolare attenzione a quelli legati al mondo musicale. Oltre a Darryl Ponicsan con il suo celebre L’ultima Corvé ed il seguito L’ultima Bandiera, troviamo la piacevolissima scoperta di Willy Vlautin o, anche, Daryl Sanders che ci parla del Dylan di Blonde On Blonde e – ultimo arrivato – Testimony, l’autobiografia di Robbie Robertson. Un libro che mancava e che ci permette di conoscere meglio uno degli artisti fondamentali del panorama rock mondiale.

In queste quasi seicento pagine il chitarrista di Toronto ci racconta la sua brillante carriera, prima nella band di Ronnie Hawkins dove entra che ancora era minorenne, fino alla fondazione della storica formazione nota in tutto il mondo come The Band. La vita on the road, lo scoprire di essere non solo mezzo sangue nativo ma, anche, ebreo, la droga, le donne e il blues.

Tanto blues, con la fortuna di aver incontrato, aver fatto amicizia e di potersi essere esibito con personaggi come Muddy Waters, Roy Buchanan, John Hammond, Mike Bloomfield, Paul Butterfield, Jimi Hendrix l’incontro con Junior Parker e quello – incredibile – ad Helena con Sonny Boy Williamson 2°, bruscamente interrotto da due poliziotti razzisti. Una vita particolarmente piena in uno dei periodi più intensi ed importanti per la musica rock che, assieme ai compagni di The Band, ha contribuito a rendere indimenticabile.

I tour in Canada come The Hawks ad accompagnare ‘Mr. Dynamo’ Hawkins, il primo a credere fortemente nel giovane Jaime Robbie Robertson che proprio nella band del rocker di Huntsville incontrerà Levon Helm, il suo più grande amico, i viaggi nel Sud degli States alla ricerca delle origini della black music, l’incontro con gli altri canadesi Rick Danko, Richard Manuel e Garth Hudson che entreranno a far parte degli Hawks fino al distacco definitivo dal band leader verso la nuova avventura che li porterà al Greenwich Village e al fatidico incontro con Bob Dylan, tra i più importanti nella storia del rock.

Robertson ci metterà al corrente delle difficoltà di vivere come una rockstar, dei pericoli generati da fama, alcol e droghe – tra concerti memorabili, illustri incontri e auto sfasciate – tanto che porteranno il gruppo a fuggire (o quasi) da tutto ciò, celebrando la chiusura dell’attività con un sontuoso live che diverrà uno dei più importanti della storia grazie, anche, al film creato dal regista Martin Scorsese che darà a The Last Waltz un taglio cinematografico unico per quegli anni (1978).

Unico neo di questo volume forse è l’essere un po’ troppo autocelebrativo, dove il bravo chitarrista canadese si erge quasi ad eroe del gruppo, ma è solo un dettaglio annullato dalle tante notizie in merito ad una formazione che ha saputo creare un genere musicale, dal suono austero dove ognuno suonava tutto e non c’era un leader, ma c’erano 5 leader assoluti, andando controcorrente in quei favolosi anni tra la fine dei Sessanta e i primi Settanta.

Una lettura più che consigliata, magari riascoltando capolavori immortali come The Weight, Up On Cripple Creek o The Night They Drove Old Dixie Down e sperando che gli amici di Jimenez ci possano regalare quanto prima anche la traduzione della biografia di Levon Helm. Ecco, così sarebbe perfetto.

Testimony di Robbie Robertson (Jimenez, 2019)

Antonio Boschi, fonte Il Blues n. 150, 2020

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