Fin dalla nostra infanzia la presenza dei messicani nel selvaggio West si imponeva alla nostra attenzione attraverso i film di Hollywood: unticcio, baffuto, generalmente infido e pigro, il messicano che si vedeva agire nei vari western anni ’50 sembrava conoscere soltanto la più servile e degradante viltà o la più disumana ferocia, ed in entrambi i casi si mostrava sempre all’occasione lussurioso, ubriacone e ghiottone. Appena un gradino al di sopra dell’indiano, essere totalmente alieno ed imperscrutabile ed esente da ogni forma di umanità, vizi inclusi, il messicano delegava ogni dignità filmica al ‘gringo’ che anche nella sua peggiore varietà – quella del ‘cattivo’ – mostrava sempre, se non altro, ardimento ed intraprendenza condividendo in questo parte della luce che circondava a mo’ di aureola il ‘buono’, sempre biondo, glaucopide e protestante.
Queste stesse forme di pregiudizio nei confronti dei coloni di lingua spagnola in terra americana le troviamo quasi senza eccezione in tutta la cultura di massa di quel periodo. In una guida al Texas degli anni ’40 si legge:
“… I colonizzatori spagnoli erano assidui cacciatori, e bufali, cavalli selvaggi e cacciagione erano le loro fonti di vita e di commercio. L’allevamento del bestiame, il commercio con gli indiani unitamente al contrabbando (?) attraverso la frontiera (?) sia spagnola che francese (il confine Texas-Louisiana, N.d.A.) si può dire fossero la loro principale industria. Le città erano piccole e primitive, ma lo stile di vita nelle loro case di fango pressato e dal tetto piatto era modellato su quello dell’alta società europea o della corte del Viceré di Città del Messico. I funzionari della colonia e le loro signore introdussero nella frontiera gioielli e merletti. Davano sfarzosi ricevimenti e bevevano buon vino. Il popolino, i peones, cercava di imitare i notabili. Il risultato fu una società instabile ed artificiale che dopo più di cent’anni di occupazione spagnola lasciò una popolazione di meno di tremila abitanti, la cui effettiva ricchezza era assai scarsa ed i cui sforzi per colonizzare la regione erano in gran parte limitati ai tavoli da gioco ed alle sale da ballo”.
E’ evidente da ogni parola un atteggiamento riduttivo e paternalistico, se non apertamente razzista, per una popolazione nella realtà storica intraprendente, laboriosa e coraggiosa, dedita assai più a sacrifici ed astinenze che a ‘sfarzosi ricevimenti’. Non si fa menzione dell’agricoltura, il commercio attraverso una ‘frontiera col Messico’ di cui il Texas era parte o con la Louisiana francese viene ridotto a ‘contrabbando’, e così via.
Fortunatamente, specie dagli anni ’60 in poi, si fa strada un più fondato e serio interesse sia storico che sociologico per la vita e le vicende della popolazione ispano-americana degli Stati Uniti. Appassionati studiosi e ricercatori come Chris Strachwitz contribuiscono finalmente a divulgare, fra l’altro, la musica tex-mex fino allora limitata e ristretta alla realtà e al mercato delle comunità locali.
Ma prima di trattare la musica chicana o tex-mex in se stessa, penso che convenga dare un breve cenno di quella che fu la vera storia della colonizzazione spagnola sul territorio degli odierni USA.
Il primo spagnolo a mettere i piedi a nord del Rio Grande, o Rio del Norte come era allora chiamato, fu Alvar Nunez detto ‘Cabeza de Vaca’ che tra il 1530 ed il 1536 esplorò il Texas meridionale. Dovranno passare tuttavia molti anni prima che in questo territorio si formino degli insediamenti, tanto che nel 1685 il Texas è ancora definito ‘tierra despoblada’. Miglior sorte ebbe l’alto corso del Rio Grande, nel New Mexico, esplorato nel 1540-42 da Francisco Vasquez de Coronado e colonizzato da Juan de Onate nel 1598. Fondate e successivamente abbandonate San Juan de los Caballeros e San Gabriel de los Espanoles, i coloni si stabiliscono definitivamente a Santa Fé (fondata nel 1610) e nella zona circostante. Successivamente, su preesistenti villaggi indiani, verranno fondate Albuquerque, Taos, El Paso, e malgrado carestie, epidemie e una rivolta degli indiani Pueblos nel 1680, la popolazione aumenterà fino a raggiungere nel 1800 circa 35.000 unità fra spagnoli, meticci ed indiani assimilati.
Assai più sofferta è la storia della colonizzazione del Texas, o Nueva Filipinas come era allora chiamato. Un tentativo di impiantare delle missioni nella parte occidentale del paese fallisce per varie traversie nel 1683, e il Texas viene definito: “… la tierra tan mala que nadie la querria”, terra così infame che nessuno la vuole. Va osservato tuttavia che quando qui si parla di Texas si esclude sia la zona di El Paso, che faceva parte del New Mexico, sia la valle inferiore del Rio Grande che era parte dello stato messicano di Nuevo Santander, oggi Tamaulipas. Dal 1716 in poi, tuttavia, preoccupazioni per l’espansionismo francese in Louisiana danno luogo a nuove e più fortunate spedizioni. San Fernando de Bexar (oggi San Antonio) veniva fondata nel 1731 e Nacogdoches, nell’estremo East Texas, nel 1779.
Il collasso dell’impero coloniale spagnolo, seguito dalle difficoltà della neonata Federazione Messicana a mantenere sotto controllo i suoi stati più settentrionali, portavano all’annessione del Texas (nel 1846, dopo dieci anni come repubblica indipendente) e del New Mexico (1850) agli Stati Uniti. La popolazione di lingua spagnola diveniva una delle tante minoranze etniche e la sua cultura a lungo misconosciuta o superficialmente interpretata.
La musica che i coloni avevano portato con sé dalla natia Spagna consisteva in ballate tradizionali (romances tradicionales), che rappresentavano in un certo senso l’equivalente delle ‘Child Ballads’ anglosassoni, canti narrativi epico-cavallereschi; in ‘coplas populares’, specie di stornelli vuoi tramandati dalla tradizione vuoi improvvisati al momento; in una forma di canto religioso non accompagnato, ancor oggi diffusa in New Mexico, gli ‘alabados’. Non mancava la musica da ballo: le danze più diffuse erano la jota e il fandango, e, dalla fine del XVIII secolo, il bolero.
Quanto agli strumenti, quelli introdotti all’inizio della colonizzazione erano principalmente vihuelas (specie di chitarra a cinque corde doppie), liuti, arpe, violini. Successivamente viene introdotta la chitarra nella sua forma attuale, dapprima nella musica colta della capitale e in seguito in quella popolare. Da chitarra e vihuela discendono poi strumenti tipicamente latino-americani, come il charango e il tiple (ma questi soprattutto in sud-america) ed in Messico il guitarron, basso chitarra a sei corde singole, e il bajo-sexto, un compromesso tra guitarron e chitarra, a sei corde doppie: quest’ultimo molto spesso, grazie alla sua sonorità piena, sostituisce la chitarra nella musica tex-mex, ed è in un certo senso il ‘papá’ della chitarra a dodici corde del country-blues in Texas e Louisiana. E’ del resto probabile che anche la diffusione della stessa chitarra a sei corde nella country music sia almeno in parte debitrice alla tradizione creola attraverso cowboy-songs da una parte e blues dall’altra: ancora Texas e Louisiana, appunto. Ma tornando agli strumenti dei coloni spagnoli, non va dimenticata la presenza anche di strumenti a fiato, soprattutto tromba e clarino, ingredienti non secondari del genere ‘mariachi’.
Dove e in che occasione la musica intervenisse a rallegrare la dura esistenza di paisanos e peones, rancheros e hacienderos, è facile immaginare. Nelle taverne o cantinas dei villaggi – che però non si presumono numerose, vista la scarsezza di centri abitati e la prevalenza di forme di insediamento sparso suonavano le note di coplas e romances, offerte da uno o più cantori direttamente agli avventori, tavolo per tavolo (un po’ come i nostri ‘posteggiatori’ da osteria, e come tuttora ho visto verificarsi nei locali tex-mex di San Antonio), in cambio di mance in denaro ma più spesso dell’offerta in natura di cibo o bevanda. Dove però la musica diveniva elemento essenziale ed immancabile, era nelle fiestas che avevano luogo nella corte delle haciendas in occasione di matrimoni, battesimi, cresime o per la visita di personalità di riguardo. Si imbandivano allora banchetti a base di enchiladas (tortillas di mais con carne e peperoni), carne asada (alla brace), dolci a base di cioccolato. Le bevande consistevano principalmente in vino speziato ed aguardiente distillata dall’agave, mentre i rari astemi e le signore potevano dissetarsi con limonata fresca. Si ballava ovviamente fino al mattino, mentre di tanto in tanto i servi provvedevano a spargere secchiate d’acqua sulla terra battuta per evitare il sollevarsi della polvere.
I musicisti, ovviamente, non erano professionisti, ma reclutati fra i migliori che la comunità poteva esprimere e la formazione, sia per numero che per varietà di strumenti, era abbastanza casuale ed estemporanea e basata sugli strumenti disponibili.
All’inizio del nostro secolo, le forme musicali originarie cui abbiamo accennato avevano finito per cristallizzarsi e tipicizzarsi, nell’area comprendente Messico settentrionale e stati limitrofi (California, Arizona, New Mexico, Texas) nei seguenti generi musicali: ‘mariachi’, letteralmente ‘matrimonio’, musica allegra, ballabile, eseguita da un gruppo comprendente chitarre, chitarrine e chitarroni di ogni tipo, generalmente due o tre violini, nonché strumenti a fiato (tromba e clarino). Questo tipo di formazione suonava la sua musica non solo nei matrimoni ma in ogni genere di occasione festiva nella quale si svolgessero danze.
Lo stesso tipo di organico, ma con esclusione dei fiati e con una marcata accentuazione delle parti vocali (fino a quattro) era tipico delle ‘rancheras’, genere assai più languido e romantico dell’allegro ‘mariachi’, di contenuto lirico-amoroso e con un testo elaborato e sviluppato spesso con maestria secondo i canoni della grande poesia d’amore spagnola.
C’erano poi i ‘corridos’, eredi dei romances traditionales, che potremmo paragonare alle lunghe ballate dei nostri cantastorie o alle ‘topic ballads’ del mondo anglosassone. In essi si narravano eventi sensazionali tratti dalla cronaca: vita e morte di famosi fuorilegge (famoso fra tutti il corrido dedicato a Joaquim Murrietta), delitti e disastri. Altre volte il corrido narrava vicende non particolari ma comuni a molti, e perciò spesso scelte in quanto emblematiche di conflitto con una società in cui, non dimentichiamolo, il chicano occupava e tuttora occupa uno dei gradini più bassi, assumendo così il carattere di vera e propria canzone di protesta. Quanto al tipo di formazione che eseguiva i corridos, essa era sostanzialmente la stessa che eseguiva le rancheras, ma con una minore rigidità sia nel numero e tipo di strumenti, sia nella parte corale.
Si osservi inoltre che sia rancheras che corridos, pur essendo concepiti essenzialmente per l’ascolto, mantenevano un ritmo da ballo sia pure su tempi più semplici che nel mariachi.
Generalmente non ballabili erano invece le ‘canciones’ pure e semplici, per lo più d’argomento amoroso, e talvolta eseguite da un unico interprete con accompagnamento di chitarra.
Conviene sottolineare ancora una volta come questi generi fossero comuni a tutta la popolazione di lingua spagnola a cavallo della frontiera Messico-Stati Uniti: quindi non ancora tex-mex, unico genere di derivazione messicana a nascere in uno degli States, e precisamente in Texas, in seguito a fattori ed eventi che andremo a vedere.
Il conflitto mondiale del 1914-1918 aveva prodotto profondi mutamenti nella società e nell’economia degli Stati Uniti. Lo sforzo bellico, con le sue crescenti richieste di materie prime e derrate alimentari, aveva notevolmente favorito l’agricoltura e la nascente industria del Texas creando nuovi posti di lavoro. Tutto ciò, aggiunto al fatto che al volger del secolo erano stati scoperti i primi giacimenti petroliferi e che il mercato dell’oro nero era in continua crescente espansione grazie alla nascita dell’industria automobilistica, aveva richiamato in Texas mano d’opera da tutti gli Stati più poveri del Sud. Ma insieme agli hillbillies da nordest, varcavano dal sud la frontiera messicana migliaia di peones e paisanos ad accrescere la popolazione di lingua spagnola, anche approfittando del fatto che all’epoca mancavano leggi restrittive dell’immigrazione. Sia gli uni che gli altri si lasciavano alle spalle la vita semplice e patriarcale della haciendas o della ‘little cabin home on the hill’ con la speranza di una vita migliore. Iniziava così in Texas un processo di urbanizzazione che in circa quarant’anni avrebbe sconvolto e capovolto la sua società rurale.
Come tutto ciò dovesse avere delle conseguenze sulla musica sia degli ‘anglos’ che dei chicanos, non è difficile da comprendere: la nostalgia degli emigrati e degli inurbati non tardò ad alimentare, attraverso i nascenti ‘media’ rappresentati da dischi e radio, un mercato che permise in breve all’anonimo musicista e cantore popolare di acquistare una sia pur locale notorietà e, se non la ricchezza, la possibilità di vivere della sua arte: in parole povere di trasformarsi in tutto o in parte in un professionista della musica e, attraverso la conseguente competitività, ad affinare le sue doti tecniche e ad innovare la tradizione musicale alle sue spalle.
Oltre al mercato discografico e radiofonico, un altro spazio che si apriva ai musicisti, sia che venissero dalle colline del Tennessee o dai monti di Chihuahua, erano le sale da ballo e locali affini che si aprivano qua e là per tutto il Texas, a colmare il vuoto sociale e la necessità di svago degli emigrati. Da una parte nasceva così il western-swing e dall’altra la musica tex-mex.
Le mutate esigenze di sonorità nel passaggio da una fruizione della musica ristretta prima al clan familiare ed ora allargata ad un pubblico più vasto, portavano inevitabilmente all’adozione di nuovi strumenti, e così nel primo caso vediamo le orchestre di western-swing usare, accanto agli strumenti della tradizione, i fiati, la batteria ed il primo strumento elettrico, la steel-guitar.
Analogamente nei gruppi tex-mex al violino viene sempre più frequentemente sostituito l’accordeon diatonico portato dagli emigrati tedeschi in Texas e Louisiana assieme a ritmi estranei alla tradizione latina come la polka. Sia il ritmo che lo strumento verranno nel corso degli anni così profondamente assimilati da divenire quasi la cifra stilistica della musica tex-mex.
I primi musicisti tex-mex ad acquistare notorietà a partire dagli anni ’20 e ’30 sono Narciso Martinez, uno dei primi virtuosi di accordeon, e ‘El Ciego Melquiades’, leggendario violinista che ben illustra lo stile messicano dello strumento.
Ma la vera star di quel periodo, la cui fama è rimasta inalterata sino ad oggi, è Lydia Mendoza. La sua carriera iniziò con il Cuarteto Carta Bianca assieme al padre, alla madre, al fratello: Leonor, Maria, Francisco. Questa sorta di Carter Family del tex-mex iniziò a registrare negli stessi anni dei Carters e secondo le stesse modalità comuni all’epoca: frettolose registrazioni in stanze d’albergo, pochi dollari di paga e poi via, di nuovo a suonare in occasione di mercati e fiere, in cantinas, in botteghe di barbiere (luogo questo deputato alla musica popolare presso molti popoli latini e mediterranei). Il loro repertorio comprende gli hits dell’epoca: El Rancho Grande, La Cuatro Milpas, etc. In seguito Lydia Mendoza svilupperà una sua carriera di solista accompagnandosi alla chitarra a dodici corde con uno stile personale ed efficacissimo, con giri di basso di particolare effetto drammatico che viene il sospetto abbiano influenzato lo stesso Leadbelly. La voce dei suoi anni d’oro poi, è veramente sorprendente per potenza, ricchezza e pathos e può farla ben figurare – a mio giudizio – fra le migliori cantanti di tutti i tempi. Oggi vicina agli ottant’anni, Lydia Mendoza continua ad esibirsi con regolarità cantando le canzoni che più l’hanno resa famosa, come le celebri Mal Hombre e Pero Ay Que Triste per un pubblico che le tributa il medesimo affetto ed entusiasmo di un tempo.
La formazione più tipica del tex-mex è chiamata ‘conjunto’, gruppo, e consta generalmente di accordeon, bajo-sexto e/o chitarra, contrabbasso. Fra i più famosi conjuntos che hanno contribuito a diffondere e stabilizzare questa formula sono gli Alegres De Teran originari del Nuevo Leon, ma ormai trapiantati in Texas. L’accordeon di Eugenio Abrego rappresenta lo stile più tradizionale e melodico della musica nortena (altro appellativo del tex-mex), mentre lo stesso strumento è usato in funzione più ritmica ed incisiva da Ruben Castillo dei Penguinos Del Norte, altro celebre gruppo. A portare però alle più alte vette di virtuosismo l’accordeon norteno è stato Santiago Jimenez ed ancor più suo figlio Leonardo, detto come il padre ‘Flaco’, smilzo. Un altro figlio di Santiago, Santiago Jr. detto ‘Jimmy’ Jimenez, suona il bajo-sexto, e la tradizione musicale di questa dotatissima famiglia promette di non esaurirsi grazie al nipotino David, figlio di Leonardo che già in giovane età se la cava molto bene all’accordeon.
Leonardo ‘Flaco’ Jimenez, ‘The squeeze box man’, ‘El rey de Tejas’, questi alcuni dei suoi appellativi, si è conquistato una saldissima fama portando la musica tex-mex ben oltre i suoi confini artistici e geografici. Eclettismo e prodigioso talento l’hanno portato a collaborare con grandi nomi del rock come Doug Sahm prima e Ry Cooder poi, esercitando su quest’ultimo una decisiva influenza e contribuendo a caratterizzarne lo stile (si ascoltino Show Time e Chicken Skin Music); insieme hanno curato la colonna sonora di The Border, film di T. Richarson con Jack Nicholson, interessante spaccato di vita della frontiera messicana. Si aggiungano le numerose e fortunate collaborazioni con Peter Rowan (Free Mexican Airforce) ed il successo delle tournées europee (Cambridge Folk Festival ’83; Inghilterra e Belgio nella scorsa primavera) e si capirà come la sua musica abbia potuto raggiungere il pubblico del rock e del bluegrass e come dal Texas la sua fama si sia estesa a tutti gli States ed al vecchio continente.
Dal suo strumento diatonico e quindi sostanzialmente limitato, scaturiscono scintillanti cascate di note con un gusto ed un senso ritmico, con una fantasia ed un’inventiva che lo mettono in grado di affiancare ed arricchire qualunque situazione musicale, conquistando per di più ogni pubblico grazie alla sua naturale simpatia e alla sua modestia e semplicità di carattere.
Tutti i musicisti di cui si è parlato, ed altri ancora, possono essere visti ‘in azione’ in uno splendido film documentario del regista Les Blanc, Chulas Fronteras, belle frontiere a cui si affianca un omonimo LP, entrambi prodotti ed ideati da Chris Strachwitz, personaggio che merita bene di essere segnalato per tutta una vita dedicata alla diffusione della musica e della cultura delle minoranze etniche come i Chicanos e i Cajuns principalmente attraverso le sue etichette Arhoolie/Folklyric/Old Timey.
Un cosi prezioso contributo alla preservazione ed alla conoscenza delle forme di folklore ‘marginale’ del nordamerica mi sembra motivo sufficiente a poter concludere queste pagine con un sentito ringraziamento a lui ed alla sua appassionata opera.
Discografia:
Antologie:
-Folklyric 9003, 1930s-1960s, Texas-Mexican Border Music: An Introduction
-Folklyric 9004, 1930-1934, Corridos, Part 1
-Folklyric 9005, 1929-1936, Corridos, Part 2
-Folklyric 9006, 1930-1939, Norteno Acordeon, Part 1
-Folklyric 9007, 1920s-1930s, The String Bands: End Of A Tradition
-Folklyric 9011, 1920s-1930s, Cancioneros De Ayer, Part 1
-Folklyric 9012, 1920s-I930s, Cancioneros De Ayer, Part 2
-Folklyric 9013, 1920s-1930s, Cancioneros De Ayer, Part 3
-Folklyric 9016, 1920s-1930s, Cancioneros de Ayer, Part 4
-Folklyric 9019, 1940s-1950s, Norteno Acordeon, Part 2
-Folklyric 9020, 1940s-1950s, Norteno Acordeon, Part 3
-Folklyric 9021, 1930s-1970s, The Chicano Experience
-Folkways 4426, Folk Music Of New Mexico
-Arhoolie 3005, Chulas Fronteras (soundtrack)
-MCA 204-447, The Border (soundtrack by Ry Cooder)
Albums solisti:
Narciso Martinez
-Folklyric 9017, El Huracan Del Valle, (1936-37)
Melquiades Rodriguez
-Folklyric 9018, El Ciego Melquiades, (1935-50)
Lydia Mendoza
-Folklyric 9023, First Recordings, (1928-1938)
-Folklyric 9024, Early Recordings, (1935-1938)
-Norteno 809, La Alondra De La Frontera
-Norteno 812, Y Su Guitarra De Oro
-Norteno 817, Lydia Mendoza
-Arhoolie 3012, La Gloria De Texas
José Morante
-Norteno 803, Corridos Y Tragedias Del Siglo XX
-Norteno 805, Corridos Y Tragedias Del Siglo XX
-Norteno 815, El Rey Del Corrido
-Norteno 820, Yo Soy El Corrido
Santiago Jimenez
-Arhoolie 3013, Con Flaco Y Juan Viesca
Flaco Jimenez
-Arhoolie 3007, Y Su Conjunto
-Arhoolie 3014, El Sonido De San Antonio
-Sonet 895, Tex-Mex Breakdown
-Rogue 2003, Viva Seguin
Santiago Jimenez, Jr.
-Arhoolie 3016, El Mero Mero
Los Penguinos del Norte
-Arhoolie 3002, Corridos Del Valle
Trio San Antonio
-Arhoolie 3004, Viva El West Side!
Los Camperos
-Indigo 501, Puro Mariachi
-Carino 1-5117, North Of The Border
Los Polkeros De Ben Tavera King
-Folkways 6527, Saturday Night San Antonio
-Folkways 6528, Border Bash
Johnny Rodriguez
-Mercury 1-686, All I Ever Met To Do Was Sing
-Mercury 1-699, My Third Album
-Mercury 1-1012, Songs About Ladies & Love
-Mercury 1-1032, Just Get Up & Close The Door
Freddie Fender
-ABC 2020, Before The Next Teardrop Falls
Peter Rowan
-Flying Fish 071, Peter Rowan
-Flying Fish 205, Medicine Trail
-Appaloosa 010, Texican Badman
Ry Cooder
-Reprise 54083, Chicken Skin Music
-Warner Bros. 56386, Show Time
Joe ‘King’ Carrasco
-Big Beat 11, J.K. Carrasco & El Molino Band
Luigi Grechi, fonte Hi, Folks! n. 8, 1984