The Allman Brothers Band – Dreams cover album

Venerdì 29 ottobre del 1971 è una di quelle date che nella storia del rock verrà ricordata tra le più tragiche: a Macon, in Georgia, moriva per le ferite riportate in un incidente motociclistico Duane Allman, sicuramente uno dei più sensibili, preparati e geniali chitarristi americani.
Malgrado sia morto a soli 24 anni la sua produzione discografica già lo aveva segnalato ed imposto. Succede spesso, quando si parla di un chitarrista, di elogiarne la tecnica o comunque le sue ‘prestazioni’ sulla sei corde: per Duane Allman questo tipo di approccio è sicuramente riduttivo perché alcuni dei suoi lavori con la Allman Brothers Band hanno una importanza musicale rilevante che va oltre l’analisi sempre possibile e certo necessaria sul suo chitarrismo.
Purtroppo la sua musica da noi non è mai stata apprezzata se non da un ristretto gruppo di chitarristi (il cui ascolto era chiaramente mirato più all’aspetto tecnico che a quello musicale) e da quei pochi che seguivano la musica americana o in genere la musica rock senza fare troppa attenzione alle mode o alle classifiche.Oggi la Polydor con Dreams, un cofanetto `celebrativo’ disponibile in vinile (6 LP) o in compact disc (4 CD), rende il dovuto omaggio non solo al musicista ed al chitarrista, ma anche a quel rock di marca sudista di cui il gruppo di Gregg e Duane Allman sono stati i rappresentanti più significativi.

Quindi in queste quasi cinque ore di musica non troviamo soltanto Duane Allman nelle formazioni che precedettero la Allman Brothers Band, ma anche i lavori che la band incise dopo la sua scomparsa e dopo la morte (avvenuta in circostanze analoghe a quelle del chitarrista) del bassista Berry Oakley. Quindi, in questa ricca antologia c’è il percorso non sempre brillante di un gruppo di musicisti che comunque dopo la scomparsa di Duane Allman non hanno più trovato la giusta maniera di assemblare la propria musica, quasi a voler implicitamente dichiarare che la figura del chitarrista non solo era insostituibile da un punto di vista strumentale, ma soprattutto da un punto di vista creativo.

Chitarre, nella sua pur breve storia, non si è mai occupata di Duane Allman, pur riconoscendo al chitarrista americano (naturalmente a livello di redazione) quell’importanza che sicuramente merita nell’olimpo, in verità ultimamente troppo affollato, dei chitarristi. Con questa recensione in parte tentiamo di recuperare il ‘tempo perduto’.
Jerry Wexler, che è stato uno dei primi estimatori di Duane Allman, ricorda così il primo ‘incontro’ con il suono del biondo chitarrista del Tennessee: “Il mio avvicinamento a Duane avvenne quando per telefono dai Muscle Shoals, Rick Hall mi fece sentire il playback della versione di Wilson Pickett di un pezzo dei Beatles: Hey Jude. Io conoscevo molto bene i chitarristi che lavoravano abitualmente in quegli studi, ma capii subito che la chitarra di quel playback aveva qualcosa di diverso. e così chiesi il numero telefonico di Duane e da lì cominciò la nostra amicizia ed anche un ottimo rapporto di lavoro”.

Questa citazione serve anche ad introdurre l’aspetto non certo trascurabile del lavoro fatto da Allman in studio per altri musicisti, e soprattutto per ricordare che uno dei dischi più significativi per la storia del rock, vale a dire Layla di Eric Clapton, è stato inciso con un apporto massiccio di Duane Allman, tanto massiccio da far dire ad uno dei responsabili dei Criteria Studios di Miami, dove Layla fu registrato, che quando Clapton era in studio senza Duane le cose proprio non funzionavano.
Altra succosa notizia, sempre direttamente offerta da gente che ha partecipato alle session di Layla, riguarda proprio il brano che dà il titolo all’album: sembra infatti che tutte le chitarre del brano siano di Duane Allman e che Clapton non appaia se non in `sottofondo’. Verità o i soliti pettegolezzi da corridoio? Per sicurezza si può sempre andare a riascoltare Layla… Rimane comunque il fatto che Duane Allman deve essere valutato anche per alcune collaborazioni, oltre che per il materiale abbondantemente documentato in questo Dreams che è ricco, anzi fin troppo ricco di inediti, outtakes e alternate version.

Duane Allman è stato un grande chitarrista blues, uno di quelli che non avevano bisogno di scopiazzare qua e là, il blues per lui, uomo del sud, era un linguaggio quasi naturale ed il fatto che gli Allman Brothers fossero definiti come una band di rock sudista non deve trarre in inganno; il fraseggio di Duane è ed è sempre stato espressione del blues. La sua tecnica slide era semplicemente perfetta come il suo suono innovativo; suonava perfettamente la chitarra acustica ed il dobro, e sempre a detta di Jerry Wexley non c’erano limiti alle forme musicali che Duane abbracciava, dal jazz al country, dalla bossa nova al blues appunto, e sempre con una padronanza che non era solo conoscenza dello strumento, ma vera e propria musicalità. Tornando all’operazione della Polydor, da sottolineare, oltre al carattere celebrativo di Dreams  che farà sicuramente felici i fans del rock sudista e di Duane Allman, l’aspetto ‘filologicamente’ ineccepibile che caratterizza questa operazione curata da Bill Levenson, che già aveva assemblato il cofanetto Crossroads dedicato all’opera di Eric Clapton, sempre su etichetta Polydor.

È del tutto inutile segnalare i brani e le varie versioni live o live in studio o gli inediti di Dreams — diciamo subito che l’impegno economico per questo cofanetto è decisamente forte e quindi chi è disposto a spendere 100.000 lire per i 6 LP o le 120.000 e passa lire per i 4 CD, sicuramente studierà attentamente la scaletta stampata sul retro della confezione. Preziosissimo il libricino accluso all’edizione incisa, in cui si traccia un percorso che è da ritenere non solo valido per una conoscenza più particolareggiata della Allman Brothers Band (con ampi riferimenti al periodo precedente e a quello successivo alla formazione della band), ma anche per un indispensabile approfondimento di una zona della storia del rock che non può essere trascurata. Infine una piccola, ma non trascurabile, osservazione: questo Dreams non è una raccolta semplice, facile ed immediata, quindi è giusto sottolineare che l’ascolto (ottima l’operazione di `pulizia’ dei nastri) va affrontato gradualmente, non ci si illuda di poter accendere l’impianto e spararsi cinque ore consecutive di Allman Brothers, quindi il consiglio è di avere pazienza e godersi Dreams un poco alla volta, assaporando il gusto dell’attesa,

Polydor 839 – 417 2 (Roots Rock, Blues Rock, 1989)

Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 45, 1989

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