Mettete nel lettore il CD di Waiting On The Gravy Train, il secondo di questa grintosa band, e sentirete i borborigmi inconfondibili del banjo frailing, il fiddle che scivola corrosivo sulle note aspre di vecchi hoedowns, la chitarra che danza attorno alle cascate di note di fiddle tunes… old time music senza dubbio. Eppure… eppure… il ritmo è giovane, coinvolgente; le voci non suonano come nei vecchi 78 giri, massima ambizione dei gruppi revivalistici del genere. Si sente una passione nuova, una volontà di togliere la muffa dai vecchi pezzi, lo sforzo di aggredire il passato per spremerne il meglio e sposarlo alla contemporaneità per affrancarlo dalla nostalgia che è sinonimo di stato cadaverico. Anzi, ascoltando attentamente, c’è una venatura punk nel vocal di Cary Fridley, la brava lead singer del gruppo, un’audacia espressiva sconosciuta alle band coetanee; in certi casi, si intravede un’autoironia inedita nel genere, come nel superclassico Nobody’s Business, dove la cantante risponde alla voce del banjoista Frank Lee con un falsetto volutamente parodistico e sopra le righe.
Il contrasto è fortissimo con il brano successivo (un caso? Non credo), A Roving On A Winter Night, cantato dalla ragazza in solitudine assoluta, a cappella, con orgoglio e perizia.
In Fall On My Knees, l’ensemble torna a ranghi serrati, con il basso pulsante di James O’Keefe a scandire il tempo.
A tessere intricate trame in tutti i brani, ci pensa il fiddle di David Bass. A certificare l’amore e il rispetto dei giovani musicisti per la tradizione c’è, in chiusura di Waiting On The Gravy Train (una caso? Non credo), la nota Shortening Bread, mutuata da quei giganti dell’old time che furono Gid Tanner e gli Skillet Lickers, veri capiscuola dello stile. Il cerchio si chiude: l’old time è morto, viva l’old time! Grazie al cuore di questa ottima giovane band.
Rounder 610433 (Old Time Music, New Traditionalists, 1998)
Maurizio Angelo, fonte Out Of Time n. 30, 1999
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