Il rock italiano è in continua crescita, lo testimoniano le ultime uscite di molte ‘band’, da sempre sottovalutate al cospetto di gruppi ‘coetanei’ d’oltreoceano. Dopo una gavetta durata un decennio ‘on the road’ con due validi dischi alle spalle i Groovers tentano il grande balzo alla conquista di una vasta popolarità con September Rain. Guidati dal cantante-chitarrista-autore Michele Anelli, il tastierista-fisarmonicista Paolo Montanari, Moreno Zanghi alle chitarre, Gianni Fornari al sax e percussioni, i Groovers ostinati nel proseguire la strada degli esordi, ovvero quella di suonare un rock ‘stradaiolo’ cantato in inglese, anzi americano, arrivano al difficile esame di maturità e si ha la netta impressione che questo sia il miglior lavoro, quello in cui le canzoni hanno una varietà maggiore e il ‘sound’ è meno legato ai capiscuola americani.
September Rain scopre subito le carte: i Groovers vanno a prendersi le canzoni dalla strada alla maniera dei Del Fuegos di Boston Mass. L’inizio è affidato a Something Bumin’, ma sin dai primi brani appare chiaro che pur continuando ad appellarsi ad un ‘blue collar-rock’, il lavoro di personalizzazione comincia a portare il suono fuori dagli schemi tra i quali rischiava di rimanere intrappolato. Un passo avanti in questo senso, al quale non deve essere estraneo Paolo Bonfanti ‘ospite’ nei brani Cast Iron Radiator Blues e nella conclusiva ‘title-track’, oltre, naturalmente l’esperienza accumulata con le serate passate a suonare dovunque fosse possibile.
Di conseguenza le canzoni di Anelli e compari, guadagnano in lucidità e spessore come in Many Loves (che è un adattamento di una poesia di Ginsberg), nelle ballads Homebound Road e Shoes Of A Fool con il sax di Fornari in evidenza, in Not Enough To Kill dove gli stacchi di una fisarmonica valorizzano un piccolo gioiello.
Fandango FD 003 (Roots Rock, 1997)
Tino Montanari, fonte Out Of Time n. 22, 1997