Stanley Brothers

Sono passati esattamente 10 anni dal mio ultimo articolo sugli Stanley Brothers apparso su una rivista, e mi trovo con piacere (ah!) a tentare di sintetizzare un migliaio di righe, con la speranza di mettere insieme qualcosa di degno per celebrare i grandi Stanley Brothers of Virginia.
L’occasione è importante, la loro definitiva consacrazione all’Olimpo dei grandi del Bluegrass nella Hall of Fame dell’International Bluegrass Music Association (a Owensboro, Kentucky), ed è per questo che una sintesi come quella richiesta dagli spazi necessariamente angusti di Country Store mi riesce alquanto difficile.

The Stanley Brothers, Carter e Ralph, & the Clinch Mountain Boys sono la classica bluegrass band che viene ‘data per scontata’ dal bluegrassaro medio. Tutti conosciamo, o pensiamo di conoscere, le caratteristiche principali dello ‘Stanley sound’: armonie altissime, a volte con un caratteristico ‘high baritone’, basate su melodie modali dal suono arcaico, atmosfere decisamente ‘lonesome’, con tonalità un po’ lamentose che ben si adattano ai temi trattati, che sono quelli caratteristici della povertà unita a dignità e orgoglio propria della gente di montagna, dove anche l’amore è vissuto, spesso, come sofferenza, le colpe di una innamorata poco fedele sono volontariamente addossate alle forti spalle di lui, le mamme muoiono come le mosche ma poi cantano in cielo con gli angeli, e tutto ciò viene espresso in musica con suoni taglienti (banjo), a tratti quasi aspri (fiddle), e costantemente ‘senza età’ (l’immortale voce di Ralph). Questo è per tutti noi, in troppe parole con scarsa punteggiatura, lo Stanley sound: lo è sempre stato, e apparentemente lo sarà finché qualcuno (Ralph Stanley, ma anche Larry Sparks, Dave Evans quando uscirà di galera, Ricky Skaggs in veste ‘grassy’, o molti altri artisti e bands nei loro momenti più ‘arcaici’) vorrà tramandare una solida tradizione.

La carriera dei fratelli Stanley, però, non è da tutti così ben conosciuta, e ritengo valga la pena di parlarne un po’, essendo per diversi motivi abbastanza unica nella storia del bluegrass. McClure, sulla Clinch Mountain in Virginia, è definito ancora oggi da Ralph Stanley come ‘luogo natale’, e se in realtà il certificato di nascita di Carter e Ralph nomina Fremont, Virginia è stato proprio a McClure (da anni sede del grande Carter Stanley Memoria! Festival) che i due fratelli hanno mosso i primi passi nel mondo e nella musica.

Lucy Smith, madre dei due Stanley, è stata spesso citata come principale fonte di ispirazione musicale dei nostri eroi, essendo notevole suonatrice di clawhammer banjo e cantante di antiche melodie tradizionali. I due fratelli, inoltre, assorbirono sin dai primi anni di vita gli inni cantati nella chiesa battista locale, nell’antico ‘lining-out style’ (che certamente conoscerete come ‘call-response’…), e non dobbiamo dimenticarci di considerare, come fondamentale e precoce influenza musicale, tutto ciò che ai due giungeva attraverso le trasmissioni della Grand Ole Opry, da Nashville Tennessee, e di diverse stazioni radio di Kentucky, Virginia, Tennessee e North Carolina.
Nulla di strano, perciò, nell’apprendere che i due fratelli iniziarono a suonare uno strumento prima dei dieci anni, e che la loro carriera musicale da professionisti ebbe il suo esordio nel 1946, con Carter e Ralph rispettivamente di 21 e 19 anni.

Nel 1946 nascono i Clinch Mountain Boys, con uno stile ancora in bilico fra la tradizionale mountain music e la musica ‘nuova’ di Bill Monroe.
L’ascolto delle prime incisioni della band lascia vedere questa tendenza stilistica duplice, nelle scelte di repertorio più che nello stile, che deve più a Wade Mainer o Roy Sykes che a Bill Monroe, nonostante la presenza nella band di ‘Pee Wee’ Lambert, mandolinista integralmente ‘Monroe style’.
La vocalità della band di questo periodo è impostata su duetti (Carter lead, Ralph tenor o più spesso Lambert tenor), con qualche saltuario trio e quartetto nei gospel. Il suono è solo in parte simile a quello che poi verrà definito ‘Stanley sound’, decisamente più grezzo, arcaico e, se vogliamo, indefinito.

All’inizio del 1949 la Columbia offre un contratto discografico agli Stanley Brothers, e con questa mossa non da poco la band si assicura una relativa tranquillità economica ed artistica che ben poche band del periodo potevano vantare. Con questa ‘tranquillità’ di fondo iniziano i cambiamenti significativi nello stile del gruppo: viene dato più spazio a Ralph, il cui banjo si fa sempre più sentire, e la cui inconfondibile voce viene ora usata al meglio sia come tenor sia come saltuario lead, e Lambert canta ora uno ‘high baritone’ al di sopra della voce di Ralph, una parte eterea e suggestiva che rende inconfondibile il suono del gruppo e indimenticabili le incisioni Columbia del periodo 1949-50. (Sono d’accordo con Dan Crary, che sceglierebbe proprio un gospel degli Stanley di questo periodo fra i dieci pezzi da portarsi sulla famosa isola deserta!).
Paradossalmente, però, il successo ottenuto con queste incisioni Columbia segnò l’inizio di una battuta di arresto nella carriera degli Stanley Brothers: Ralph tornò per un po’ a fare (o tentare di fare) il veterinario, e Carter divenne (per nostra fortuna) il chitarrista e lead singer dei Blue Grass Boys, regalandoci gemme come Sugar Coated Love e Cabin Of Love.

Nel 1951 i Clinch Mountain Boys tornarono a piena attività, anche se con una scarsa produzione discografica e con periodici cambiamenti nell’organico. Il passaggio alla Mercury e l’ingresso di George Shuffler nel gruppo favorirono una ulteriore svolta stilistica, con la ‘novità’ del ‘walkin’ bass’ e una miriade di pezzi originati dalla feconda penna (si fa per dire) di Carter. Ma siamo ormai negli anni ‘50, e l’avvento di rock’n’roll e rhythm & blues significa l’inizio di tempi durissimi per la country music.

Gli Stanley trovarono il modo di cavarsela mica troppo male economicamente, a costo di un trasferimento in Florida e di un lavoro (musicale) per la Jim Walter Co. (case prefabbricate). E iniziarono a cavarsela ancora meglio quando, con le prime ancorché deboli avvisaglie del folk revival, cambiarono ancora una volta casa discografica, passando alla Starday/King di Nashville, e stile, introducendo la chitarra solista come elemento di spicco del loro suono, a discapito di fiddle, spesso relegato nelle retrovie, e mandolino, che scomparve del tutto dallo Stanley sound. La lead guitar si rivelò elemento vincente in queste scelte stilistiche, e il caratteristico ‘cross picking’ di Bill Napier e soprattutto George Shuffler giunse spesso a prevalere su tutti gli altri suoni, addirittura spesso anche sul banjo di Ralph.

A questo punto il ‘mountain sound’ ce lo possiamo scordare, e così il rispetto della tradizione, anche se gli album di questo periodo inalberano costantemente scritte come ‘authentic folk music’ o ‘traditional songs’, ma insomma dobbiamo tutti mangiare e sostenere una famiglia, e in quegli anni non molte persone facevano discorsi filologici sulla country music…
E siamo cosi arrivati (un po’ di corsa, lo so) all’alba degli anni ’60, con Bill Monroe in piena crisi commerciale grazie ai vari Presley, Cash & C., Flatt & Scruggs in stato di grazia sotto tutti i punti di vista (Martha White e scelte stilistiche già un pò ‘folk’ sono da ringraziare per il successo…), e tutto il mondo country ancora in tono minore per lo scossone datogli dal rock’n’roll e generi affini.

I fratelli Stanley avevano capito che il folk revival per loro significava pane e companatico, quindi continuarono a produrre album stilisticamente abbastanza perfidi, ma di sicuro successo, riservando alle esibizioni dal vivo la continuazione del loro caratteristico, grintosissimo e anti-commerciale ‘mountain sound’, rinforzato dalla sempre più fluente produzione, da parte di Carter, di canzoni che già nascevano come classici del bluegrass, e di cui ancora oggi si avvantaggia il repertorio di non poche band.

Grazie a queste scelte il gruppo lavorava molto, anche se le grosse ‘venues’ ben note a Flatt & Scruggs o ad altre band meglio promosse, come la Carnegie Hall o le sale da concerto delle grosse università, erano ancora per loro parzialmente fuori tiro. Alcuni college, certo, aprirono loro le porte, ma erano comunque sempre i bar, le piccole scuole di montagna, i drive-in, gli ‘hootenanny’ e situazioni genericamente minori la loro prevalente fonte di reddito.
Vita dura, quindi, costantemente sulla strada, con l’inevitabile conforto dell’alcool a caratterizzare sempre di più i monotoni e rari momenti liberi, stipati in quattro con gli strumenti su una vecchia ‘limo’ a guadagnare miglia di notte, o nel silenzio di un piccolo motel lungo una strada secondaria fra le montagne. Devastato nel morale da questa vita e nel fegato dall’accumulo di ‘hard likker’, Carter Stanley moriva nella notte dell’1 dicembre 1966, a soli 41 anni.

Non sta a noi scrivere pistolotti sull’importanza della sua musica, né commentare l’influenza del suo stile su cantanti country come Ricky Skaggs o il molto compianto Keith Whitley, né tantomeno arzigogolare su come sarebbe evoluto lo stile Stanley se le condizioni economiche fossero state diverse da quelle, estremamente sfavorevoli, incontrate dagli Stanley Brothers nel corso dei 20 anni della loro carriera. I riconoscimenti tributati negli ultimi 20 anni a Ralph (divenuto tra l’altro ‘Doctor’ e ‘Kentucky Colonel’) per la rigorosa, grintosa, quasi ostinata e certamente valida opera di continuazione dello Stanley Sound ci dovrebbero dire molto sull’importanza del momento economico e sociale nella vita e nella carriera di un musicista.

Al di là dei rimpianti o delle inutili recriminazioni, comunque, è nostro dovere ricordarci che oggi, finalmente, la produzione degli Stanley Brothers, ufficiale o bootleg che sia, è abbondantemente disponibile sul mercato con incisioni di tutti i tipi, dai vecchi L.P. Columbia ai pregiati ma artisticamente spesso discutibili album King, Starday e Gusto, alle varie reissues su CD County, alle serie di cassette Copper Creek.
Non potremmo rendere a Carter e Ralph Stanley migliore omaggio dell’acquisto della collezione completa (faccio per dire, naturalmente: non siamo miliardari…) della loro opera, e godere oggi, negli anni novanta, del suono antico e immortale creato dagli Stanley Brothers quasi mezzo secolo fa. E trascurare, dandoli per scontati, i molti, inevitabili brividi…

Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 19, 1993

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