Tim O’Brien - Cornbread Nation cover album

Ed in questo inizio d’autunno Tim O’Brien spiazza tutti facendo uscire due dischi contemporaneamente, due dischi entrambi straordinari e tra loro uguali, diversi e complementari. Uguali per ispirazione, diversi per arrangiamenti e complementari perché sono da ascoltare insieme. Per coloro che già conoscono questo artista la recensione potrebbe finire qui, con un invito incondizionato e categorico all’ascolto.
Si tratta di due episodi nei quali viene esplorata in modo personale la musica tradizionale nord-americana, variamente composita e ricca di gioielli anche sconosciuti, tra i quali trovano compiuta sistemazione brani recenti ma già senza tempo ed anche originali, a firma sia Tim O’Brien sia di altri. Ed il bello è che tutti questi pezzi si amalgamano perfettamente fra loro, a non riuscire a discernere il vecchio dal nuovo.

Cornbread Nation è il primo da ascoltare, ma solo volendo seguire rigorosamente l’ordine di pubblicazione. È l’episodio più particolare, senza però farsi ingannare dalla presenza (ancor più) saltuaria della chitarra elettrica. E si comincia proprio con un preciso intervento di questo strumento nelle mani di Kenny Vaughan nel primo brano, molto roots-rock, mentre il secondo è un gospel, o forse di più un canto di lavoro. La title-track piace leggerla in una chiave oserei dire quasi rap ed il quarto presenta un inconsueto sassofono, che però sta bene e probabilmente non può essere sostituito, così come l’accordion suonato da Dirk Powell nel successivo. Il sesto pezzo ha un ritmo marcato, accompagnato dal drumming sempre discreto di Kenny Malone, per passare poi alla notissima House Of The Risin’ Sun (e qui merita citare il titolo per esteso) fantastica in un inaspettato arrangiamento. L’ottavo pezzo è forse quello più bluegrass della raccolta, con Del McCoury ad aiutare nelle voci più alte, mentre il nono è stato un successo di Johnny Cash negli anni ‘60. Poi troviamo California Blues a firma Jimmie Rodgers con il suo bravo yodel, quindi l’undicesimo pezzo caricato di un banjo che disegna inquietanti armonie. Il disco termina con un gospel a più voci molto molto nero marchiato a fuoco da un grezzo mandolino.

Tra gli altri amici che collaborano occorre citare almeno Dennis Crouch e John Doyle, ma in ogni caso su entrambi gli episodi domina la voce di Tim O’Brien, calda ed affascinante, la sua bravura strumentale, il suo estro musicale davvero a 360 gradi ed il suo ottimo buon gusto, capaci di dare nuova vita a cose note. Una leggera predilezione molto personale va all’altro Fiddler’s Green, ma confermo, per un godimento completo sono da ascoltare insieme.

Sugar Hill 4005 (Old Time Music, New Acoustic Music, 2005)

Claudio Pella, fonte TLJ, 2005

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