Intervista a Tim O’Brien.
Ciao Tim e benvenuto!
Grazie, sono contento di essere qui.
Domani torni a Nashville, come è andata questa vacanza italiana?
Bene, siamo stati a Firenze e Siena, abbiamo visto posti meravigliosi e, guidati da Martino Coppo dei Red Wine, abbiamo fatto un tour gastronomico indimenticabile. Ora bisogna tornare a casa anche se devo dire che non vedo l’ora di riabbracciare i miei ragazzi.
Questa però non è stata la tua prima volta in Italia, vero?
Sì è vero, ero già stato qui con il mio gruppo, gli O’boys nel 1994 ed ero ansioso di tornare.
Cominciamo a parlare della tua carriera e partiamo con gli Hot Rize. Quando e come nacque la band?
Abbiamo cominciato a suonare insieme nel 1978 e poi la cosa è proseguita lungo tutti gli anni ’80 fino al 1990, con una reunion nel 1999 dopo la morte di Charles Sawtelle. Per me quell’avventura ha rappresentato una scuola, una sorta di college o università itinerante dove poter studiare musica bluegrass con gli altri membri della band.
E prima degli Hot Rize che esperienze musicali avevi avuto?
Ero impegnato nello studio dello strumento, cercando semplicemente di capire se davvero avrei potuto aspirare a diventare un musicista professionista. Cominciai ad esibirmi da solo nell’area di Chicago, poi entrai a far parte di una band chiamata Ophelia Swing Band e anche quella è stata una esperienza importante che mi ha fatto capire cosa significhi suonare con un gruppo, cosa deve fare e non fare una band per avere successo.
Dove vivevi a quei tempi?
Ero già a Boulder nel Colorado. Mi ero trasferito lì a 19 anni da solo dalla West Virginia dove sono nato.
Com’era la scena musicale di Boulder?
Era ottima, è ancora un buon posto per la musica, ci sono molti giovani che seguono con passione i generi musicali alternativi ed in generale tutto ciò che è buona musica senza preoccuparsi troppo delle etichette. Molti artisti hanno iniziato la loro carriera creandosi un buon seguito prima proprio nel Colorado, per esempio Lyle Lovett o Bruce Hornsby.
Nel 1990 esce il bellissimo ‘ultimo atto’ ‘Take It Home’, dopo di che gli Hot Rize si sciolgono, quale fu la reazione del pubblico?
Beh la gente era triste ed in un certo senso perfino arrabbiata con noi per quella decisione, ma era inevitabile. Mi sentivo pronto per nuove esperienze da solista. La cosa buona circa gli Hot Rize è che in realtà non abbiamo mai rotto definitivamente. Al contrario, abbiamo continuato ad esibirci insieme, anche se raramente, siamo restati buoni amici ed ognuno di noi spesso partecipa ai dischi dell’altro.
Quindi non è veramente finita, diciamo che ognuno di noi ha voluto allargare i propri orizzonti. Comunque voglio annunciare a tutti i fans degli Hot Rize che questa prossima primavera uscirà un nuovo CD con incisioni inedite del gruppo tratte da un concerto tenuto in Colorado nel Gennaio del 1998 con la band al completo.
Quindi non vi siete sciolti per incomprensioni interne?
Direi di no, volevo semplicemente provare qualcosa di nuovo. In quegli anni avevo avuto un buon successo come autore di canzoni country grazie ad artisti del calibro di Kathy Mattea che fece di alcuni miei pezzi delle vere hit. Quindi se volevo cercare un contratto con una casa discografica importante, quello era o sembrava il momento migliore per farlo.
E così arrivò l’avventura con la RCA. Una brutta storia?
Preferisco vedere quegli anni come una esperienza che mi ha insegnato parecchie cose. Penso di esserne venuto fuori più maturo e consapevole di cosa realmente volessi fare. Quando firmai con la RCA decisi di lasciare gli Hot Rize proprio per dedicarmi a questa nuova sfida con tutto me stesso.
Preparai una serie di canzoni che piacquero a molti addetti ai lavori che però non riuscirono a trovare un modo per poter vendere quel materiale. Poi ci furono importanti cambiamenti al vertice della casa discografica, il mio ‘sponsor’ lasciò l’etichetta ed io rimasi senza contratto, nonostante avessi un disco pronto per uscire.
‘Hold To A Dream’, ripresa da Laurie Lewis e dai Newgrass Revival, è una canzone che fa parte proprio del materiale che avevi prodotto in quel periodo?
Sì, fu realizzata per far parte del disco mai pubblicato dalla RCA. Tornai alla Sugar Hill, la quale pubblicò il disco in questione, Odd Man In, di cui fa parte quella canzone. Era una raccolta di brani che ritenevo troppo bella perché rimanesse in un cassetto.
Facciamo un salto nel tempo e parliamo del tuo ultimo lavoro.
Si tratta di un disco intitolato Two Journeys che rappresenta una sorta di seguito al precedente The Crossing e si fonda musicalmente sulle mie origini e tradizioni irlandesi-americane. Sono presenti Darrell Scott e Dirk Powell oltre ad una lunga lista di ottimi musicisti irlandesi.
Sei stato anche in Irlanda per la promozione?
Sì ci sono stato recentemente, ho suonato con Paul Brady a Dublino e poi ho fatto interviste per promuovere il disco che è già uscito in Irlanda e Gran Bretagna e che presto sarà disponibile anche qui in Italia.
Questo disco è il primo pubblicato dalla tua casa discografica. Come mai hai deciso di lasciare la Sugar Hill?
Semplicemente perché volevo controllare meglio tutto il processo di lavorazione. Si tratta anche di un investimento per il mio futuro. Non ho avuto problemi con la Sugar Hill che anzi mi ha dato sempre ampia libertà nel mio lavoro.
Hai una buona distribuzione?
Direi di sì, siamo distribuiti in tutti gli Stati Uniti anche grazie al mio sito internet che ci consente di vendere, così come le molte date live in giro per il mondo. Insomma più o meno abbiamo mantenuto gli stessi canali di sempre.
Ancora indietro. Come è nata l’idea della band O’Boys?
Quando suonavo ancora con gli Hot Rize, Mark Schatz mi avvicinò chiedendomi se mi sarebbe piaciuto suonare con lui. Mark è un musicista fantastico così come Scott Nygaard. Sono stati anni molto belli perché entrambi, come me, sono artisti che amano spaziare nei diversi generi di musica americana, dal blues al jazz, dal bluegrass al rock ma anche musica celtica e old time. Per me è l’ideale poter lavorare con persone così aperte mentalmente e ben predisposte a sperimentare.
Tra le diverse formazioni cui hai dato vita ce n’è una strana chiamata Red Knuckles And The Trailblazers che eseguiva honky tonk e musica in stile anni ‘50. Come è nata?
Nacque durante i concerti degli Hot Rize, amavamo travestirci in stile western per venti minuti di spettacolo nello spettacolo, sembrava di essere ad una festa di Halloween. Era anche un modo per prenderci un po’ in giro e anche per farci conoscere meglio dal pubblico. Gli amanti di bluegrass sono un po’ restii alla musica elettrica, ma quella era comunque country music tradizionale degli anni ’50 con qualche pezzo originale, ma soprattutto cover di canzoni di Faron Young, Lefty Frizzell, Johnny Horton e altri personaggi storici.
Nel 1988 hai inciso il primo di tre dischi in duo con tua sorella Mollie, come è stato lavorare con lei?
Molto divertente, sia registrare i dischi sia suonare dal vivo. Abbiamo fatto molte date insieme. In famiglia siamo 5 fratelli ed io e Mollie siamo sempre stati molto uniti, siamo i più giovani, siamo i mancini, i due con i capelli rossi e con la vocazione musicale, per questo tra noi c’è sempre stata una complicità particolare.
Prima hai accennato al disco ‘The Crossing’, del 1999, cosa ha rappresentato quel lavoro nella tua carriera?
Si è trattato di una vera e propria svolta per me. Non solo dal punto di vista musicale per la ripresa delle influenze celtiche, ma soprattutto perché con The Crossing ho incominciato a scrivere cose ispirate direttamente dalle mie esperienze personali. La maggior parte di quelle canzoni trattano di fatti reali e questo mi ha consentito di farmi conoscere ancora meglio dal pubblico proprio perché scrivevo canzoni che parlavano del mio background personale, della mia vita.
Nel disco c’è una canzone molto toccante intitolata ‘Rod McNeil’. Chi era questo personaggio?
Era una persona che ha lavorato tanto e contro ogni tipo di ostacolo per diffondere e promuovere la musica tradizionale, un po’ come fate voi della BCMAI. Uomini come lui rendono possibili carriere come la mia e questa canzone è stato il mio omaggio a questo amico sincero, una figura molto amata dalla comunità bluegrass.
Come è nato il disco ‘Songs From The Mountain’ registrato con Dirk Powell e John Herrmann?
Songs From The Mountain è stato ispirato completamente dal romanzo di Charles Frazier intitolato Cold Mountain pubblicato qualche anno fa. La storia è ambientata in Nord Carolina nel periodo della Guerra Civile americana, vengono citate molte canzoni tradizionali folk che vengono usate come metafore degli eventi narrati, di molte vengono addirittura riportati i testi, così mentre leggi il romanzo hai la sensazione di sentire quelle canzoni.
Questo disco vuole proprio essere una sorta di colonna sonora di quel romanzo e per noi tre è stata anche una bella occasione per incidere molti standard di musica folk altrimenti difficilmente inseribili in un altro progetto.
Torniamo ai giorni nostri e al duo con Darrell Scott, come è nato il rapporto?
Ho conosciuto Darrell perché il mio editore me lo presentò sperando in una potenziale collaborazione che cominciò con il disco When There’s No One Around.
Dalla primavera del 1998 abbiamo iniziato un tour insieme prima con una band e quindi abbiamo deciso di provare la soluzione del duo e devo dire che sono molto soddisfatto del risultato. Tra noi si è instaurata una reciproca interazione che crea ogni volta qualcosa di nuovo. Darrell è un grande cantante ed un musicista intuitivo, oltre che un bravo autore.
Quindi si presume che la scaletta dei vostri concerti non sia sempre la stessa…
No tutt’altro, ci piace molto variare da sera a sera. Decidiamo al momento a seconda del luogo, del tipo di serata, da come è disposta la gente nei nostri confronti e mille altre piccole cose. E’ sempre un dialogo continuo tra noi ed il pubblico che inconsciamente partecipa attivamente alle scelte.
Siamo arrivati alla fine della nostra conversazione, grazie di cuore Tim!
Grazie a voi e spero di tornare presto qui in Italia.
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 60, 2001