II veterano cantautore e narratore di ‘roots-music’, autentica icona della scena country-folk americana, è reduce da una magistrale sequenza d’opere, andando a ritroso possiamo citare tutta la recente produzione per l’Hightone: Borderland, il concept album The Man From God Knows Where, sino ad arrivare a The Rose Of San Jaquin, tralasciando le antologie.
In Modern Art, dopo quello teso alla ricerca delle origini, risalendo il proprio albero genealogico, per trovare il tema di una magistrale western-folk-opera che sembra correre parallela con le radici della musica americana di matrice bianca, e Borderland, limitato alla border-music lungo l’affascinante asse di stati che confinano con il nord del Messico, Tom Russell si cimenta con i miti contemporanei, quei personaggi (sportivi, musicisti, cantanti e scrittori) che sono entrati a far parte del suo ideale mondo di ‘artisti moderni’.
Attraverso le sue canzoni, o brani ripresi dal repertorio di Nancy Griffith, Emmylou Harris, Dave Alvin, Warren Zevon, egli li onora, ne canta le gesta o, più semplicemente, li cita.
Se nell’album precedente cantava un mondo a parte, forse dimenticato o mai tenuto abbastanza in considerazione (la citazione Chandleriana non è casuale: “…a nessuno interessa se sono morto o andato ad El Paso”), che offre però spunti letterari, poetici e musicali per chi è sensìbile all’avventura , a personaggi anomali che l’epopea post-west ha creato e che è più dura a scomparire nelle regioni di frontiera, dal Texas alla California, come nelle zone rurali o nelle aree più selvagge del grande paese, ora con Modern Art canta personaggi sulla bocca di tutti, persone importanti che con la loro attività hanno toccato l’immaginario collettivo o, più semplicemente, hanno lasciato un segno in Tom Russell.
La vivida ed espressiva voce di Tom Russell, enfatizzata dal suo tipico stile d’interprete, questi personaggi, il modo, il luogo ed i tempi in cui sono venuti a contatto con lui.
12 brani che sembrano usciti da un immaginifico affresco ‘totale’ dove miti sportivi della sua gioventù, Muhammed Ali e Mickey Mantle, si affiancano a Graham Greene, Kerouak e Bukowsky; i Beatles, Dylan, Cohen, Randy Newman e Van Morrison a ‘El Juli’ e Manolete; Edith Piaf e Billy Holiday a Lenny Bruce.
Tom, con i suoi mezzi poetici ed espressivi, è riuscito a rendere struggente un’emozione semplice, a fare un quadro di un paesaggio western, immaginate cosa riesce a fare la sua fantasia con personaggi di questa caratura a disposizione. L’inarrivabile storyteller, forse il più grande ed attento cantore, con Dave Alvin, dell’epopea dell’America moderna, è un folk-singer a tutto tondo. Conosce il linguaggio del rock, del country, del blues, della musica caraibica come del border sound, li usa come sfondo ad ogni sua storia, quasi a volerla inquadrare e definire, quasi a voler tentare un’impossibile sintesi di tempo, luogo e spazio nella sua opera.
La sua chitarra e la voce sono il filo conduttore di storie che fluttuano a zig zag nel tempo, come nell’immaginario collettivo di molti di noi. E’ innegabile che alcuni dei suoi ‘eroi’ sono anche i nostri e sono assurti al rango di altrettanti simboli, persone che hanno lasciato una traccia o un messaggio particolare con la loro opera. L’impianto sonoro è affidato ai tre produttori: Tom, voce, chitarre e Hammond B3, il fido Andrew Hardin, guitar virtuoso da sempre al suo fianco, e Mark Hallman, basso, voce tastiere ed accordion. Completano il quadro Glenn Fukunaga, basso elettrico, Steve Samuel, batteria e percussioni, Gurf Morlix, pedal steel, e Elan Fremerman, violino.
La sequenza lascia senza fiato. Si parte da The Kid From Spavinaw, ballad dai toni Guthriani dedicata al campione di baseball Mickey Mantle, si prosegue con una gemma targata Emmylou Harris, Tom la interpreta in duetto con Nancy Griffith e genera una folk-country song memorabile con la bella strumentazione elettroacustica a contrastare con la magia delle due voci.
Più delicata e solitaria è la triste The Boy Who Cried Wolf con uno string-sound essenziale quanto magico, Tom & Hardin, che avvolge la voce del protagonista esaltandone il messaggio.
Al contrario solari atmosfere caraibiche avvolgono Muhammed Ali, dove Russell gioca a fare Jimmy Buffett esaltando il valore di questo personaggio anche al di fuori dello sport.
Struggente e amara è American Hotel, significativa storia scritta dal songwriter Carl Brouse sulla vita di Stephen Foster, uno dei grandi autori della canzone popolare americana morto povero proprio all’America Hotel di New York.
Si prosegue in chiave acustica con la bella sequenza di Racehorse Haynes, folk-blues d’autore che traccia un caustico ritratto di un avvocato, la celebre The Dutchman, in una cover delicatissima per chitarre acustiche e violino, con una grande prova vocale di Tom sottolineata dalle voci femminili della Griffith e di Eliza Gylkison.
Modern Art , l
Modern Art, la title track, è una visionaria country ballad autobiografica, dove Russell narra della prima volta che ha visto esibirsi suoi eroi musicali come Dylan e i Beatles, con un’altra bella prova dello swingante violino della Fremerman.
Isaac Lewis è una ballata folk tradizionale senza tempo per chitarra, cantata con grande enfasi e pathos da un Irish-Russell.
Segue Bus Station, un vecchio brano di Dave Alvin trasformato in una folk-song elettrico-acustica dove ancora una volta duetta con la brava Nancy Griffith.
In Crucifix In A Death Hand/Carmelita, dove mette in musica un poema di Charles Bukowski, accompagnato da Hardin che arpeggia ricami di chitarra Made in Mexico, Russell raggiunge il momento più elevato di un album già di per sé eccezionale. La lunga canzone, una border ballad narrata con grande sentimento più che cantata, si trasforma nel finale nella Zewoniana Carmelita, accoppiando la musica metropolitana Losangelena con un indimenticabile Mexican flavour.
Non meno complessa è la storia tipicamente americana di Tijuana Bible, dove troviamo elementi di cronaca dei primi ’50s (la storia di Lana Turner, i Collins Kids e gli omonimi fumetti erotici del titolo della canzone), ballad elettrica dai toni evocativi e nostalgici.
Chiude Modern Art una delle più belle canzoni scritte da Nancy Griffith, Gulf Coast Highway, dove l’autrice dà una memorabile performances della sua ballads in compagnia di un ispirato Russell. Sì, ci troviamo di fronte ad un’opera ‘d’arte moderna’ di matrice folk-rock cantautorale.
Hightone 8154 (Singer Songwriter, 2003)
Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 42, 2003
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