Perfette le note di copertina scritte da Dan Forte per Still Inside, un album dello stesso periodo di quello in questione: “la prima volta che sentii Tony Rice fare un assolo in concerto, la mia reazione iniziale fu quella di ridere. E credo che quella si possa definire una normale reazione umana quando ci si trova di fronte ad un inspiegabile fenomeno…”. Giuro, quella sensazione la provai anch’io quando un paio di anni fa ho avuto occasione di ascoltarlo live in una calda serata torinese, seduto di fronte a quella vecchia Martin che fu di Clarence White. Inspiegabile.
Come inspiegabile il fatto che fossimo non più di 350 anime a contemplarlo, per lo più venute da ogni angolo d’Italia. Ma qui c’è poco da ridere. Tony Rice è stato per un lungo periodo il migliore chitarrista acustico vivente, ma evidentemente la sua arte è troppo complessa per conquistare il grande pubblico. Dopo una quindicina di anni passati a suonare bluegrass, nella seconda metà dei ’70 è invitato da David Grisman a trasferirsi in California per far parte del suo Quintet. Comincia a suonare quindi una musica jazz dalle mille influenze, bluegrass incluso. In questo periodo produce alcuni dischi, prima a suo nome poi con la Unit.
Acoustics è del ’79, e venne registrato per la Kaleidoscope insieme a Richard Greene, Todd Phillips, Sam Bush, David Grisman e Mike Marshall. E’ jazz acustico, o new acoustic music se preferite; musica che lo stesso Rice ha voluto definire ‘spacegrass’, un ulteriore evoluzione di quello che fu il Quintet e la fonte di ispirazione di molti musicisti poi indirizzatisi verso la new age.
Oggi Rice esegue canzoni d’autore con una leggera impronta country, e i suoi dischi, come le sue esibizioni, racchiudono tutto il suo percorso creativo, per capirlo meglio è consigliabile dedicare un ascolto ad Acoustic, apprezzerete ciascun aspetto della sua poliedrica personalità artistica.
Rounder CD 0317 (New Acoustic Music, 1994)
Maurizio Faulisi, fonte Out Of Time n. 5, 1994
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