Travis Tritt

Nella lunga storia della musica country ci si è interrogati più volte, se lo sono chiesto soprattutto i fans, sulla natura della stessa. Se questa, in particolare, non stesse perdendo i suoi tratti distintivi a favore di una crescente (o ritrovata) popolarità, se non imboccasse ‘pericolose’ strade che portavano a nuove commistioni e compromessi, se il business, in definitiva, avesse avuto la meglio sulla tradizione Già è difficile spiegare cosa sia in realtà la country music (fatta di diversi generi, stili, ecc), quasi impossibile dare giudizi conclusivi a chi ponesse ora la sopracitata questione. E’ comunque cosa certa che i timori espressi dai ‘fedeli’ del country si sono sempre evidenziati, in modo più o meno drammatico proprio quando un particolare momento di successo investiva la loro musica.

Accadde agli inizi degli anni ’60 quando Chet Atkins con alcuni altri musicisti inventò e promosse il ‘Nashville sound’ (un colpo basso per i tradizionalisti del tempo), si ripetè poco più di dieci anni dopo con il cosiddetto ‘country pop’ di Kenny Rogers, Charlie Rich, Anne Murray, Olivia Newton John ecc, si manifestano ora con rinnovato vigore proprio quando professionisti come Garth Brooks o Billy Ray Cyrus conquistano milioni di nuovi fans, e di dollari, dando alla musica country lustro e competitivita inusitata.

Per i posteri degli anni ’60 e ’70 che possono sentenziare serenamente, fenomeni come il Nashville sound e country pop sono stati registrati e valutati, e oggi fanno parte a pieno titolo dell’universo country.

Sarà lo stesso anche per i nuovi country-rock-pop singers degli anni ’90 capitanati da Brooks o siamo in presenza di qualcosa di più effimero? (avete notato, a proposito, come le carriere dei nuovi artisti si brucino molto più rapidamente?). E’ la country music da considerarsi ancora una tipica ‘forma d’arte’ del Sud o il suo carattere odierno, che l’ha resa addirittura internazionale, ne sta compromettendo irrimediabilmente l’essenza?

In questo clima di euforico rinnovamento, che ha già superato la stagione dei ‘new traditionalist’, nasce musicalmente e si afferma Travis Tritt, da alcuni definito come il punto di incontro tra Merle Haggard e Lynyrd Skynyrd.

Originario di Marietta, Georgia (9 febbraio 1963), cominciò molto presto, a 14 anni, a scrivere canzoni e a cantare nelle honky-tonk e in piccoli bar (un classico), mostrando subito la sua inclinazione per l’hard-core country di George Jones e il southern rock degli Allman Brothers.

Lo confessa, del resto, in una delle sue canzoni di maggior successo intitolata Put Some Drive In Your Country le cui liriche recitano: “I made myself a promise when I was just a kid / I’d mix southern rock and country and that’s just what I did (Mi feci una promessa quando ero ragazzo / mescolerò southern rock e country ed è proprio quello che ho fatto)”.

La formula sembrò premiare Travis Tritt che dopo il suo esordio assai promettente del 1990 con l’album Country Club (eccellente l’omonimo hit) pareva destinato ad essere l’unico serio concorrente dell’abile e fortunato Garth Brooks.

II successo continuò portandolo nel 1991 ad altissimi livelli di popolarità con l’uscita del nuovo singolo, tratto dal CD It’s All About To Change, intitolato Here’s A Quarter Call Someone Who Cares che pare abbia scritto all’indomani della separazione dalla seconda moglie. L’album vendette oltre due milioni di copie, molto più rapidamente di quanto aveva fatto il precedente.

Travis Tritt è un personaggio di grande talento e personalità come testimoniano le sue canzoni e la sua voce: robusta, un po’ costruita forse, che sembra aver assorbito, assieme alle caratteristiche sonorità country, anche timbriche e colorazioni dei bluesmen neri.

Alla determinazione, che lo ha spinto a raggiungere gli obiettivi prefissati, associa un carattere impulsivo e ‘ribelle’ responsabile di certi atteggiamenti che l’ambiente della country music nashvilliana e la stampa hanno prontamente sottolineato e a volte stigmatizzato.

Preferire il sushi al fried chicken o rifiutarsi di indossare il classico cappello da cowboy, oggi così di moda, fino a promuovere assieme a Marty Stuart una serie di concerti chiamata ‘No Hats Tour’, ai più bigotti potrà sembrare una trasgressione, ma non sono certo peccati rilevanti. Ciò che invece non gli è stato perdonato è la ‘disinvoltura’ con cui ha criticato il collega Billy Ray Cyrus (esploso come una supernova tra le stelle del country) violando una delle leggi fondamentali che regolano il quieto vivere di Nashville e dintorni: mai parlare male degli altri artisti.

Comunque se l’estrema sincerità e onestà di pensiero – così si giustifica Tritt – gli ha alienato qualche simpatia, non ne ha sofferto invece il suo successo di cantante pur se rallentato dall’uscita (1992) di un album sentimental-natalizio (nella più classica tradizione country) che poco si adattava aJla sua personalità.

L’ultimo vero CD è stato T-R-O-U-B-L-E (1992) dove Tritt ha sfoderato ancora una volta la sua potente voce per interpretare dieci ‘nuovi’ brani che tutto sommato non hanno aggiunto molto allo straordinario album precedente. Siamo infatti lontani dalla ruvida genuinità di pezzi come Here’s A Quarter… o da riuscite ballate come Anymore. Oltre al title track T-r-o-u-b-l-e che indulge eccessivamente al rock(‘n’roll) e alla personale versione di Leave My Girl Alone del blues singer Buddy Guy (quasi 9 minuti), una scelta disorientante, ci sono tuttavia un paio di brani che cercano di avvicinarsi alle atmosfere e alla qualità del precedente album: I Can Trust You With My Heart e When I Touch You. Ma non bastano per riscattare a pieno quest’ultimo sforzo produttivo.

Travis Tritt il ‘son of the new South’ – questo potrebbe anche diventare il suo soprannome – incarna esattamente il prototipo attuale del country singer visto dalle nuove platee giovanili arrivate al genere anche per effetto di Brooks, Cyrus ecc, con la differenza però, rispetto a questi ultimi, di un carattere ed una originalità più riconconducibili alle classiche formule del country, a meno che in futuro, guidato da ‘abili’ produttori, non si discosti ulteriormente dalla musica che ha caratterizzato i suoi due primi albums.

Il cambiamento è un fatto intrinseco alla musica country e non deve essere visto con sospetto – anche se in certi casi si esagera e si è legittimati a temere il peggio. Tuttavia bisogna aggiungere, quasi che le leggi di Archimede fossero applicabili anche qui, che ad ogni sussulto innovativo sono poi seguite reazioni positive che hanno corretto o controbilanciato la tendenza in corso (es. il sound di Bakersfield negli anni ’60, il revival del western-swing nei ’70, ecc. fino ai new traditionalist di poco tempo fa). Non è escluso, perciò, che in un futuro anche vicino, se la tendenza al nuovo dovesse persistere ed esasperarsi, il successo premi qualche anticonformista che temerariamente intitolerà una canzone ‘Put Back Some Country In Your Music’ (?). In termini commerciali una prima battaglia la musica country l’ha già vinta, la prossima, quella per preservarne le intrinseche qualità originarie è appena cominciata.

Discografia:
Country Club (1990)
-It’s All About To Change
(1991)
-T-R-O-U-B-L-E (1992)
-A Travis Tritt Christmas – Loving Time Of The Year (1992)

Filmografia:
-Rio Diablo, coprotagonista insieme a Kenny Rogers e Naomi Judd (west­ern TV, 1993)

Grand Ole Opry
-Membro dal novembre 1992.

Mario Manciotti, fonte Country Store n. 21, 1993

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