Con il consueto bagaglio di racconti tragici, sonorità urbane ed armonie corali ritorna sul mercato Warren Zevon, a due anni di distanza dal fortunato Excitable Boy che lo aveva proiettato ai vertici delle classifiche americane. È un ritorno questo che avviene in grande stile, seguendo le procedure odiose (ma perfettamente funzionali) che il business discografico prescrive per gli artisti di notevole portata commerciale. Bad Luck Streak In Dancing School, pronto ormai da parecchi mesi, ha subito infatti una serie di rinvii apparentemente interminabili per far salire il fatturato delle prenotazioni: esattamente quanto accaduto per Eagles o Fleetwood Mac, anche se il successo di Warren non ha assunto proporzioni così vistose.
Francamente Bad Luck Streak In Dancing School mi pare avere un potenziale commerciale inferiore ad Excitable Boy, di cui non possiede la fantasia armonica e la disponibilità melodica. Il linguaggio musicale è diventato per l’occasione più asciutto e duro, generalmente più uniforme laddove Excitable Boy stupiva per un sincretismo azzardato quanto artisticamente valido. Ma, a dispetto delle apparenze, Bad Luck Streak In Dancing School non è meno bello dell’opera precedente, giacché la profonda ispirazione e l’accuratezza formale non vanno perdute ma semplicemente funzionalizzate a violente espressioni urbane.
Il sound spigoloso e conciso dell’intero LP si collega dunque alle ballate elettriche di Wanted Dead Or Alive e al rock ‘n’ roll aggressivo di l’m Sleep When l’m Dead e Poor Poor Pitiful Me, piuttosto che al country di Frank And Jesse James e Veracruz. Il rifiuto delle tradizioni rurali americane, comune per altro agli Eagles di The Long Run, costituisce una scelta stilistica operata con grande consapevolezza artistica ed i risultati paiono dare ragione a Zevon.
Bad Luck Streak In Dancing School si apre con un rock elettrico, martellato, evidenziato dalla slide guitar del magnifico David Lindley, ma la tensione del brano iniziale perdura per tutto il corso della prima facciata attraverso gli intrecci chitarristici di A Certain Girl ed i cori convulsi di Jungle Work. Un assolo memorabile di David Lindley (che fine ha fatto il suo disco solo?) caratterizza splendidamente la conclusiva Play It All Night Long, riportando alla memoria il fascino solenne della King Of Hollywood degli ultimi Eagles.
Pure nella seconda parte dell’album il linguaggio appare violento e sofferto ma le armonie vocali degli amici californiani garantiscono una sufficiente scorrevolezza ai diciotto minuti di musica. Tra le canzoni presenti in questa facciata meritano un segnalazione Bill Lee, una ballata blues dall’atmosfera sospesa che potrebbe figurare nel repertorio di Bruce Springsteen, e la potente Wild Age, ove Henley e Frey cantano le harmonies nel più elegante stile eaglesiano. Differenti per stile e ispirazione sono invece la ballata romantica Empty-Handed Heart, orchestrata da Sid Sharp per le voci di Warren Zevon e Linda Ronstadt, e la spiritosa Gorilla, You’Are A Desperado, un reggae originalissimo in cui compare uno string synthesizer, ultimo amore del biondo musicista.
Alla riuscita dell’album (prodotto da Warren Zevon con il tecnico Greg Ladanyi), concorre in misura determinante una troupe di luminari californiani, scelti accuratamente nell’entourage dell’Asylum: accanto alla sezione ritmica di Leland Sklar e Rick Marotta compaiono i chitarristi più prestigiosi di L.A. e dintorni (David Lindley, Waddy Wachtel, Don Felder, Joe Walsh, lo steel guitarist Ben Keith) ed i cantanti più ispirati (Jackson Browne, Jorge Calderon, Linda Ronstadt, J.D. Souther, Don Henley, Glenn Frey). Considerando che quasi tutti figurano negli altri due dischi per l’Asylum, si comprende immediatamente perché mai Warren Zevon suoni il miglior rock californiano degli ultimi anni.
Tematicamente l’album non sempre possiede la felice ispirazione delle linee musicali: abbandonate le storie di Los Angeles e le avventure romanzate dei precedenti due LP, Warren Zevon rinuncia a qualsiasi forma di critica politica e di satira sociale, fatta eccezione per Jungle Work e Gorilla, You’re A Desperado. Nella cupa Jungle Work (scritta in collaborazione con Jorge Calderon), la chitarra pesante di Joe Walsh sottolinea il secondo capitolo delle storie di mercenari, questa volta non più bizzarro e fantasioso come il precedente Roland The Headless Thompson Gunner ma incisivo e brevilineo: “… Ci paracadutiamo fuori / La morte viene dal cielo / Gridiamo ora / Dove la paga è buona / E il rischio è alto / S’intende / O ce la faremo o moriremo / Con la pistola Sten in mano / Dove la pistola è legge / Da Ovamboland / Al Nigaragua…”.
Il gorilla desperado è invece l’ennesima creatura stravagante della fantasia zevoniana: “Un grande gorilla allo zoo di L.A. / Mi strappò subito gli occhiali dalla faccia / Prese le chiavi della mia BMW / Mi lasciò qui a prendere il suo posto”. Giunto all’apice della fortuna individuale lo scimmione conclude amaramente la propria escalation sociale “incatenato ad una catena di platino”, sciogliendo un’allegoria immediatamente comprensibile.
Le altre canzoni riprendono il tema caro a Zevon della precarietà delle felicità umane e del dramma esistenziale, alternando momenti riflessivi e descrizioni ad ampio respiro. Indicativi di questo stato d’animo inquieto e passionale sono gli amori infelici di A Certain Girl e di Empty-Handed Heart, gli incubi di Bed Of Coals ed il rimpianto per l’età selvaggia espresso nella conclusiva Wild Age: “… Generalmente quando finisce l’età temeraria / Viene tenuto in serbo qualcosa / Alcuni di loro continuano a correre / Finché corrono dritto nella fossa…”.
Per concludere è obbligatorio riportare una breve citazione della stupenda Jeannie Needs A Shooter (composta dalla coppia fantastica Bruce Springsteen & Warren Zevon), che riassume intelligentemente le costanti dell’arte di Zevon: romanticismo ed eroismo western, amore e tragedia, narrazione ricca di poesia e refrains indimenticabili. “… La notte era fredda e piovosa lungo il confine / Io cavalcavo sodo per incontrarla quando uno sparo echeggiò alle mie spalle / Quando giacqui lì nell’oscurità con una pistola fianco / Jennie e suo padre si allontanavano a cavallo nella notte”.
Asylum 5-509 (Singer Songwriter, 1979)
Cesare Barani, fonte Mucchio Selvaggio n. 29, 1980
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