Doyle Lawson

Mi risponde dopo due squilli: l’appuntamento ha funzionato, e Doyle Lawson è troppo professionale per farmi aspettare.
Evitiamo di perdere tempo a parlare di cose che tutti i bluegrassari veri dovrebbero conoscere: gli anni passati a suonare con Jimmy Martin (prima al banjo e poi al mandolino) in diverse riprese tra il 1963 e il 1970, e parallelamente con J. D. Crowe nei Kentucky Mountain Boys, quindi gli storici 8 anni nei Country Gentleman, grandiosa band citata come fondamentale anche da Dylan (!!!), ed infine l’enorme successo personale ottenuto con la propria band, i Quicksilver, dal 1979 ad oggi.
Non parliamo di storia, ma sono curioso di conoscere i perché dietro l’evoluzione stilistica di un gruppo che, paradossalmente, ha mantenuto una forte identità personale ed un suono molto riconoscibile. Chiedo infatti a Doyle se sia d’accordo con me sul fatto che il molto imitato ‘suono Quicksilver’ fosse agli inizi decisamente più ‘contemporaneo’, per così dire, più duro e a tratti quasi rockeggiante, con un basso elettrico pompato e una ritmica più adatta ad un repertorio fatto in parte di pezzi ‘nuovi’ (pop, west coast) oltre che tipicamente bluegrass, mentre oggi chi ascolta, e soprattutto vede dal vivo, i Quicksilver si trova di fronte una band dall’aspetto e dal suono molto tradizionali.
“Nel 1979, quando sono uscito dai Gentleman e ho formato la mia band, avevo la necessità di trovare rapidamente ‘un’identità’ ed un suono differente da quello delle altre band.
Allora il materiale originale disponibile era più scarso di oggi, c’erano meno songwriters, e potevi utilizzare quasi solo LP altrui come fonte per canzoni.
E il basso elettrico era qualcosa di nuovo, spesso anche osteggiato, nell’ambiente bluegrass, che in più ti dava il vantaggio di un suono più pieno, consentendoti di lavorare più in disinvoltura ed ottenere un ‘big sound’ per tutta la band: eravamo in 4, e avevamo la potenza di una band di 5 o 6 elementi.

Questi fattori sono stati determinanti per le nostre scelte musicali, mettendoci in grado di avere un suono grintoso, tradizionale ma molto appetibile anche per la parte più giovane del pubblico, tale da essere al tempo stesso eclettici e rigorosi, moderni e tradizionali. Nel corso degli anni, in realtà, io non sono cambiato, quello che suono è quello che ho sempre voluto suonare, che viene dal cuore, e anche il mio suono non è molto cambiato, anche se ho sempre ritenuto necessario introdurre qualche novità ad ogni nuovo disco registrato, per mantenere il pubblico più attento e desideroso di chiedersi ‘Cosa tirerà fuori di nuovo Doyle questa volta?’. Non è difficile notare, Silvio, che ci sono in giro sempre più numerose band di notevole bravura, il che per noi ha significato concorrenza sempre più spietata: ma è anche facile accorgersi che molte di queste band sono pressoché indistinguibili le une dalle altre, con suono, repertorio e arrangiamenti uguali. Per questo è sempre stato per me essenziale avere un suono fresco, diverso, riconoscibile facilmente e mai prevedibile. Ho quindi lavorato molto in questo senso, anche per i pezzi gospel, con cui però si ha molto meno spazio per variazioni e ‘novità’. Per fortuna ho una fonte quasi inesauribile di pezzi gospel nei libri di mio padre, nella tradizione in cui sono stato allevato, e nel repertorio dei migliori gruppi gospel del passato, con numerose e stimolanti variazioni stilistiche.
Il mio nuovo CD gospel, che uscirà a febbraio, sarà diverso dai precedenti, e tuttavia radicato nella tradizione”.

I Quicksilver di oggi, che lavorano attorno ad un solo microfono come i gruppi storici degli anni ’40 e ’50, usano il contrabbasso invece del basso elettrico, e privilegiano un repertorio e un suono meno rockeggianti, sembrano più tradizionali ma anche più freschi e originali che in passato. E’ una scelta di ‘mercato’ o solo di gusto?
“Vedi, ho deciso di provare a fare veramente quello che intimamente avrei sempre fatto solo ora, dato che sono più sicuro del pubblico e ho meno necessità di conquistarmi uno spazio a prezzo di compromessi stilistici.
Il ‘big sound’ degli anni passati mi andava bene, per le nostre necessità di allora, ma aveva una contropartita molto negativa nel doversi basare esclusivamente sui monitor di palco per capire cosa stavi suonando e cantando. Nulla di strano, lo so bene, per i gruppi elettrici, ma quando suoni bluegrass con soli strumenti acustici lavori spesso con i monitor ai limiti delle possibilità, con i soliti fischi incombenti (o inevitabili) e un equilibrio di suoni sul palco quasi impossibile da ottenere. Per di più ho iniziato a sentire molto la mancanza della coreografia sul palco che le band di un tempo avevano: stare per una o due ore incollati ognuno al proprio microfono non è il massimo dal punto di vista dello spettacolo! L’impatto visivo di quattro o cinque musicisti che ‘danzano’ attorno ad un solo microfono per raggiungere in ogni momento la posizione e la distanza giuste per cori e assoli è sicuramente notevole, ed è anche più consona allo stile che suoniamo, ed eliminare la necessità dei monitor e dei problemi che ne conseguono è stato un grosso risultato.
Per 2 settimane, un anno e mezzo fa, ci siamo esercitati in prova davanti ad una telecamera, fino a raggiungere l’automatismo nei movimenti sulle diverse ‘rotte’. Il risultato è stato un suono diverso, non perché noi suoniamo i pezzi diversamente dal passato, bensì perché è differente il gioco delle dinamiche e delle timbriche ottenute in questo modo.
Il pubblico oggi ci vede ‘diversi’ dagli altri gruppi, e ci considera ‘nuovi’. In realtà, come vedi, la novità è quella di essere in parte tornati al passato, ed è il mercato che recepisce diversamente il nostro approccio, come già era successo per i Gentlemen 35 anni fa! E’ destino di molti gruppi essere considerati rivoluzionari all’inizio della loro carriera, e diventare pian piano tradizionalisti nel giudizio del pubblico pur continuando a fare in fondo le stesse cose!”
Bè, noi che lo abbiamo visto a Genova nel 1983 potremo fare i debiti confronti, e decidere se considerare Doyle Lawson & Quicksilver tradizionalisti o progressivi: gli altri (meno fortunati) potranno ‘solo’ godersi il concerto di una delle migliori bluegrass band di oggi. Il 19 febbraio 1996, al Teatro Delfino di Milano. Ci vediamo.

Silvio Ferretti, fonte Out Of Time n. 14, 1996

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