Western Jubilee Recording

Tempi felici e prolifici per la western music e per l’etichetta Western Jubilee Recording Company ubicata in quel di Colorado Springs, CO.
Distribuita dalla Shanachie Records, la Western Jubilee nasce dalla volontà di Scott O’Malley e Dane Scott, punte di diamante del management di artisti quali Red Steagall, Don Edwards, i Sons Of The San Joaquin e Waddie Nitchell.
Una volta scaduto il contratto che li legava alla Warner Western, questi signori si sono ritrovati sulla piazza ancora una volta ed è stato automatico il desiderio di accasarsi in termini discografici per poter proseguire nelle loro rispettive proposte musicali, tutte legate dal genere country & western nelle sue varie sfumature di cowboy music (Edwards, Steagall ed i Sons) e cowboy poetry (Mitchell).

Se per ovvii motivi lo humor squisitamente western dei monologhi di Waddie Mitchell è riservato ad un pubblico estremamente circoscritto (almeno al di fuori degli stati del sud-ovest americano), non così lo sono le performances degli altri artisti dei quali intendiamo occuparci in questa sede.
La formazione originale del trio dei Sons Of The San Joaquin prende forma nel 1987, quando i fratelli Jack e Joe Hannah e Lon Hannah (figlio di Joe) decidono di iniziare ad esibirsi professionalmente come cantanti, sulle orme dei Sons Of The Pioneers, mitica formazione che aveva contribuito in modo significativo a popolarizzare la figura del singing cowboy fin dagli anni ’30, in concomitanza con il successo dell’analogo filone cimatografico hollywoodiano.
Personaggi quali Gene Autry e Roy Rogers (che avrebbe poi spesso collaborato con gli stessi Sons Of The Pioneers, in termini sia cinematografici che discografici) avevano creato un fenomeno che aveva rispolverato i fasti della più amata figura di eroe popolare che la cultura americana (e non solo) avesse mai conosciuto: quella del cowboy.
La notorietà dei brani di Bob Nolan quali Cool Water e Tumbling Tumbleweeds sono oramai alla pari di classici tradizionali senza tempo quali Red River Valley ed Home On The Range e le armonie vocali a tre e quattro voci dei Sons Of The Pioneers hanno fatto da caposcuola ad una quantità di emuli con alterno successo.
A detta dello stesso Gene Autry, prima della sua morte, “…i Sons Of The San Joaquin sono gli eredi stilisticamente più vicini alla tradizione dei singing cowboys popolarizzata dai Sons Of The Pioneers…”.
A distanza di quindici anni e di dieci albums dal loro esordio discografico, i Sons (come sono sinteticamente chiamati dai loro fans) si ripropongono al loro pubblico con Retrospective – 15 Years 1987-2002, un progetto manifestamente autocelebrativo.
Lo stile non è cambiato assolutamente e l’amore per i classici della tradizione western procede di pari passo con la creazione di classici originali a firma di Jack Hannah (il quale, si badi bene, ha sempre composto le sue canzoni a memoria, senza mai mettere su carta i testi o gli spartiti delle musiche): fra i primi segnalo Happy Cowboy, Timber Trail, Along The Santa Fe Trail, Song Of The Rover, Texas Plains ed il più bel brano western – almeno a mio parere – che sia mai stato composto, Ghost Riders In The Sky, a tutt’oggi ancora inedito nella discografia dei Sons, mentre fra i secondi emerge il capolavoro indiscusso della penna di Jack, Great American Cowboy, senza dimenticare altri tesori quali From Whence Came The Cowboy (dedicata a tutti i cowboys di colore), I Ride Along And Dream, con un simpatico inserto yodel, Charlie & The Boys, dedicata a Charlie Goodnight, colui che aprì la pista Goodnight-Loving per il trasferimento dal Texas verso nord delle mandrie di bestiame.

Sedici brani (dei quali tre precedentemente inediti e precisamente la già citata Ghost Riders In The Sky – fantastica nella sua ambientazione esterna con tanto di tuoni e finimenti tintinnanti– e due brani di Jack Hannah, Utah e The Legend Of Jake Kincaid) sono ripescati dal loro vastissimo repertorio, rimixati, rimasterizzati e riproposti quindi in veste rinnovata e tale da coprire l’arco completo della loro carriera.
In tempi recenti Lon è ritornato ad esercitare a tempo pieno la sua professione originale di insegnante (come lo erano padre e zio), lasciando posto nel gruppo a Bill Thornbury. A chiudere idealmente il cerchio è stato chiamato il fiddler Richard Chon, di chiare origini asiatiche.
I musicisti/cantanti che prendono parte alle registrazioni del disco rispondono dunque ai nomi di Jack Hannah alla voce solista e corista ed alla chitarra acustica ritmica, Lon Hannah alla voce solista e corista ed alla chitarra acustica solista e ritmica, Joe Hannah alla voce solista e corista ed al basso, Dennis Mack all’accordion ed al basso, Richard Chon al fiddle, i canuti Doc Denning e Robert Wagoner alla chitarra solista (entrambi con meritevole militanza nella blasonata formazione western dei Reinsmen), Jeff Hall alle percussioni ed alla chitarra solista, Mike Dana alla chitarra, John Lauffenberger al basso, Rich ‘Prezzemolo’ O’Brien alla chitarra solista e ritmica, Bob Embry al clarinetto, Ray Appleton all’armonica e tamburello, Mark Abbott al basso, Randy Elmore e Dale Morris ai fiddle, Hereford Percy al banjo, Tim Alexander all’accordion ed Eddie Gordon all’armonica.
Inutile citare i singoli brani; basti dire che se nel profondo del vostro io c’è ancora un po’ di nostalgia per i film western che abbiamo amato nel periodo della nostra infanzia (e non solo) e per qualla figura affascinante che risponde al nome di COWBOY (sì, il carattere maiuscolo è d’obbligo), allora il disco fa per voi.

Discografia dei Sons Of The San Joaquin (escluse compilations senza inediti e guest appearences):
1987 – Bound For The Rio Grande – Sons Of The San Joaquin
1990 – Great American Cowboy – Sons Of The San Joaquin
1992 – A Cowboy Has To Sing – Warner Western
1993 – Songs Of The Silver Screen – Warner Western
1995 – From Whence Came The Cowboy – Warner Western
1997 – Gospel Trails – Western Jubilee/Shanachie
1998 – Christmas – Sons Of The San Joaquin
1999 – Horses, Cattle & Coyotes – Western Jubilee/Shanachie
2000 – Sing One For The Cowboy – Western Jubilee/Shanachie
2002 – A Retrospective – 15 Years 1987-2002 – Western Jubilee/Shanachie

Red Steagall è un veterano della scena western discografica, risalendo il suo primo album intitolato Party Dolls & Wine al lontano 1972.
Diciotto dischi e vicende professionali di valenza alterna lo hanno portato ad incidere per majors come per la sua stessa label RS Records, ma gli ultimi nove anni lo hanno visto definitivamente accasato presso la Warner Western, con una sequenza di albums che mischiano brani musicali a recitations a sfondo western, fulgidi esempi di cowboy poetry che, visto il successo riscosso presso il pubblico, hanno addirittura originato un programma radiofonico, condotto dallo stesso Red, che viene attualmente trasmesso da oltre un centinaio di emittenti statunitensi (mettetevi comunque il cuore in pace, queste cose da noi non succedono).
L’ultimo album di Red, quello inciso con i suoi Boys In The Bunkhouse nel 1999, era stato Love Of The West, ennesimo capitolo della saga della colonizzazione dei territori occidentali di quella vastissima area attualmente nota come U.S.A.
In questo Wagon Tracks, Red riprende la sua narrazione in musica (solo due brani sono recitati senza il supporto strumentale) ripercorrendo il tragitto ideale che separa l’Irlanda, terra natale di tanti immigrati diretti in America (come lo furono gli antenati dello stesso Red, primo performer ad esibirsi al Grand Ole Opry sfoggiando una barba rosso fuoco, che ben evidenziava le sue origini irlandesi) dalle coste del nuovo mondo ed il booklet che accompagna il CD ci aiuta a ripercorrere geograficamente questa lenta migrazione.
If I Never See Ireland Again ci parla di nostalgia e tristezza di chi resta, a fronte della determinazione di chi parte per trovare una nuova ragione di vita.

Con Western Wagons siamo invece già in marcia sui carri coperti che partivano con un’unica direzione comune: il West. Il tragitto non era mai agevole e neppure facile, sia per i disagi e per le privazioni che per le asperità del territorio da attraversare.
Dal Tennessee, terra di Daniel Boone, verso il Kentucky attraverso il passo di Cumberland, seguiamo i pionieri sulle note di Cumberland Gap, sorretta dalle chitarre di Rich ‘Prezzemolo’ O’Brien e di Danny Steagall (fratello di Red e suo rodato collaboratore alla chitarra acustica solista, creatore del sound classico con influenze spagnoleggianti che ha da sempre caratterizzato lo stile del nostro).
Gone To Texas narra di un’altra motivazione, non meno forte della precedente, che spinse all’Ovest tanta gente: i debiti contratti dagli agricoltori dell’est nei confronti dei soliti banchieri senza scrupoli i quali, al momento di esigere i pagamenti concordati, non esitavano a scacciare i proprietari dalla loro terra se questi non riuscivano a far fronte ai loro impegni.
Siamo quindi di fronte ad una marea di agricoltori in cerca di una nuova terra da chiamare casa e l’esigenza di andarsene con le famiglie al seguito fa sì che il Texas diventi la loro meta.
Al seguito di queste migrazioni si spostavano però anche farabutti senza scrupoli che tentavano di taglieggiare gli agricoltori più sprovveduti. L’esito della vicenda narrata in We’ll Stand Up And Fight ha però un epilogo ben diverso, con il placet implicito della legge.

Non tutti però si fermarono in Texas: nonostante le potenzialità dell’immenso territorio, molti furono i pionieri che proseguirono in direzione dell’Arizona, attratti dalla California e dalle coste del Pacifico (Out On The Texas Plains).
Fu così che questi coraggiosi assistettero ad uno spettacolo che andrà scomparendo negli anni, soprattutto in concomitanza con l’arrivo della ferrovia: le migrazioni dei bisonti, che attraversavano le pianure a milioni, con un rumore di zoccoli pari al rombo di un tuono. Le riflessioni dello stesso Red che, seduto alla sua scrivania, si sofferma sul teschio di un bisonte imbalsamato appeso al muro, rappresentano il contenuto della seconda recitation dell’album, The Last Buffalo, poi la musica riprende con Texas Bein’ Texas, a firma di Red e di R.W. Hampton (una manciata di albums eccellenti al suo attivo, nel più rigoroso rispetto della tradizione western), un affettuoso omaggio tributato al suo Texas, dove si disquisisce amabilmente di tutti quei luoghi comuni che possono suonare scontati ad un orecchio non-texano, ma che fanno vibrare le corde del muscolo cardiaco di qualunque abitante del Lone Star State.
Parole quali Alamo, Houston o longhorn possono suonare vuote di significato alle orecchie di molti americani, ma così non sarà mai per un texano.
Altri pionieri tentarono ancora la via più settentrionale e quelli più determinati e coriacei arrivarono alla valle dello Yellowstone (The Yellowstone Valley), con la sua agreste natura incontaminata, i suoi ruscelli pescosi ed il suo cielo terso: un vero paradiso dopo tutte le privazioni patite sulla pista infinita che li aveva condotti all’Ovest.
Un’altra meta agognata, soprattutto per gli agricoltori, risultò poi lo stato del Nebraska, con le sue terre nere e fertili. Un appezzamento in Nebraska divenne il chioso fisso di molti pionieri, come risulta chiaro dall’ascolto di My Nebraska Homestead (musicalmente il brano ricorda Uncle Jeff di Arlo Guthrie).

Per coloro che non trovarono una sistemazione in California e proseguirono verso nord, la meta divenne l’attuale stato dell’Oregon e la strada per giungervi non fu parimenti facile. La narrazione delle vicende di una carovana di questi pionieri è racchiusa in We Danced On The Oregon Trail: un violino ed un tempo di valzer a volte erano più forti delle malattie e degli indiani ostili.
Il coronamento di tanti sogni pionieristici, trasposti in un’ottica attuale, è racchiuso nel ripescaggio di My America, un brano del 1983, tratto dall’LP It’s Our Life, giusto ed affettuoso omaggio a tutti quei valori che hanno contribuito a rendere grande il Grande Paese.
Fra gli altri musicisti che hanno invece contribuito a rendere grande questo CD ricordiamo inoltre Mark Abbott (basso), Kevin Taylor (Drums), Tom Morrell (dobro), Reggie Rueffer (fiddle) e Tim Alexander (accordion).
Red Steagall suona la chitarra acustica e canta, canta del suo Texas e del suo West che, a pensarci bene, appartiene anche un poco a noi. Nati dalla parte sbagliata dell’oceano e con un secolo di ritardo.

Discografia solista di Red Steagall (escluse compilations senza inediti e guest appearences):
1972 – Party Dolls & Wine – Capitol
1973 – If You’ve Got The Money, I’ve Got The Time – Capitol
1973 – Somewhere My Love – Capitol
1974 – Finer Things In Life – Capitol
1976 – Lone Star Beer & Bob Wills Music – ABC
1976 – Texas Red – ABC
1977 – For All Our Cowboy Friends – ABC
1978 – Hang On Feeling – ABC
1983 – It’s Our Life – HESSON
1984 – Cowboy Favorites – RS (2 LP)
1986 – Red Steagall – MCA
1990 – Ride For The Brand – RS (Cassetta di sole recitations)
1992 – Nothin’ But A Cowboy – RS (Cassetta di recitations e songs)
1993 – Born To This Land – Warner Western (Recitations e songs)
1995 – Faith & Values – Warner Western (Recitations e songs)
1997 – Dear Mama, I’m A Cowboy – Warner Western WESTERN (Recitations e songs)
1999 – Love Of The West – Warner Western (Recitations e songs)
2002 – Wagon Tracks – Warner Western (Recitations e songs)

Riprendendo il discorso precedente relativo al filone estremamente specifico della cowboy poetry, è doveroso precisare che queste realizzazioni risultano piuttosto ostiche e difficilmente fruibili nella loro completezza a coloro che non siano più che avvezzi allo slang ed al senso dello humor prettamente western. Detto questo, Waddie Mitchell è senza dubbio fra i nomi di riferimento di questa espressione artistica, insieme ad autori classici quali Charles Baxter Black e Bruce Kiskaddoon.

Con questo That No Quit Attitude, Waddie è arrivato al quarto volume della sua discografia solista, oltre ad aver registrato un paio di CD, uno dei quali dal vivo, in coppia con il grande vecchio della cowboy music, Don Edwards.
Lo aiutano in questa realizzazione i talenti artistici di Dana Walden e Rich ‘Prezzemolo’ O’Brien (chitarre), Tom Morrell (Steel guitar), Novi Novog (fiddle), Tim Ferguson (mandolino), Dana Walden (suona anche il piano e canta) e l’apporto vocale di Don Edwards, John Andrew Parks, dei Sons Of The San Joaquin e del Chuckwagon Chorus.

Discografia di Waddie Mitchell (escluse compilations e guest appearences):
1992 – Lone Driftin’ Rider – Warner Western
1993 – Buckaroo Poet – Warner Western
1994 – The Bard & The Balladeer w/Don Edwards – Warner Western
1998 – Live – Western Jubilee/Shanachie
2000 – A Paririe Portrait w/Don Edwards – Western Jubilee/Shanachie
2002 – That No Quit Attitude – Western Jubilee/Shanachie

Parlare o scrivere di western music e di cowboy songs senza menzionare il nome di Don Edwards equivarrebbe a parlare della Ferrari e trascurare Michael Schumacher.
Don non è oramai più un ragazzino da molti anni, ma la sua carriera è iniziata relativamente tardi, tanto è vero che il suo primo album ufficiale è datato 1986.
Undici albums in quindici anni, più i due con Waddie Mitchell, uno con Rex Allen Sr. e questo High Lonesome Cowboy registrato in coppia con Peter Rowan e con l’aiuto di Norman & Nancy Blake, Tony Rice, Bill & Bryn Bright sono una discografia poco più che normale, ma il livello qualitativo è eccellente.
Don Edwards è approdato alla Warner Western nel 1992, dopo aver pubblicato alcuni albums (LP e cassette) per la sua etichetta privata Sevenshoux Records e si è subito creato un sentimento di caloroso cameratismo con gli altri personaggi che si ispiravano allo stesso filone: i Sons Of The San Joaquin, Red Steagall, Waddie Mitchell e Michael Martin Murphey.
Da allora Don ha collezionato diversi CD di indubbio spessore e questo High Lonesome Cowboy non fa eccezione. Peter Rowan si è fatto crescere una fluente chioma di capelli abbondantemente ingrigiti dall’età, ha smesso i panni dell’allegro fuorilegge Panama Red che tanto successo aveva portato alla formazione Country-Rock (occhio, quello con la lettera maiuscola, quello degli anni ’70…) dei New Riders Of The Purple Sage e sta rispolverando i fasti del supergruppo Old & In The Way, la sua carriera solista consta di numerosi albums (solisti e con i due fratelli Chris e Lorin, l’ultimo dei quali è molto recente) e di innumerevoli collaborazioni e, da ultimo, Peter è divenuto frequentatore abituale dell’ italico suolo per un certo periodo di tempo.

L’ambito western non è quello che gli è più congeniale, lui che si è spesso cimentato fra panorami del border ed in contesti più vicini alle sonorità bluegrass, ma il risultato è sicuramente incoraggiante.
Peter e Don hanno due bellissime voci, anche se molto diverse fra loro e forse è proprio questa diversità a rendere maggiormente apprezzabile la risultante di questo amalgama.
Peter ha maggiori potenzialità dal punto di vista stilistico, ma Don è dotato di una sincerità vocale e di una naturalezza che lo rendono ineguagliabile ed il tessuto strumentale sul quale i due adagiano le rispettive voci ed i frequenti duetti è di altrettanto alto livello.
Gli undici brani sono traditionals riarrangiati, ad eccezione del classico di Woody Guthrie Philadelphia Lawyer (ribattezzata per l’occasione Reno Blues), con la melodia che ricorda molto quella di Ramblin’ ‘round (sempre di Guthrie) e di Goodnight Irene (di Ledbetter), di Buddies In The Saddle (di Mother Maybelle Carter) e di Midnight On The Stormy Deep (a firma di Bill Monroe, con il quale lo stesso Peter aveva suonato per un certo periodo).

Il fatto che comunque tutti i pezzi siano stati riarrangiati dai due amici rende il prodotto finito altamente omogeneo ed è difficile discernere il tradizionale dall’originale, se non si leggono le note del prezioso – anche se stringato – booklet allegato al CD.
Fanno bella mostra di sé The Old Chisholm Trail, classicissima cowboy song, Goodbye Old Paint, che rieccheggia la melodia di I Ride An Old Paint e la conclusiva I’m Goin’ To Leave Ol’ Texas Now, con le sue evidenti assonanze con la celeberrima Bury Me Not On The Lone Prairie.
Tutto il CD è pervaso da un profondo rispetto per la tradizione musicale western ed il culto delle radici è una caratteristica del popolo statunitense, proprio perché le sue origini come unità etnica sono molto discutibili e comunque estremamente recenti.
Sono dischi come questi che fanno bene alla causa, quella della buona musica.

Discografia solista di Don Edwards (escluse compilations e guest appearences):
1986 – Songs of the Cowboy – Texas Skyline (cassetta + libretto)
1986 – America’s Singing Cowboy – Sevenshoux
1987 – Happy Cowboy – Sevenshoux
1989 – Guitars & Saddle Songs – Sevenshoux (cassetta + libretto)
1990 – Desert Nights & Cowtown Blues – Sevenshoux
1991 – Chant Of The Wanderer – Sevenshoux
1992 – Songs Of The Trail – Warner Western
1993 – Goin’ Back To Texas – Warner Western
1994 – The Bard & The Balladeer w/Waddie Mitchell – Warner Western
1996 – West Of Yesterday – Warner Western

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 72, 2004

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