William Edward Burghardt Du Bois. Un guerriero sulla ‘Linea del Colore’. Biografia di un pensiero attuale (1ª Parte)

Come back to W.E.B Du Bois
Non c’è una e una sola ragione per scrivere di William Burghardt Du Bois, nessun retorico, accademico, centenario da celebrare. Eppure sono molte, tremendamente attuali, le motivazioni per tornare su uno dei più importanti intellettuali statunitensi di sempre.
La sua opera disegna il cammino afroamericano dalle vicende post-schiaviste alle lotte per i diritti civili. La sua ombra si adagia nel Black Power di ieri come nel più recente Black Lives Matter (1).
Riproporne il pensiero, farlo dalle colonne de ‘IL BLUES’, assume, coerentemente con i propositi di questa rivista, il significato di arricchire la passione per il blues di un prezioso controcanto, un antidoto alla sua mitizzazione.
L’ambizione è quella d’offrire un profilo rispettoso, necessariamente incompleto, del suo pensiero. Un richiamo d’attenzione su una figura imponente, al contempo: storico, scienziato sociale, romanziere, militante politico, poeta.
Sebbene Du Bois manchi di espliciti riferimenti al blues la sua scrittura è pervasa dalla soggettività controvento del ‘Popolo Negro(2).

Non c’è oggi alcuna musica americana vera se non le dolci selvagge melodie dello schiavo Negro; le fiabe americane sono indiane o africane; noi siamo la sola oasi di fede semplice e rispetto in un deserto polveroso di denaro e di eleganza  (Du Bois, 1897) (3).

Stimolare la scoperta, la lettura, di W.E.B. Du Bois è trattenere un ragionevole ausilio per non abbandonarsi alla sola deriva estetica di questa musica.
Sulla sua figura, a più di cinquanta anni dalla scomparsa (4), non manca di depositarsi, distratta, la polvere del tempo e nondimeno il suo nome è un “inciampo” inevitabile della storia americana. Du Bois è dotato di una rara, inarrivabile, capacità descrittiva della condizione afroamericana del ‘900, le sue analisi sono profonde, scomoda è la figura politica.

Il suo racconto del ‘Negro Americano’ ha la potenza dell’affresco inestimabile. Una sorta di binario parallelo, per chi, appassionato di blues, musicista e no, voglia approfondire, contestualizzare i momenti nei quali questa musica è nata e si è sviluppata.
Il suo è stato un impegno costante, cocciuto, intellettuale e politico. Le riflessioni, le battaglie ingaggiate con l’establishment americano per traguardi di uguaglianza, giustizia, promozione sociale, della popolazione nera americana, sono il corrimano cui aggrapparsi per ‘vedere’ l’esordio del blues a fine ‘800, percepirne i contesti, lo sviluppo, ben oltre la Golgen Age degli anni ’50 del ‘900.
Questo insieme di motivi costituiscono, in se, la sostanziale premessa per tornare a W.E.B. Du Bois. A questi va aggiunta la sconsolante attualità del suo pensiero. Le intuizioni di Du Bois circa la condizione del ‘Negro’ sono tuttora vive nei concetti di ‘Linea del Colore’, di ‘Doppia Coscienza’.

Il “guardarsi come problema attraverso gli occhi degli altri” è ancora un attrezzo interpretativo adeguato quando si è posti di fronte al tema della razza, del razzismo, della diversità. Aiutano a estrarre una relazione plausibile tra fatti apparentemente distanti ma accomunati da un medesimo stigma inferiorizzante.

Tra me e il resto del mondo c’è sempre una domanda non posta (…) Tutto però ruota intorno ad essa. (…) mi guardano con curiosità o compassione, poi, invece di chiedere direttamente “che cosa si prova a essere un problema?” dicono “conosco un eccellente uomo di colore nella mia città” (Du Bois, 1897).

I fatti della Piana di Rosarno, di Ferguson, l’epiteto di ‘orango’ all’indirizzo del Ministro Kiengè, di ‘scimmia africana’ a una donna nigeriana, la tragica conclusione di quell’insulto, e poi Dallas, Milwaukee (5), sono tutti eventi che ruotano attorno al quesito di Du Bois. Stanno tutti, su un medesimo filo. La linea di fuoco che ha insanguinato, con centinaia di morti violente afroamericane gli ultimi mesi dell’amministrazione Obama.
Black Lives Matter! Il nero continua ad esistere come problema. Ne risorge la tragica qualità di un guasto sociale geometrico, folle, insopportabile, chiamato razzismo, un fenomeno sociale, subdolo e complesso.

Una lunga vita
Du Bois da afroamericano sperimenta il razzismo e come tale lo conosce. E’ il figlio di una genealogia contorta, nella quale si affacciano antenati olandesi, haitiani. Nasce mulatto a Great Barrington, Massachussets, in una piccola cittadina prevalentemente bianca. E’ il 1868 e sono trascorsi tre anni dalla fine della guerra civile americana. Il paese è nel pieno della Ricostruzione, una difficile, contorta, fase di uscita dalle conseguenze non solo economiche della guerra.
Sebbene Du Bois non porti sul corpo le stigmate dell’esclusione provate da un Frederick Douglass (6), la sua giovinezza non è meno travagliata. Cresce con la madre dopo che il padre Alfred abbandona la famiglia. Contribuisce per questo al bilancio domestico con lavori di ogni genere. La frustata razzista, gli arriva attraverso il volto grazioso, sorridente di una bambina bianca che si rifiuta di giocare con lui perché nero. Questo episodio peserà significativamente sulla sua storia.

Tuttavia il giovane Du Bois è determinato, orgoglioso, gli piace studiare. Nel 1888, a vent’anni, con una tesi su Bismark conclude brillantemente i suoi studi presso la Fisk University (7). Tra il 1886 e il 1887 si guadagna da vivere come maestro elementare nelle scuole rurali del Tennessee. Il contatto con questa realtà avrà modo di tradursi in prime osservazioni scritte sulle condizioni dei contadini ‘negri’ negli Stati del Sud degli Stati Uniti.
Tra il 1892 e il 1894 è in Europa grazie a una borsa di studio. A Berlino frequenta i corsi dell’economista Gustav Shmoller. L’influenza europea lo porta con decisione verso le discipline sociali.
Dell’economia di Shmoller trae il fondamentale insegnamento di prestare attenzione all’analisi storica, al passato e al presente, di fatti, istituzioni, strutture economiche, produttive di un paese. Qualcosa di profondamente diverso dall’applicazione di leggi generali, universali, come propugnato da Adorno.

Soprattutto, il soggiorno europeo indica a Du Bois quanto, qualche anno più tardi verificheranno i soldati afroamericani impegnati nel 1° conflitto mondiale, ovvero, che la segregazione secondo l’assunto ‘separati ma eguali’ (8) è solo una insopportabile discriminazione. Una forma sociale tutta americana, più simile a un male escludente che non a un destino.
Al suo rientro da Berlino, nel 1895, Du Bois corona il sogno di conseguire il dottorato di ricerca presso l’Harvard University, l’istituzione formativa tra le più esclusive e importanti d’America. Il suo lavoro: The Suppression of the Slave Trade to the United States of America 1683 – 1870, viene pubblicato l’anno successivo confermandolo come un talento intellettuale riconosciuto.

Lo studio, innovativo, apprezzato in Europa da Max Weber, ricostruisce la storia dello schiavismo dal periodo coloniale in avanti. Analizza i tentativi che si sono succeduti per abolirlo. Ripropone, in forma estesa, quanto già da tempo Du Bois ha maturato ovvero che lo schiavismo non è l’esito di un non meglio precisato senso di repulsione razziale bensì il lento, artificiale, consolidarsi di un pregiudizio sociale. Il frutto di una progressiva edificazione legale incorporata in un principio statale di supremazia bianca.
In questa visione Du Bois sconfessa la supposta passività dello schiavo nell’accettare quella condizione, smentisce lo schiavismo come fenomeno marginale, in declino, ne afferma invece il suo progressivo consolidamento. La sentenza ‘Plessy vs Ferguson’ (9) nel 1896, deve apparire ai suoi occhi come la più chiara conferma del suo pensiero. Un’ombra, proiettata oltre l’abolizione schiavista.

In quello stesso anno Du Bois viene chiamato a collaborare presso l’Università della Pensylvania a un progetto di ricerca governativa sul ghetto nero di Seven Ward a Filadelfia. Uno studio sociologico nato a seguito dei primi grandi movimenti migratori di neri verso il Nord industrializzato. Uno dei primi esempi di etnografia urbana. The Philadelphia Negro: a social study verrà pubblicato tre anni dopo.
Du Bois vi partecipa con tutto se stesso anche con quel tanto di puritanesimo che lo contraddistingue. Il suo giudizio nei confronti degli afroamericani non è sempre generoso. Non sono poche le occasioni nelle quali Du Bois critica con forza lo stile di vita licenzioso, dissoluto, talvolta criminale di molti neri americani. Pesa sicuramente il giudizio negativo che egli attribuisce al  comportamento del padre. Tuttavia la sua capacità di leggere la realtà sociale riconduce degrado, dissolutezza, alla rottura violenta delle forme tradizionali consumate con lo schiavismo. La segregazione non ha che ulteriormente complicato le conseguenze di questa frattura. L’indifferenza delle istituzioni municipali le ha allargate, l’ambiente urbano delle baracche prima, degli slums poi, le ha esplose.

Per queste ragioni Du Bois comprende la necessità di forme autonome di organizzazione sociale afroamericana, da laico e non credente, riconosce il ruolo avuto in questo senso dalle ‘Chiese per Neri’.
Il loro contributo è fondamentale per la realizzazione di spazi autogestiti di promozione, protezione sociale, espressione culturale. Diventa perfino inutile ricordare quanto le ‘Chiese per Neri’ siano state, assieme ai contesti del lavoro agricolo, gli ambiti di specifica germinazione musicale afroamericana. Questi spazi sono stati, nel travaso di forme profane, religiose, la possibilità della elaborazione di elementi primigeni del blues. Spiritual, innodie, ballate europee, work song, field hollers hanno  forgiato il canone blues.
E’ bene sottolineare che il rigore intellettuale di Du Bois nel mettere a distanza il soggetto afroamericano, non espunge mai per intero la sua soggettività come criterio di lettura scientifica del suo agire. Il suo lavoro non è disgiunto dall’osservazione diretta, sul campo. Il lavoro di Du Bois anticipa per molti versi quello dell’antropologo culturale contemporaneo, quando ancora l’antropologia del tempo soffriva di un primitivismo imbarazzante.

L’impregnazione storica, economica con cui Du Bois analizza il contesto afroamericano, è irrobustita da tabelle, indicatori socio-economici, ma non scivola mai in un’eleganza asettica.
Posto di fronte al dramma dei ‘negri’, la sua visione diviene presto una scomoda denuncia politica. La sua lunga vita diverrà una lunga battaglia per diritti politici, civili dei neri.

Note
(1) Black Lives Matter (BLM) è un’organizzazione internazionale attiva in America originatasi tra le comunità afro-americane a seguito delle proteste nate dopo il 2013 per le violenze subite da persone di colore.
(2) L’aggettivo, e sostantivo, ‘negro’, malgrado l’accezione dispregiativa, razzista che ha assunto nel corso del tempo, è ampiamente utilizzato da Du Bois nella sua scrittura. Sebbene oggi si preferisca l’utilizzo del termine: ‘nero’, ‘black’, ‘afro-american’ si è ritenuto ove necessario di mantenere l’uso del termine ‘negro’ sebbene temperato dall’uso di virgolette. Si condivide infatti, quanto lo stesso W.E.B. Du Bois scrisse nel 1928 su The Crisis in risposta a chi lo criticava per l’uso disinvolto del termine: “Se gli uomini disprezzano i ‘negri’, essi non li disprezzeranno di meno se vengono chiamati ‘di colore’ o ‘afro-americani’” (Du Bois, 1928 in Mezzadra, 2010, pagina 103).
(3) Dal discorso tenuto da Du Bois alla conferenza di fondazione dell’American Negro Academy nel 1897.
(4) W.E.B. Du Bois muore Accra, capitale del Ghana, il 27 agosto del 1963. 

(5) Rosarno, Reggio Calabria, 2010: dei balordi sparano con un fucile ad aria compressa su alcuni immigrati di colore. Ne seguirà una violenta protesta.
Ferguson, Missouri, 2014: colpito ripetutamente dalla polizia senza essere stato trovato in possesso di armi, viene ucciso Michael Brown, un afroamericano di diciotto anni. L’omicidio scatenerà proteste a catena.
Treviglio, Bergamo, 2015: Il Senatore Calderoli della Lega Nord in un comizio definisce l’allora ministro dell’Integrazione onorevole Cecil Kiengè un ‘orango’. Faranno seguito polemiche, proteste e l’assoluzione parlamentare del Senatore.
Fermo, Marche, 2016: una coppia di nigeriani, Emmanuel e la sua compagna Chiniary, incontrano Amedeo Mancini che insulta la donna con l’appellativo di ‘scimmia africana’. Ne nasce una lite. Sebbene non è chiara la dinamica, a un certo punto Emmanuel muore colpito o battendo la testa.
Dallas, Texas, 2016: durante una marcia di protesta per afroamericani uccisi, un cecchino ferisce 12 agenti uccidendone 5. L’autore del gesto, ucciso a sua volta dalla polizia è sospettato di aderire alla Pantere Nere.
Milwakee, Wisconsin, 2016: notte di violenza dopo la notizia di un afroamericano ucciso dalla polizia.

(6) Frederick Douglass vero nome Frederick Augustus Washington Bailey (1818 – 1895), E’ una delle figure più importanti della storia afroamericana e dell’intera storia degli Stati Uniti. Nel 1872 Douglass fu il primo afroamericano ad essere candidato vicepresidente degli Stati Uniti. Nacque in schiavitù nella Contea di Talbot, Maryland, nei pressi di Hillsboro.. Si narra che nel 1833 Frederick Douglas fu inviato come schiavo a lavorare per Edward Covey, un contadino povero che aveva la reputazione di ‘piega-schiavi’ e dove venne regolarmente frustato. Il sedicenne era sul punto di essere psicologicamente spezzato, ma alla fine si ribellò alle percosse e reagì. Dopo aver perduto lo scontro fisico con Douglass, Covey non tentò più di picchiarlo.

(7) La Fisk University fondata a Nashville Tennesee nel 1866 fa parte di quelle scuole private per neri americani create dopo l’abolizione della schiavitù dal Freedmen’s Bureau, l’organo che si occupò dell’istruzione degli schiavi liberati. Da quest’ateneo settanta anni dopo partirono le spedizioni etnomusicali, antropologiche tra le quali quelle cui partecipò anche Alan Lomax e che portarono alla scoperta di molti bluesman, tra i quali Muddy Waters, alla descrizione delle loro condizioni di vita.   

(8) ‘Separate but equal’ fu dottrina legale, legge costituzionale degli Stati Uniti che giustificava e permetteva la segregazione razziale. Secondo questo pensiero, divenuto quasi un motto nel Sud, il governo era autorizzato a fornire servizi, strutture pubbliche o private, abitazioni, cure mediche, istruzione, lavoro e trasporti separati, per bianchi e afroamericani, spesso anche per altre minoranze. L’obiettivo era evitare il più possibile il contatto tra le due razze e, almeno sulla carta, fornire servizi distinti ma di uguale qualità. La frase proviene da una legge della Louisiana del 1890.
(9) Dopo l’arresto di Homer Plessy per un atto di disobbedienza civile al fine di contestare la legge la segregazione della Louisiana, la sentenza ‘Plessy vs. Ferguson’ diviene il punto di non ritorno delle leggi di segregazione razziale.

(1 – continua)

Mauro Musicco, fonte Il Blues n. 139, 2017

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